Varie, 12 dicembre 2005
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Plame Valerie
• Anchorage (Stati Uniti) 19 aprile 1963. Spia • «[...] la spia il cui smascheramento d’identità nel 2003 è all’origine del cosiddetto scandalo Cia-gate [...] moglie dell’ex ambasciatore JosephWilson, l’uomo che rivelò all’Amministrazione che il presunto traffico di uranio tra il Niger e l’Iraq era una bufala» (’Corriere della Sera” 12/12/2005) • «Sembra una star del cinema, con quei capelli biondi freschi di parrucchiere, il sorriso stampato in bocca [...] quella mattina del 14 luglio 2003, quando in un articolo del Washington Post, firmato dal giornalista conservatore Robert Novak, lesse il suo nome accanto a quello del marito, l’ex ambasciatore Usa in Gabon Joseph C. Wilson IV: ”Ho sentito come un pugno nello stomaco, tutto mi è passato davanti agli occhi in un attimo e ho capito che non avrei potuto più fare il mio lavoro; la mia carriera è stata bruciata. Immediatamente ho temuto per la sicurezza della mia famiglia, degli altri agenti e per l’organizzazione per cui lavoravo”. Valerie lavorava per la Cia, era un’agente sotto copertura di cui nessuno (tranne i suoi capi e pochi colleghi) conosceva la vera identità. Alla ”Farm”, il centro di addestramento Cia a Camp Peary, in Virginia, la ricordano per la sua abilità nel maneggiare il kalashnikov; bella e determinata, di strada ne aveva fatta tanta, subito chiamata a diverse missioni segrete all’estero. Adesso racconta di come ha sempre saputo che la sua identità potesse essere scoperta da ”governi stranieri”, e come quindi sia una ”terribile ironia” il fatto che siano stati funzionari dell’amministrazione Usa a distruggere la sua copertura: ”Se il nostro governo non è stato capace di proteggere la mia identità, agenti stranieri che hanno intenzione di lavorare con la Cia e darci le informazioni di cui abbiamo bisogno, adesso ci penseranno due volte prima di farlo”. Attacca l´amministrazione Bush: ”Alti esponenti della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato hanno reso pubblica senza alcun riguardo e in modo irresponsabile la mia identità. Non ho potuto più svolgere il mio lavoro unicamente per motivi politici, un lavoro per cui ero stata addestrata ad alto livello”; nega di avere chiesto lei che il marito andasse in Niger (per indagare sul uranio venduto a Saddam, un falso che finì nel discorso allo Stato dell’Unione di Bush): ”Non l’ho raccomandato, non ho suggerito io il suo nome. Non c’è stato alcun caso di nepotismo, non ne avevo l’autorità”; e nega che la sua identità fosse già conosciuta negli ambienti politici di Washington: ”Non era certo una cosa risaputa nel circuito dei cocktail di Georgetown”. Ai politici (il primo fu Richard Armitage, ex vice di Powell al Dipartimento di Stato) che fecero il suo nome alla stampa, Valerie riserva una frase e un sorriso sprezzante: ”Avevano saputo tutti che lavoravo per la Cia, potevano forse non conoscere il mio stato (di agente sotto copertura, ndr) ma solo il fatto che lavoravo per la Cia avrebbe dovuto metterli in allerta”. Insiste sulla segretezza delle sue missioni (’posso contare sulle dita di una mano le persone che sapevano chi fosse il mio vero datore di lavoro, ero un agente in incognito, il mio ruolo doveva restare top secret per proteggere la mia rete di spie”), parla del suo lavoro (’ho amato la mia carriera perché amo il mio paese”), definisce la raccolta di informazioni ”più un’arte che una scienza”. Di lei fino al 14 luglio 2006 - quando, ormai ex-spia, era comparsa al National Press Club di Washington - si conosceva solo quella foto (anch’essa da Mata Hari in stile hollywoodiano) che Vanity Fair aveva pubblicato nel gennaio 2004, diversi mesi dopo che era esploso lo scandalo. Allora aveva gli occhiali neri e un foulard in testa, in secondo piano accanto al marito, seduti sulla loro Jaguar decappottabile. [...] la seconda vita di Valerie Plame inizia all’insegna della fama e dei soldi: le sue memorie (per cui ha avuto un anticipo di un milione di dollari) sono già pronte, e la sua storia sarà presto un film. Nel frattempo lei e il marito si sono comprati casa a Santa Fé, la città più trendy d’America» (Alberto Flores D£Arcais, ”la Repubblica” 17/3/2007).