9 dicembre 2005
Questione d’oriente Foglio dei fogli 29/09/2003 Il salvagente tedesco. "Non fosse stato per il cancelliere tedesco Schroeder, che gli ha offerto un ramo d’ulivo subito accettato, il presidente Bush e l’America sarebbero usciti umiliati dai due giorni di discorsi e di colloqui all’Onu, il peggiore sbocco possibile per l’Iraq e per i rapporti atlantici
Questione d’oriente Foglio dei fogli 29/09/2003 Il salvagente tedesco. "Non fosse stato per il cancelliere tedesco Schroeder, che gli ha offerto un ramo d’ulivo subito accettato, il presidente Bush e l’America sarebbero usciti umiliati dai due giorni di discorsi e di colloqui all’Onu, il peggiore sbocco possibile per l’Iraq e per i rapporti atlantici. Al Palazzo di Vetro di New York, Bush e la Superpotenza si erano trovati sotto assedio per il loro unilateralismo e per il ricorso alla guerra preventiva. Il discorso del presidente, conciliante nel tono ma rigido nel contenuto, e soprattutto fumoso nei programmi – ”un fiasco” secondo il ”Washington Post”, un suo sostenitore - sembrava addirittura avere reso più difficile, non facilitato, un accordo sulla risoluzione Usa. La pace con la Germania e la disponibilità a un compromesso manifestata del presidente russo Putin nell’incontro con Schroeder e Chirac, hanno migliorato il clima. Bush ha potuto lasciare l’Onu a testa alta, né vincitore né sconfitto" (Ennio Caretto, ”Corriere della Sera” 25/9/2003). Chirac, in un’intervista al ”New York Times”, aveva sottolineato che "a meno di provocazioni" la Francia non ricorrerà al diritto di veto per bloccare la proposta americana: "Il presidente francese tuttavia ha anche detto che così com’è formulata la risoluzione non riscuote l’approvazione francese e che dunque i suoi rappresentanti alle Nazioni Unite potrebbero astenersi. Chirac è stato chiaro nelle sue richieste: vuole un passaggio immediato di poteri all’Iraq e in particolare al governo provvisorio. Il presidente francese accetta che in una prima fase questo trasferimento possa essere puramente simbolico, ma chiede garanzie e scadenze precise, fra i sei e gli otto mesi, per la scrittura di una costituzione e per una chiamata alle urne del popolo iracheno. Bush, in un’intervista concessa alla Fox, ha risposto che i tempi previsti dai francesi potrebbero essere troppo stretti e ha comunque escluso che il governatore americano in Iraq, Paul Bremer, possa accettare una erosione dei suo poteri o che l’Onu possa assumere un ruolo di leadership operativa" (Mario Platero, ”Il Sole 24-Ore” 23/9/2003). Soluzioni per la risoluzione. Per la nuova Costituzione irachena sei mesi sono un tempo ragionevole. L’hanno detto venerdì sia il segretario di Stato, Colin Powell, che il governatore americano dell’Iraq, Paul Bremer (’Ansa” 26/9/2003). Momenti decisivi. "La vera svolta è avvenuta pochi giorni fa, quando l’ayatollah al-Sistani è andato a Baghdad e ha battuto il pugno sul tavolo attorno al quale erano seduti gli esponenti del nuovo governo. Forte dell’appoggio popolare, al-Sistani ha strappato una concessione dalle conseguenze imprevedibili: i ”padri costituenti”, cioè i partecipanti all’assemblea che si terrà, forse, il prossimo anno, saranno eletti e non nominati dagli americani. In tal modo gli sciiti ipotecano i futuri assetti del paese perché, essendo in maggioranza (il 60 per cento) in Iraq, potranno dettare i contenuti della nuova carta costituzionale" (Toni Fontana, ”l’Unità” 17/9/2003). Aliquote. "Il precedente regime del Baath aveva bandito il controllo straniero sulle società irachene, la vendita a società o cittadini esteri di beni immobili e un regime fiscale sui profitti delle imprese con una aliquota del 45 per cento. Le nuove leggi rovesciano del tutto tale impostazione: d’ora in poi le società straniere potranno acquisire il 100 per cento del controllo delle società in ogni settore, creare joint venture con partner locali e aprire loro filiali in Iraq. Tali misure riguardano anche il sistema bancario nel quale sei banche internazionali, scelte dagli Usa, potranno acquisire il controllo totale degli istituti di credito iracheni per un periodo di cinque anni. [...] Le misure decise da Bremer senza alcun dibattito neppure all’interno del Consiglio provvisorio, permetteranno inoltre alle società straniere di esportare il 100 per cento dei profitti in valuta estera mentre l’aliquota massima fiscale per privati e società non potrà superare il 15 per cento". Partiranno subito, inoltre, "nuove imposte su benzina, alberghi, risoranti, vendita di auto e successivamente, dal primo gennaio del 2004, una imposta generale sul reddito che graverà su tutti i cittadini iracheni, equiparati alle società multinazionali, che avrà una aliquota massima del 15 per cento" (Stefano Chiarini, ”il manifesto” 23/9/2003). "Omicidi, rapine e sequestri a scopo di ricatti sono all’ordine del giorno nella capitale in preda all’anarchia: all’obitorio dell’Istituto di medicina legale i medici stilano in media 70 autopsie ogni 24 ore. E nel resto del paese la situazione non è migliore. L’autostrada per la Giordania, nel tratto tra Fallujah e Ramadi, è diventato terreno di caccia per gli ”Alì Baba”, ladri e killer specializzati nel furto di veicoli e nel saccheggio di camion. Banditi armati di pistole e kalashnikov svaligiano gli appartamenti e seminano il terrore durante i blackout che affliggono le città irachene. Solo a Najaf i registri del cimitero certificano quotidianamente la sepoltura d’una ventina di cadaveri. Secondo un calcolo approssimativo sono quasi mille gli iracheni che ogni settimana perdono la vita: vittime della violenza comune o uccisi dalle forze di occupazione ai check point e nel corso dei raid americani nei sobborghi di Baghdad e nel ”triangolo sunnita”" (Giovanni Porzio, ”Panorama” 2/10/2003). Iraq Body Count, un gruppo di accademici e pacifisti angloamericani che raccoglie i dati sui decessi nel paese: dal 14 aprile al 31 agosto, nell’obitorio di Baghdad sono state registrate complessivamente 2.846 morti violente. Sottraendo il numero medio di decessi che si verificava prima della guerra, si arriva a 1.519 morti in eccesso (’Ansa” 26/9/2003). "Due interventi chirurgici non sono stati sufficienti a salvarle la vita. Akila al Hashimi, ferita in un agguato sabato scorso è morta [giovedì] alle 11 e 30. Il parlamentino iracheno di cui la 45enne esperta di politica internazionale faceva parte – l’unica tra le tre donne che vi siedono a non portare il velo benché sciita - ha proclamato tre giorni di lutto nazionale" (Renato Caprile, ”la Repubblica” 26/9/2003). "L’Onu dice che non è un’evacuazione, ma intanto continua a ritirare il suo personale dall’Iraq. E questo avviene proprio mentre gli Stati Uniti faticano a far passare una nuova risoluzione, che dovrebbe aumentare il ruolo del Palazzo di Vetro e i contributi militari della comunità internazionale. La notizia del nuovo ritiro è arrivata nel giorno in cui è morta Akila al Hashimi e il Pentagono è così preoccupato dalla situazione sul terreno che potrebbe richiamare altri 10.000 riservisti" (Paolo Mastrolilli, ”La Stampa” 26/9/2003). "Gli strateghi della comunicazione di Washington hanno proiettato nei giorni scorsi al Pentagono La battaglia di Algeri, il film di Gillo Pontecorvo sulla ”sporca guerra” di Parigi nella colonia nordafricana, con l’esplicito obiettivo di dimostrare come, dopo aver vinto la guerra, l’America rischi ora di perdere la pace. Nella battaglia di Baghdad molti degli errori dei generali francesi ad Algeri sono stati compiuti. [...] Se per ovvie ragioni storiche il paragone con l’Algeria sotto occupazione francese sembra forzato, sono invece evidenti le analogie tra l’odierno Iraq e il Libano degli anni Ottanta: un governo centrale di fatto inesistente, truppe di occupazione sotto attacco e incapaci di mantenere l’ordine, milizie armate organizzate su basi etniche e religiose, un fiorente commercio di armi e munizioni lungo i confini, ingerenze interessate dei paesi vicini, sequestri di persona, omicidi politici, autobombe di origine ignota" (Giovanni Porzio). Scuole di giornalismo? "Dai tombini rigurgitano i liquami, ci sono solamente 15 ore di energia elettrica al giorno e l’anarchia impazza per le strade di Baghdad, ma martedì l’inerme ”consiglio provvisorio” iracheno dell’America ha ruggito come un leone emanando una serie di limitazioni e minacce... contro la stampa, naturalmente. Rivolte prevalentemente ai canali satellitari arabi al-Jazira e al-Arabyia che trasmettono sempre le cassette registrate di Saddam Hussein, le norme quasi orwelliane - ciascuna delle quali inizia con ”non” – significano in pratica che la stampa irachena o straniera e le emittenti televisive possono essere chiuse se ”auspicano il ritorno del partito Baath o trasmettono qualsivoglia dichiarazione che rappresenti direttamente o indirettamente le posizioni del partito Baath (sic!)”. [...] Ci sono stati casi in cui la libera stampa irachena attualmente in tumultuosa crescita – nella sola Baghdad si pubblicano oltre cento quotidiani - ha incitato alla ”jihad” contro le autorità di occupazione fornendo altresì informazioni totalmente false sul comportamento dei soldati americani. Ma l’apertura di una scuola di giornalismo sarebbe più utile dell’elenco di divieti pubblicato ieri" (Robert Fisk, ”l’Unità” 25/9/2003). Secondo il tabloid britannico ”Sunday Mirror”, l’esercito Usa sta trattando con un rappresentante di Saddam Hussein: "A condurre i negoziati sarebbe a Washington il consigliere per la Sicurezza nazionale, Condoleezza Rice, in Iraq invece il generale Ricardo Sanchez. Saddam sarebbe ”disposto a rivelare nuovi dati sui suoi arsenali e i suoi conti bancari segreti all’estero”. In cambio vorrebbe un lasciapassare per la Bielorussia" (Lorenzo Cremonesi, ”Corriere della Sera” 22/9/2003). The Accelerator. Durante la sua visita alle truppe americane in Iraq, Bruce Willis ha offerto una ricompensa da un milione di dollari a chi catturerà Saddam Hussein. Willis, sostenitore del partito repubblicano, ha cantato davanti ai soldati assieme alla sua band, the Accelerator, a Telafar, nel nord dell’Iraq. Previste esibizioni anche a Tikrit, la città natale dell’ex dittatore iracheno, e per le truppe in Kuwait (’Adnkronos” 26/9/2003).