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 2005  dicembre 09 Venerdì calendario

Questione d’oriente Foglio dei fogli 12/01/2004 «Che cosa sta succedendo in Medioriente? In poche settimane c’è stata un’accelerazione diplomatica impressionante

Questione d’oriente Foglio dei fogli 12/01/2004 «Che cosa sta succedendo in Medioriente? In poche settimane c’è stata un’accelerazione diplomatica impressionante. Come se dopo la cattura di Saddam Hussein gli Stati della regione si fossero convertiti a un nuovo realismo che tiene conto della situazione strategica determinata dalla presenza delle truppe americane in Iraq e della necessità di stabilire rapporti più concreti tra i paesi mediorientali - Israele compreso - e con la stessa Europa. [...] Forse è presto per dire che siamo entrati in un nuovo Medioriente ma sicuramente questa è la politica di nazioni e regimi che badano prima di tutto a difendere interessi concreti con un pragmatismo che può sembrare cinico ma è semplicemente quello della ragion di stato. Un messaggio chiaro, che non può sfuggire ai palestinesi, l’unico popolo mediorientale, insieme ai curdi, rimasto appunto senza uno Stato. Al Medioriente degli interessi nazionali e dei negoziati, palesi o segreti, se ne affianca un altro che fa crepitare i kalashnikov o esplodere gli uomini-bomba: è quello della jihad e del terrorismo, che non tratta con nessuno e vuole sovvertire monarchie e repubbliche ereditarie. A questo Medioriente dai due volti, per rimarginare ferite profonde, non serve soltanto un nuovo realismo dettato dalle circostanze ma anche una dose minima di democrazia e progresso civile» (’Il Sole-24 Ore” 8/1/2003). «’ arrivato davvero il messia”: è una frase che in Israele significa stupore totale e un filo di speranza. E di fatto, non mancano i motivi per sperare che il Nuovo Medioriente si sia avviato su per una lunga strada» (Fiamma Nirenstein, ”La Stampa” 8/1/2003). «Tre sono i fronti aperti da poco: dopo che Gheddafi ha annunciato la sua rinuncia alle armi di distruzione di massa, ecco che si viene a sapere di una serie di incontri fra rappresentanti della Libia e di Israele, fra cui uno con il figlio di Gheddafi stesso, Saif al-Islam. Ephraim Sneh, ex viceprimoministro israeliano, lo descrive come ”moderno, intelligente, sicuro di sé, carino”. Le intenzioni della Libia sembrano quelle di stabilire rapporti con Israele che facciano da ponte con l’Occidente e in particolare con gli Stati Uniti. [...] Secondo fronte: dopo che la strada intitolata a Teheran all’assassino di Anwar Sadat, Khaled el-Islambul, è stata chiamata ”via dell’Intifada” e un’altra strada della capitale iraniana è stata denominata ”via Sadat”, padre della pace israelo-egiziana, il vicepresidente iraniano, Muhammad Ali Abtani, ha annunciato che i rapporti con l’Egitto, rottisi con la pace in Israele, saranno ripresi. Anche questo è un modo di far sapere agli Usa che la strada della moderazione potrebbe diventare anche quella degli ayatollah. [...] Infine: Bashar Assad è impegnato in una visita in Turchia in cui mostra la sua migliore faccia e stringe la mano a un Paese che ha profondi rapporti economici e militari con Israele e gli Usa. Fra tutte questa mossa è la più controversa, accompagnata com’è da notizie di intelligence secondo cui un parente di Assad avrebbe nascosto buona parte delle armi letali di Saddam in Siria. E poi, non cessa l’estremismo verbale del giovane Assad che, nell’intervista pubblicata su questo giornale, insisteva sul proprio diritto a accumulare armi chimiche e biologiche» (Fiamma Nirenstein). Teheran rischia di accorgersi dell’entità sionista. «L’immane tragedia che ha colpito l’Iran in questi giorni ha avuto un effetto shock anche sulla politica estera degli ayatollah. [...] Apparentemente non è caduto però il tabù-Israele. L’America sì, Israele no: il presidente Mohammad Khatami ha respinto le condoglianze e l’offerta di sostegno d’Israele alle popolazioni colpite dal sisma, ribadendo che per la Repubblica islamica iraniana non esiste lo Stato d’Israele. Eppure l’offerta di Tel Aviv e quel rifiuto esibito da Teheran potrebbero essere le ultime battute di un dramma regionale che è destinato prossimamente a concludersi. Dietro le quinte della politica degli ayatollah stanno maturando infatti alcune novità fin qui inconfessabili». Il pensiero del professor Mahmud Sari-ol-ghalam, ascoltato membro del Centro di Studi strategici del ministero degli Esteri iraniano: «’Il 90 per cento delle nostre difficoltà, del nostro isolamento, derivano dal principio secondo cui l’Iran nega l’esistenza dello Stato d’Israele”, dice Sari-ol-ghalam, sottolineando ciò che lo Stato ebraico e la lobby israeliana rappresentano nella strategia statunitense per il Medioriente. ”Se qualche paese minacciasse seriamente la sicurezza d’Israele, sono sicuro che l’America non esiterebbe ad usare persino l’arma nucleare per difenderlo”. Dunque, ”se dobbiamo tenere innanzitutto conto dei nostri interessi nazionali, se vogliamo preparare delle prospettive economiche sicure per il nostro paese, se vogliamo la tecnologia occidentale per mettere in moto la nostra economia e se vogliamo seriamente negoziare con gli Stati Uniti, con la Russia e con gli europei le nostre esigenze, non ci resta altro che cambiare la nostra visione su una realtà chiamata Israele e comportarci nei suoi confronti come gli europei, criticandolo, ma senza metterne in discussione l’esistenza”» (Bijan Zarmandili, ”la Repubblica” 30/12/2003). Persino Hamas s’è ammorbidita. Il capo spirituale dell’organizzazione, lo sceicco Ahmed Yassin, 68 anni, ha dichiarato che Hamas, in cambio della costituzione di uno stato palestinese «provvisorio» in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza (con capitale Gerusalemme) è disposto ad accettare una «pace temporanea» con Israele. Il futuro del resto di quella che egli chiama la «Palestina occupata», cioè il territorio su cui sorge lo stato di Israele, «sarà deciso dalla storia». Dichiarazioni che lasciano pensare che Hamas stia imparando a convivere con l’esistenza dello stato ebraico (’Ansa” 8/1/2004). Ma c’è chi non si rassegna: Hezbollah. «’Morte all’America era, è e sarà il nostro slogan”, proclama il segretario del partito di Dio, Hassan Nasrallah, nei suoi comizi. Terrorizzando i libanesi, recentemente ha annunciato di voler lottare per liberare la Palestina, combattere Israele e gli Usa in una dimensione che vada ”oltre il Libano”» (Ugo Tramballi, ”Il Sole-24 Ore” 23/12/2003). Come si risolve il problema? «La soluzione passa dalla Siria, è lei che ha la formula per ridurre i miliziani di Dio in semplice partito libanese: qualcuno fa notare che Nasrallah spara le sue bordate ogni volta che il regime del giovane Bashar Assad a Damasco viene messo all’angolo dalle minacce americane. così che vanno le cose nel Levante: tutti sono responsabili di tutto e nessuno di niente, fino a che qualcuno non incomincia a sparare veramente» (Ugo Tramballi). Certo che pure la cosiddetta piazza araba... «I più grandi arabi di tutti i tempi? Per il pubblico televisivo islamico sono anche e soprattutto Osama, Saddam e Arafat. questo il primo esito del sondaggio popolare indetto dall’emittente satellitare di Dubai, Mbc, leader fra le reti generaliste arabofone coi suoi 130 milioni di audience». Il vincitore sarà proclamato solennemente al termine di un programma che sta per iniziare proprio su Mbc: ”Al Uzama” (’Francesco Ruggeri, ”Libero” 2/1/2004).