VARI, 9 dicembre 2005
Questione d’oriente Foglio dei fogli 06/10/2003 Ce n’est qu’un debut. "31 dicembre 1964, notte
Questione d’oriente Foglio dei fogli 06/10/2003 Ce n’est qu’un debut. "31 dicembre 1964, notte. Un reparto di guerriglieri palestinesi penetra dal Libano nel nord di Israele. Armati di esplosivi di fabbricazione sovietica e con indosso divise fornite dai siriani, avanzavano verso il loro obiettivo, apparentemente modesto: una pompa idraulica che porta nel deserto del Negev l’acqua della Galilea. Eppure, quello che si propongono è qualcosa di enorme. Membri di al-Fatah, (in arabo ”la conquista”, ma anche il rovescio dell’acronimo di Harakat al-Tabrir al-Falastin, Movimento per la liberazione della Palestina), vogliono arrivare alla prova di forza decisiva in Medioriente. La loro azione, sperano, scatenerà una rappresaglia israeliana contro uno dei paesi confinanti, il Libano stesso o la Giordania, innescando un’offensiva panaraba per distruggere lo stato sionista. L’operazione, la prima di al-Fatah, si conclude in un fallimento". Ma il leader del movimento, un trentacinquenne ex ingegnere di Gaza di nome Yasser Arafat, emette un comunicato di vittoria inneggiando al ”dovere della jihad” e agli ”arabi rivoluzionari dall’Oceano Atlantico fino al Golfo”" (Michael B. Oren, La guerra dei sei giorni, Mondadori 2003). URSS. Ion Mihai Pacepa fu capo dei servizi segreti romeni negli anni ’70, poi disertò e ora vive negli Stati Uniti. Yasser Arafat, come molti altri leader arabi, in quel periodo fu generosamente finanziato dall’Unione Sovietica, che tentava di estendere la sua influenza sul Medioriente (e sul suo petrolio). "Prima di disertare [...] avevo l’incarico di dare ad Arafat ogni mese, per tutto il corso degli anni Settanta, circa 200.000 dollari in denaro contante riciclato. Inoltre, inviavo a Beirut ogni settimana due aerei da trasporto carichi di uniformi e forniture varie". Per la rivista ”Forbes”, oggi Arafat "è il sesto uomo più ricco del mondo fra tutti i ”re, regine e despoti”, con oltre 300 milioni di dollari nascosti" nelle banche svizzere (Ion Mihai Pacepa, ”il Giornale” 24/9/2003). Dopo un incontro (nel febbraio 1972) con l’allora capo del Kgb, Yuri Andropov, Pacepa entrò in possesso della ”Cartella personale” di Yasser Arafat stilata dall’intelligence russa. "Si trattava di un borghese egiziano, trasformato in un devoto marxista dai servizi segreti stranieri del Kgb. Il Kgb lo aveva addestrato alla sua scuola speciale a est di Mosca e verso la metà degli anni ’60 decise di prepararlo a diventare il futuro leader dell’Olp. Prima di tutto, il Kgb distrusse le registrazioni anagrafiche sulla nascita di Arafat al Cairo, sostituendole con documenti fittizi dai quali risultava che era nato a Gerusalemme e perciò era palestinese di nascita" (Ion Mihai Pacepa). Il parere di Ephraim Halevy (ex capo del Mossad e fino a poco fa consigliere per la sicurezza nazionale di Sharon) su Arafat: " la figura più negativa del Medioriente. La sua bandiera è quella della violenza, della menzogna e dell’imbroglio. Ho incontrato molti leader arabi e posso dirvi che quello che noi diciamo di lui è nulla in confronto a ciò che dicono loro. Non c’è leader arabo che non sia rimasto scottato dalla sua indole traditrice, dalle sue menzogne, dai suoi discorsi vuoti" (’Internazionale” 19/9/2003). Secondo un sondaggio diffuso mercoledì 1 ottobre dalla stampa palestinese, il 74 per cento della popolazione dei Territori occupati sostiene la leadership di Yasser Arafat e solo il 21 per cento gli si oppone. Inoltre più della metà degli intervistati (il 58 per cento) ritiene il rais l’unico palestinese legittimato a firmare un accordo di pace con Israele (’Agi” 1/10/2003). Uccidere Arafat non è reato. L’invito a uccidere il presidente palestinese rivolto dal ”Jerusalem Post” dell’11 settembre al governo israeliano "non costituisce istigazione all’omicidio e non è perciò perseguibile penalmente". L’ha stabilito il procuratore generale d’Israele, Elyakim Rubinstein (’Ansa” 29/9/2003). "I bambini sono la pupilla degli occhi della lotta palestinese". una delle frasi preferite di Arafat, tanto che non dimentica mai di dirla in pubblico quando parla dell’Intifada (Fiamma Nirenstein, ”Panorama” 9/10/2003). Domenica 28 settembre è stato il terzo anniversario dell’Intifada di al-Aqsa (quella ancora in corso). La ricorrenza ha trovato "i Territori palestinesi nella più cupa miseria e senza il barlume di una speranza per il futuro se l’attuale stato di ”guerra a bassa intensità” dovesse protrarsi nel tempo. Le dimensioni della tragedia sono tutte nelle cifre: circa 2.200 vittime (per alcuni oltre 2.600) in gran parte civili; almeno sette miliardi di dollari di danni, suddivisi in mancata ricchezza prodotta (circa 6 miliardi) e in distruzioni materiali" (Paolo Migliavacca, ”Il Sole-24 Ore” 29/9/2003). L’Intifada e la crisi economica palestinese nei numeri dell’Ufficio statistico dell’Anp. Il tasso di sviluppo era al -5,4 per cento nel 2000, -15 per cento nel 2001 e -14,5 l’anno scorso. Nel triennio 2000-2003 il pil pro-capite si è quasi dimezzato. Le importazioni sono crollate di oltre il 40 per cento e l’export di oltre la metà. I turisti diretti ai luoghi santi sono pressoché spariti: erano 350mila nel 1999, 15mila nel giugno scorso (in soldoni: 550 milioni di dollari in meno, l’11 per cento del pil). Inoltre: 450 case demolite, oltre 3mila detenuti nelle carceri israeliane, due terzi della forza lavoro costretta all’inattività dai blocchi o dai prolungati coprifuoco israeliani (la disoccupazione, nel 2002, era al 32,4 per cento in Cisgiordania e al 64,3 nella Striscia di Gaza (Paolo Migliavacca). "Sono fiero di aver preso parte all’Intifada. Un leader che non partecipa alla rivolta per la libertà del suo popolo non può considerarsi un leader. Fintanto che prosegue l’occupazione militare non potrà tornare la calma". Così Marwan Barghuti, leader di al-Fatah in Cisgiordania, nell’udienza conclusiva del suo processo per terrorismo in Israele. "’Non sono mai stato per l’omicidio di innocenti, di donne o bambini - ha detto Barghuti - ma dobbiamo combattere l’occupazione israeliana. Siamo un popolo come qualsiasi altro. Vogliamo la libertà e uno Stato come gli israeliani, perché morire è meglio che vivere sotto occupazione”. Poi ha aggiunto: ”Non siamo turisti su questa terra, ci siamo da migliaia di anni, ma c’è posto per tutti”. Se l’occupazione non dovesse finire, ha proseguito, allora fra 4 o 5 anni la sola soluzione sarà ”uno Stato binazionale”" (Michele Giorgio, ”il manifesto” 30/9/2003). "Il governo Sharon, nonostante l’opposizione manifestata dall’amministrazione americana, ha approvato [mercoledì 1 ottobre] con diciotto voti a favore, quattro contro e un astenuto, la decisione di proseguire nella costruzione del ”muro” che separa Israele e le colonie dalla Cisgiordania palestinese. In particolare l’esecutivo ha dato il via alla realizzazione di alcune decine di chilometri della cosiddetta ”rete di sicurezza” nella zona che da Elkana a nord scende fino alle porte di Gerusalemme, nella base militare di Ofer. La nuova ”rete di sicurezza” avvolgerà Ariel, che con i suoi 18 mila residenti è il secondo insediamento ebraico nella Cisgiordania, ma non si collegherà al ”muro” principale che scorre vicino alla linea di demarcazione, la ”Linea verde”" (Fabio Cavalera, ”Corriere della Sera” 2/10/2003). La popolazione dei coloni israeliani negli insediamenti della Cisgiordania e della Striscia di Gaza è aumentata del 5,7 per cento nel 2002, passando da un totale di 208.200 alla fine del 2001 a 220.100 alla fine del 2002 (’Ansa” 23/9/2003). 560 milioni di dollari l’anno. è quanto costano agli israeliani gli insediamenti nei Territori. Secondo un bilancio fatto da ”Haaretz”, dal ’67 Gerusalemme ha speso per le colonie 10,1 miliardi di dollari (’Adnkronos” 25/9/2003). Dean Rusk, segretario di Stato Usa nel 1967, così spiegò la situazione mediorientale al presidente Lindon Johnson poco prima della terza guerra arabo-israeliana: "Alla psicologia della ”guerra santa” del mondo arabo corrisponde una psicologia apocalittica all’interno di Israele... Ognuna delle due parti sembra guardare con relativa serenità alla prospettiva di serie ostilità e ognuna è apparentemente sicura del successo... Qualcuno sta facendo un grave errore di calcolo" (Michael B. Oren). "Inutile farsi illusioni. Yasser Arafat è stato e rimane l’unico leader in grado di comandare i palestinesi" (Danny Rubinstein, editorialista di punta di ”Haaretz” e autore di un libro sul presidente palestinese) (Lorenzo Cremonesi, ”Corriere della Sera” 26/7/2003). I consigli di Peres. "Fare la pace è come fare l’amore: viene meglio nell’intimità, al chiaro di luna, che alla luce del sole e sotto gli occhi di tutti" (Giancesare Flesca, ”l’Unità” 15/5/2002). Secondo uno studio della John Hopkins University, nel settembre del 2002 a Gaza la malnutrizione acuta è una delle più alte del mondo: 13,3 per cento contro il 13,9 del Congo e il 13 dello Zimbabwe. I palestinesi hanno potuto sopravvivere solo grazie al forte aumento degli aiuti internazionali, non più concentrati però sugli investimenti infrastrutturali "ma sull’assistenza spicciola" (Paolo Migliavacca). "La road map non è un itinerario credibile. Delinea un percorso politico imposto. Non penso che un’intesa di questo genere sia un bene per Israele. E neppure per i palestinesi. La storia dimostra che ogni accordo imposto è stato temporaneo" (Ephraim Halevy).