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 2005  dicembre 12 Lunedì calendario

Calì Renato Roberto, di anni 22. Catanese, sposato, due figli. Devoto a Sant’Agata, venerdì mattina andò a seguire la processione della patrona della città

Calì Renato Roberto, di anni 22. Catanese, sposato, due figli. Devoto a Sant’Agata, venerdì mattina andò a seguire la processione della patrona della città. Volle camminare assai vicino al ”fercolo”, il carro barocco che esibisce le reliquie e il busto argenteo della protettrice (peso: 25 tonnellate, ceri inclusi). Come da tradizione, il marchingegno fu trainato per le strade da centinaia di fedeli, grazie a due cordoni lunghi centotrenta metri. Arrivati alla salita Sangiuliano, uno di questi portatori scivolò, forse per via di una colata di cera: quelli ch’erano dietro gli andarono addosso e nella morsa umana, tra spintoni e manate, finirono travolte diciassette persone. La processione in diretta su una tv locale, immediato il trillo di centinaia di cellulari attraverso cui chiedere dettagli sull’incidente. Intanto, il Calì, unico ferito grave, il fegato maciullato, era condotto in ospedale, dove morì dopo venti ore di agonia, alle 9 e 15 di sabato. Duecentocinquantuno musulmani, prossimi a lanciar sassi contro tre stele simboleggianti Satana (Shaitan) vicino a La Mecca, urlavano «Labbaika Allahomma, labbaik» («Ai tuoi ordini, Signore, ai tuoi ordini»), quando ebbero le membra e le bocche schiacciate dal peso dei quattrocento metri di fedeli che li seguivano nella fila. Il giorno prima, nella piana di Arafah, avevano raccolto le sette pietruzze che dovevano lanciare in memoria delle sassate con cui Abramo scacciò il Diavolo che lo tentava. Il giorno successivo alla lapidazione, avrebbero eseguito il rito del bacio della pietra nera, incastonata nella cubica Kaa’ba, al centro della moschea Al Haram. Poi avrebbero fatto i sette giri finali intorno all’edificio (il ”tawaf dell’addio”) e assolto così a uno dei cinque pilastri dell’Islam, l’hajj (pellegrinaggio alla Mecca). Invece di tutto ciò, i loro corpi furono disciplinatamente allineati sul bordo della strada e portati via da alcune delle dodicimila guardie schierate per l’occasione. Da cadaveri, rimasero abbigliati come da vivi, con due teli bianchi senza cuciture simboleggianti il sudario. Quattro ore dopo il massacro, i pellegrini ricominciarono la sfilata a senso unico davanti a Satana. Il ministro per il Pellegrinaggio, Iyad Madani, garantì: «Avevamo fatto tutto il necessario per evitare incidenti, ma non possiamo conoscere le intenzioni di Dio». Alle 8 e 30 ora locale di domenica 1 febbbraio, sul ponte delle jamarat, nella piana desertica di Mina, a sei chilometri dalla Mecca. Trentasette cinesi, intenti ad ammirare i fuochi d’artificio della ”festa delle lanterne” a chiusura delle celebrazioni del Capodanno lunare, furono calpestati dai piedi di altri festosi connazionali, tra lumini rossi e altri addobbi, dopo essere inciampati su un uomo che era rovinato a terra. Il fatto avvenne su un ponte lungo cento metri, attraversante un canale del parco di Mihong, nel sobborgo di Miyun (sessanta chilometri a nord di Pechino), nella serata di giovedì, il quindicesimo giorno del primo mese del calendario lunare cinese.