n, 9 dicembre 2005
Questione d’oriente Foglio dei fogli 08/09/2003 Gheddafi "verserà ai parenti dei morti di Lockerbie un totale di 2,7 miliardi di dollari: una prima rata alla revoca delle sanzioni Onu, la seconda al ritiro delle sanzioni americane (per ora improbabile), la terza alla cancellazione della Libia dalla lista Usa degli sponsor del terrorismo
Questione d’oriente Foglio dei fogli 08/09/2003 Gheddafi "verserà ai parenti dei morti di Lockerbie un totale di 2,7 miliardi di dollari: una prima rata alla revoca delle sanzioni Onu, la seconda al ritiro delle sanzioni americane (per ora improbabile), la terza alla cancellazione della Libia dalla lista Usa degli sponsor del terrorismo. L’accordo è già stato sottoscritto con gli avvocati dei familiari grazie al patrocinio di Usa e Gran Bretagna, che hanno inoltre garantito al colonnello che non intraprenderanno iniziative giudiziarie a suo carico. A sostegno dell’intesa viene osservato che ormai da anni la Libia non si presta a sospetti terroristici e tiene una buona condotta, che Tripoli desidera uscire dall’isolamento e aprire la sua petroleconomia agli investimenti occidentali e soprattutto che il cittadino libico Abdel Basset el-Megrahi, consegnato alla giustizia internazionale nel ’99, è già stato condannato da una corte scozzese non in grado di indagare su eventuali mandanti" (Franco Venturini, ”Corriere della Sera” 15/8/2003). L’opposizione francese all’intesa secondo ”Le Monde”: "L’accordo concluso con la Libia è frutto di un laborioso negoziato per indurre Tripoli a riconoscere una parte della sua responsabilità per l’attentato che ha provocato 270 morti nel 1988, quando un Boeing della PanAm si è schiantato a Lockerbie, in Scozia". Quest’accordo, però, "rischia di avere dei risvolti problematici. Anzitutto con la Francia. Le famiglie delle 170 vittime dell’attentato che nel 1989 ha colpito un Dc10 della Uta hanno tutte le ragioni di sentirsi prese in giro, visto che hanno ottenuto al massimo tra i tremila e i 30mila euro di risarcimento. Parigi ha minacciato d’avvalersi del proprio diritto di veto se Tripoli non farà un gesto equivalente verso quei morti, tra i quali vi sono moltissimi statunitensi. Libici e americani hanno accusato i francesi di ricatto" (’Internazionale” 22/8/2003). Realpolitik. "Dubbi morali a parte, l’Italia è fortemente interessata alla verifica di una simile evoluzione. Per gli interessi energetici che già ci legano a Tripoli, per il consolidamento della pace nel Mediterraneo e perché una levata delle sanzioni spianerebbe la via a quelle limitate forniture militari che Gheddafi reclama per poter controllare le migrazioni clandestine che attraversano il suo territorio dirette alle nostre coste. Consiste appunto in questo e non riguarda soltanto l’Italia, la realpolitik occidentale verso la Libia: avendo deciso di dimenticare, che serva a qualcosa" (Franco Venturini). "In fondo il colonnello Gheddafi fa parte del nostro album di famiglia. Negli ultimi decenni, [...] seguendo le sue peripezie, le sue svolte, le sue bizzarrie, non ci siamo soltanto scandalizzati, stupiti, indignati, ma ci siamo sentiti in qualche modo anche responsabili. Come accade con un parente d’acquisto. un sentimento che deve avere condiviso pure Giulio Andreotti. Come presidente del Consiglio o come ministro degli Esteri gli è capitato di mettere la mano sul fuoco per lui. Gli è capitato persino di perorare la causa di Gheddafi con Reagan e con Shultz, il suo segretario di Stato, proprio alla vigilia dell’attentato all’aereo della PanAm, a Lockerbie. [...]. I parenti (d’acquisto) fanno guai. Ma sono pur sempre parenti. E possono servire. Quando era nei guai, la Fiat non ricorse invano a Gheddafi. E Agnelli aveva il senso dell’estetica" (Bernardo Valli, ”la Repubblica” 19/8/2003). Prezzo del sangue. "Eppure non si può fare a meno di interrogarsi sull’aspetto morale di un simile risarcimento, chiaramente accettato dalla maggior parte delle famiglie che, comprensibilmente, vogliono chiudere la vicenda. Così, grazie all’assitenza legale di avvocati superpagati, uno stato potrebbe sbarazzarsi di ogni responsabilità penale limitandosi ad ammettere quelle civili. Come accade in alcune società tradizionali, insomma, verrebbe pagato il ”prezzo del sangue”" (’Internazionale”, 22/8/2003). "’Dio stramaledica il denaro! A che serve? Possiamo tranquillamente utilizzarlo per difendere il nostro paese”. Con queste parole Muhammar Gheddafi ha annunciato ai connazionali che non aveva perduto l’onore della Libia, ”saldando” in contanti le questioni sospese: Lockerbie, il Niger, la discoteca LaBelle" (Giampaolo Cadalanu, ”la Repubblica” 2/9/2003). La conversione liberista del colonnello. "In tutto ciò che era privato un tempo si annidava il demonio. C’era la mano diabolica del capitalismo, quindi dell’Occidente. Oggi tutto ciò che è pubblico, statale, genera povertà. sciupio. Va eliminato. Il petrolio, le banche, gli aeroporti, le telecomunicazioni, l’elettricità e tanti altri servizi pubblici dovranno rapidamente passare in mani private. Con la stessa foga con cui nazionalizzò, adesso Ghedaffi vorrebbe affidarsi al libero mercato. Ha fretta. Non tollera i ritardi. Sopporta male le esitazioni dei ministri. [...] Nei primi anni della rivoluzione la proprietà privata fu via via eliminata. Negli anni 70 lo slogan dominante era ”la terra è di chi la lavora, la casa è di chi l’abita”. Quando il connubio Islam-socialismo non dette i frutti sperati, all’inizio dei 90 fu decisa la privatizzazione di una parte del settore pubblico, attraverso un piccolo azionariato, e varie altre forme di partecipazione. Il fallimento fu aggravato dall’embargo economico, aereo e militare imposto nel ’92 (e poi sospeso nell’aprile ’99, ma mai annullato). Adesso Gheddafi vuole aprire la Libia al mondo" (Bernardo Valli). Oltre che sotto il profilo economico, Gheddafi può tornar utile all’occidente nella guerra al terrorismo. "Pur dichiarandosi ultrafedele, pur consegnando al famoso Libretto Verde una serie di massime religiose e patriottiche, il colonnello di Tripoli ha tenuto stato e clero ben lontani l’uno dall’altro. Ai mullah del suo paese non ha mai concesso molto. Nel suo trentennio Gheddafi può ascrivere a suo merito la costruzione di 103 ospedali, 11 università, 8 aereoporti, 25mila chilometri di strade. Ma di moschee ne ha costruite soltanto 3. D’altra parte la fede del beduino è anarchica e imprevedibile come il temperamento del leader libico. Il quale s’è avvicinato all’occidente già prima della guerra all’Iraq, prendendo le distanze da Saddam ma soprattutto dalla Lega Araba, andandosene dall’ultimo vertice nel Bahrein sbattendo la porta e insultando a morte l’Arabia Saudita" (Giancesare Flesca, ”l’Unità” 4/9/2003). "Assolutamente imprevedibile in politica, una specie di Bossi arabo, ma al cubo. Il classico vicino scomodo, ma utile e in ogni caso prodigo di provocazioni e minacce, tipo pretendere l’annessione delle Tremiti alla Libia, o rivelare che Napoli è sotto tiro. Craxi gli ha dato una volta di ”Capitan Fracassa”. Ma un giorno del 1986 due missili sono partiti per Lampedusa (c’è comunque un giallo anche su questo). Interessante è come Gheddafi abbia anticipato l’evoluzione della vita pubblica nel senso mediatico-televisivo: audio e video-cassette sulla Jamahiriya fin dagli Anni 70, acquisto di emittenti in Sicilia, spot sulle reti Fininvest, campagne e pellegrinaggi sulle tombe di esuli libici. Perfino il format della crociera propagandistica fu inaugurato uno dozzina d’anni prima della nave berlusconiana ”Azzurra” [...] Una specie di ”Quarta Sponda Show” che nel tempo ha visto autocandidature al Quirinale, offerte di salvataggio di Venezia, disponibilità a pagare gli avvocati di Andreotti e ad acquistare le quote latte. Ma nella recente storia economica d’Italia la Libia ha avuto un ruolo considerevole: basti pensare alla Fiat" (Filippo Ceccarelli, ”La Stampa” 18/8/2003). Rivelazioni italiane. "Il colonnello Muammar Gheddafi ha una nuova verità sul caso Ustica. Ne ha parlato a lungo, nell’ultimo discorso alla nazione tenuto a Tripoli in occasione del trentaquattresimo anniversario della Rivoluzione libica. ”Nel 1980 - ha detto il leader libico - furono gli americani ad attaccare e abbattere l’aereo civile che era in volo sull’isola italiana di Ustica. Gli americani credevano che ci fossi io su quel velivolo e per questo lo hanno attaccato”" (Francesco Grignetti, ”La Stampa” 2/9/2003). "Già in passato il colonnello libico aveva rilasciato dichiarazioni simili: il 14 novembre 1988, rispondendo alla domanda di un giornalista, aveva infatti dichiarato: ”Quello che ha abbattuto il Dc 9 a Ustica era un missile americano e questo credo che ormai lo sappiano tutti”. Nel gennaio 1990, infine, ancora una volta Gheddafi ritornò su Ustica affermando che il 27 giugno del 1980 un suo aereo personale stava volando ”in quella zona diretto in Italia per riparazioni”. Lui non c’era, ma gli americani invece, disse, credevano che fosse a bordo e cercarono di abbattere l’aereo per ucciderlo, colpendo invece ”l’aereo italiano e un altro aereo libico”" (Gianni Cipriani, ”l’Unità” 2/9/2003).