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 2005  dicembre 12 Lunedì calendario

Narducci Stefano, di anni 36, gastroenterologo di Perugia, laureato cum laude nel ’74, premio ”Silvestrini” per la tesi, figlio di Ugo (a sua volta primario di fama in ginecologia e noto massone), era sposato da quattro anni con Spagnoli Francesca, di anni 20, e conduceva un’esistenza luminescente di soldi, barche e vacanze coi suoceri, quando fu raggiunto in ospedale da una telefonata che gli stravolse i lineamenti

Narducci Stefano, di anni 36, gastroenterologo di Perugia, laureato cum laude nel ’74, premio ”Silvestrini” per la tesi, figlio di Ugo (a sua volta primario di fama in ginecologia e noto massone), era sposato da quattro anni con Spagnoli Francesca, di anni 20, e conduceva un’esistenza luminescente di soldi, barche e vacanze coi suoceri, quando fu raggiunto in ospedale da una telefonata che gli stravolse i lineamenti. Era l’8 ottobre 1985. Il Narducci si recò sul lago Trasimeno, montò su una barca e svanì. Cinque giorni dopo, il 13 ottobre, affiorò un cadavere livido e gonfio d’acqua: la famiglia Narducci lo riconobbe per quello di Stefano e senza voler sapere la causa del decesso lo seppellì. (segue dalla prima) La morte del Narducci venne catalogata come disgrazia fino a due anni fa, quando una minaccia telefonica (’paga o finirai come il medico del Trasimeno”) fece riaprire l’inchiesta, a Perugia. Un perito esaminò le immagini scattate al cadavere sul pontile del lago e scoprì che non poteva essere il Narducci: l’individuo fotografato, peraltro di apparente «razza negroide», era più basso di otto centimetri e più grasso di sei taglie. Sorpresa quando fu riaperta la bara: dentro c’era il vero Narducci, senza i segni dell’annegamento ma con l’osso del collo (ioide) spezzato. Mettendo insieme indizi e testimonianze, l’ipotesi degli inquirenti: il Narducci fu strangolato, legato e abbandonato sulla riva del Trasimeno (dove lo videro almeno in cinque), il padre brigò perché la cosa non si sapesse, procurandosi un altro cadavere da far emergere dalle acque ed effettuando prima della sepoltura la sostituzione con quello del Narducci (la bara transitò per la villa di famiglia, poi arrivò al cimitero). Complici: l’altro figlio, l’amico fraterno Francesco Trio, all’epoca questore, e il comandante dei carabinieri di Perugia, Francesco Di Carlo (tutti indagati per occultamento di cadavere). Ma anche, secondo lo storico Ferdinando Benedetti, con l’aiuto del Gran Maestro della loggia Bellucci, al quale Narducci padre si sarebbe rivolto per evitare uno scandalo che avrebbe danneggiato l’immagine della massoneria oltre che la propria. Voci insistenti dicevano infatti che il medico avesse fatto carriera nella setta della Rosa rossa (arrivando al grado di custode) e che avesse a che fare con il mostro di Firenze. Di certo era solito sparire per giorni. Andava a New York, a Cortina, ma più spesso a San Casciano Val di Pesa. Qui l’ospitava Francesco Calamandrei, allora quarantenne, farmacista, una tormentata vita familiare, futuro autore di quadri cupi, astratti e sofferenti, che avrebbe finito per firmare col codice fiscale ed esporre in mostre intitolate ”Pugni nello stomaco”. Nello stesso periodo, nell’ambulatorio attiguo alla farmacia si trovava in affitto Achille Sertoli, allora poco meno che cinquantenne, professore associato al dipartimento di Dermatologia dell’università di Firenze, esperto in allergologia, anche lui pittore per diletto. Li vedevano spesso uscire insieme: ristorante, tennis, ambigui festini in maschera per ville della campagna toscana (di cui il Calamandrei conservava le riprese). Erano gli anni 80. Vent’anni dopo, le ultime indagini sul mostro di Firenze indicano che sarebbero stati loro tre (assieme ad almeno altri due di cui si ignora praticamente tutto) a commissionare i delitti a Pacciani, Lotti e Vanni (noti in paese come Vampa, Katanga e Torsolo) al fine di procurarsi lembi di carne da utilizzare per messe nere, magie, esoterismi e quanto necessario per i riti della Rosa rossa. Era Narducci a occuparsi della conservazione sotto formalina di angoli pubici e brandelli di seno: dopo la sua morte ne fu trovato un barattolo pieno nel frigo di una casa che aveva preso in affitto (così testimonia un Beccaccioli Sante, ex autista di un alto magistrato perugino che gli raccontò l’aneddoto). Già dall’85, l’allora procuratore di Firenze, Pier Luigi Vigna, riceveva lettere anonime che parlavano di un coinvolgimento del Narducci nei delitti del Mostro. Già nell’85, la pista di una congrega era in due relazioni scritte da 007 del Sisde e mai consegnate ai magistrati (ne fu informato solo l’allora capo della polizia Vincenzo Parisi). Secondo alcune testimonianze, poi, tra l’86 e l’87 diverse logge si misero a far ricerche, scoprirono che il medico era effettivamente coinvolto, ma decisero di non far trapelare nulla. Due settimane dopo la sua morte, la squadra che indagava sul Mostro sequestrò il suo fascicolo personale all’università di Perugia, ma quel documento non entrò mai nell’inchiesta. Sparì anche una lettera fitta fitta, dalla grafia incomprensibile, che sarebbe stata lasciata dal Narducci nella villa di famiglia il giorno della scomparsa. Ora gli inquirenti ritengono plausibile che Narducci sia stato ucciso proprio per ordine della setta della Rosa rossa. ”Tanti adesso hanno raccontato ciò di cui erano a conoscenza”. Così spiega l’evoluzione delle indagini Michele Giuttari, capo dello speciale gruppo investigativo antimostro messo in piedi dal Viminale, già comandante della squadra mobile di Firenze, «brevilineo, capelluto, fegatoso» (così Dotto sull’Espresso), coautore con Carlo Lucarelli di un libro sul Mostro e ora in libreria con Scarabeo, romanzo ambientato a Firenze e incentrato su un assassino che incide lettere sul corpo delle vittime (45 mila copie in una settimana). Dotto riferisce che a San Casciano Val di Pesa, 16 mila anime, si parla di lui come di un «visionario, malato di protagonismo» (e dell’inchiesta sui mandanti come di «puttanate»).