12 dicembre 2005
Tags : José. Bono Martinez
BonoMartinez Jose
• Nato a Salobre (Spagna) il 14 dicembre 1950. «Soltanto nove voti in meno, lo zero virgola nove per cento dei suffragi. Nel luglio del 2000, al trentacinquesimo Congresso del Partido socialista obrero español, José Bono Martínez perse di pochissimo. Assai meno conosciuto di lui, José Luis Rodríguez Zapatero lo sopravanzò nella corsa alla leadership del partito. [...] è finito a fare il ministro della Difesa, ma non ha rinunciato a un ruolo di primissimo piano nella politica spagnola. Con il cantante irlandese,infatti, José ”Pepe” Bono non condivide soltanto il nome, ma anche una qual certa propensione a farsi illuminare dai riflettori del proscenio, sebbene avesse dichiarato in un passato non troppo remoto di non voler concorrere a cariche governative e di non voler abbandonare la sua regione di Castilla-La Mancha della quale è stato presidente per ventuno anni. Quando, però, il suo ex rivale interno Zapatero lo chiamò a far parte del proprio gabinetto, Bono cedette la propria presidenza regionale al suo vice José María Barreda Fontes e raggiunse lacapitale. Il suo primo incarico lo condusse subito sulle prime pagine: ritiro immediato dei soldati di Madrid dall’Iraq.’Le truppe che stanno per tornare sono quelle che non avrebbero mai dovuto partire”, commentò recisamente il neoministro, dichiarandosi perfettamente in linea con Zapatero. E, in seguito, interrogato sulla diversità dell’atteggiamento spagnolo in Iraq e in Afghanistan, cioè il repentino ritiro delle truppe da Baghdad e il rafforzamento della presenza a Kabul, spiegò in un’intervista al quotidiano La Razón che ”la grande differenza tra Afghanistan e Iraq è la medesima che c’è tra andare alle Cortes e chiedere l’approvazione, come ha fatto Zapatero, o andare alle Azzorre a farsi fare una fotografia con Bush, come ha fatto il Partito popolare”. Molti osservatori, al contrario, avevano da subito supposto che l’elezione di Bono, grazie al suo convincimento che ”il rinnovamento deve essere profondo ma non isterico”, fosse un contrappeso al nuovo premier,un laccio che mantenesse Zetapè nel recinto della moderazione. Poco più che maligne speculazioni di ”vipere”, secondo Bono, affascinato (a suo dire) dalla bontà del premier: ” difficile incontrare nella storia della Spagna un presidente con questa virtù”. I rettili di cui sopra, però, almeno parzialmente avevano visto giusto. Infatti,se è vero che il ministro della Difesa e Zapatero non si sono mai intralciati reciprocamente, è altrettanto vero che Bono è diventato l’alfiere di un socialismo più old fashioned, meno attento alle richieste movimentare e più incline invece a una riscoperta identitaria della solidarietà economica. Nato nel 1950 a Salobre, in provincia di Albacete, regione interna di quelle non ricchissime, un po’ appannate dalla distanza dal mare e anche da Madrid, Bono è un appassionato difensore dell’unità nazionale. Oppure, per dire meglio, è un ferocissimo nemico dei nazionalismi basco e catalano in cui non riesce a vedere altro se non un’egoistica pretesa di ulteriori privilegi per quelle che sono peraltro tra le più opulente aree del paese. I nazionalisti fanno del meschino vittimismo, ha detto a più riprese, ”mentre le uniche vittime della storia sono i poveri, ovunque vivano”. Chi guadagna di più paga più tasse e riceve meno aiuto, lo stesso deve valere per le regioni, pensa Bono (e guai a chi parla di nazioni catalana e basca, di nazione ce n’è una sola e sichiama Spagna). ”Tutti noi spagnoli siamo uguali quanto a diritti e ciò che è veramente disprezzabile e poco solidale è che ciascuna regione abbia una legge privata - un privilegio - per essere diseguale. Non bisogna dimenticareche il contrario di uguale è disuguale, non differente. Credo nell’uguaglianza dei diritti, benché come è ovvio abbiamo diritto alla differenza. Essere progressista, essere socialista, ha più a che vedere con l’uguaglianza che con le istanze identitarie per giustificare privilegi”, così Bono riassume il suo pensiero [...] descritto ora come populista ora come demagogo. Sicuramente un socialismo più tradizionale da un lato, più di grana grossa dall’altro. [...] è in sintonia con i sentimenti più popolani, più provinciali,f orte di un rapporto con la gente affinato in più di vent’anni di amministrazione locale e di robuste maggioranze. [...] non appartiene certo alla categoria dei pavoni cauti. Al contrario, è un tipo dal piglio polemico ed è noto per un atteggiamento outspoken. [...] Il suo essere cattolico praticante e socialista l’ha reso inevitabile bersaglio di un’insistita attenzione durante il dibattito sul matrimonio omosessuale, varato dal governo di cui fa parte. Dal lato dei sostenitori della legge qualcuno cominciò a guardarlo con sospetto dopo che si diffuse la voce che, in un incontro all’ambasciata di Madrid presso il Vaticano, avesse applaudito una nota critica alle nozze gay avanzata dal Camerlengo, il cardinal Eduardo Martínez Somalo, spagnolo della Rioja. Dal lato dei nemici della legge, invece, molti cercarono di indurlo a una sconfessione del governo o di porre quantomeno il suo ruolo politico in frizione con la sua coscienza. Monsignor José Gea Escolano, vescovo di Mondoñedo-Ferrol, gli spedì addiritturauna lettera in cui gli chiedeva di essere coerente e di non applicare un cattolicesimo à la carte. Ma Bono sul tema delle unioni gay, pur non essendone fra i più irrequieti vessilliferi, è stato sempre chiaramente al fianco di Zapatero, sostenendo che Cristo oggi sarebbe ben più scandalizzatodalla povertà che dagli orientamenti sessuali. Visto con insofferenza da alcuni a sinistra perché cristiano praticante e mal tollerato da altri nella comunità ecclesiale perché socialista, Bono è ben determinato ”a non dare soddisfazione né agli uni né agli altri”. [...]» (Guido De Franceschi, ”Il Foglio” 10/12/2005).