9 dicembre 2005
Questione d’oriente Foglio dei fogli 25/08/2003 Alle 4,30 del pomeriggio del 19 agosto un camion bomba guidato da un kamikaze è esploso contro il Canal Hotel, sede delle Nazioni Unite a Baghdad: almeno 24 morti e più di cento feriti il bilancio
Questione d’oriente Foglio dei fogli 25/08/2003 Alle 4,30 del pomeriggio del 19 agosto un camion bomba guidato da un kamikaze è esploso contro il Canal Hotel, sede delle Nazioni Unite a Baghdad: almeno 24 morti e più di cento feriti il bilancio. "Dietro alla finestra che stava proprio sopra il camion lavorava Sergio Vieira de Mello, il diplomatico brasiliano inviato dal segretario generale Kofi Annan in Iraq per ricostruire il rapporto con gli americani e aiutare la gente a tornare a una vita normale" (Paolo Mastrolilli, ”La Stampa” 20/8/2003). "Brasiliano di nascita, ma ”cittadino del mondo” come scelta, Vieira de Mello aveva cinquantacinque anni, e da trenta lavorava nelle strutture dell’Onu. Aveva cominciato nel 1969 a Ginevra presso l’Alto commissariato per i rifugiati, spostandosi poi in ogni angolo sfortunato del pianeta. Nel 1998 Kofi Annan lo nominò sottosegretario generale per gli affari umanitari e lo mandò prima nel Kosovo, poi a Timor Est per guidare la rinascita del paese. Affabile, disciplinato, abile, pieno di energia e doti diplomatiche, vestito con eleganza, sicuramente ambizioso, de Mello era capace di ottenere sempre risultati concreti, visibili. Di qui le voci che potesse, un giorno, puntare alla poltrona di segretario generale" (Arturo Zampaglione, ”la Repubblica” 20/8/2003). Escalation. "A metà luglio nella zona di Hilla, 80 chilometri a sud di Bagdad, erano stati assassinati in due attentati un dipendente della Croce Rossa Internazionale e subito dopo un dipendente dell’Onu proveniente dallo Sri Lanka. E la situazione era precipitata con l’attentato contro l’ambasciata giordana di Baghdad (almeno 16 morti, ma non è mai stato reso noto un numero ufficiale) il 7 agosto" (Lorenzo Cremonesi, ”Corriere della Sera” 20/8/2003). "Poche ore prima che saltasse per aria il palazzo dell’Onu, e morisse tra le macerie con altri il bravo Sergio Vieira de Mello, il governatore americano dell’Iraq ha fatto una sorprendente dichiarazione a ”al-Hayat”, un giornale di Dubai. Ha detto che soltanto la cattura o l’uccisione di Saddam Hussein segnerà la vera fine del suo regime. Dunque, per Paul Bremer, massima autorità della superpotenza occupante, il regime iracheno [...] sopravviverà finché il suo capo non sarà abbattuto [...] Se questa è la convinzione dell’inviato di Bush, figurarsi quel che passa per milioni di cervelli iracheni" (Bernardo Valli, ”la Repubblica” 20/8/2003). "Che cosa ha spinto gli attentatori a colpire il più che altro simbolico centro dell’Onu di Baghdad? Chi sono e che obiettivi si prefiggono? In attesa di elementi di fatto o di rivendicazioni (che in Iraq sono state rare e poco attendibili) ci si può solo porre degli interrogativi" (Boris Biancheri, ”La Stampa” 20/8/2003). Ansar al-Islam. "Il gruppo integralista che durante la guerra le forze alleate curdo-americane sbaragliarono nel Kurdistan iracheno è considerato dall’intelligence Usa, rivela ”Newsday”, il possibile responsabile dell’attacco contro il quartier generale delle Nazioni Unite in Iraq". Per molti, Ansar è il nesso tra Al Qaida e il vecchio regime di Baghdad (Marco Ansaldo, ”la Repubblica” 21/8/2003). Cambiamenti. "L’Iraq di Saddam è diventato l’Iraq di Al Qaeda" (Mimmo Candito, ”La Stampa” 21/8/2003). "Se i generali del Pentagono riprendono i manuali dedicati agli ultimi 50 anni di guerriglie avranno motivi per preoccuparsi. Il Vietnam, il conflitto in Libano, l’inferno della Somalia, il mattatoio ceceno e i 3 anni di intifada dicono una cosa sola. Mutano gli eserciti e le tattiche, ma gli esiti sono quasi sempre gli stessi. L’occupante non può piegare l’occupato a meno che non cambino le condizioni politiche. In attesa che queste condizioni maturino le contromisure spettano agli uomini in divisa" (Guido Olimpio, ”Corriere della Sera 20/8/2003). "La debolezza del governo provvisorio, la porosità dei confini e l’aumento del contrabbando sono condizioni ideali per lo sviluppo di una resistenza armata nella quale confluiscono, con la comune parola d’ordine della lotta all’invasore, forze disparate: oltranzisti del Baath, ex membri dei servizi di sicurezza, ufficiali della Guardia repubblicana ed ex fedayn Saddam attivi a Baghdad e nelle province di Tikrit, Samarra e Baquba; fondamentalisti sunniti arroccati a Fallujah e Ramadi; leader tribali delusi; familiari delle vittime civili che hanno giurato vendetta; mujaheddin arabi votati alla jihad; fiancheggiatori di Al Qaida; integralisti sciiti che sognano l’instaurazione di una repubblica islamica, sbandati che vogliono intascare la ricompensa di 5 mila dollari offerta per l’uccisione di un soldato americano" (Giovanni Porzio, ”Panorama” 28/8/2003). Cecenia mesopotamica. " tecnicamente impossibile che gli Usa, la Gran Bretagna perdano la guerra appena vinta. L’Iraq non è la Somalia e neanche la Beirut del primo attentato suicida a una Ambasciata d’America. Rischia tuttavia di diventare una Cecenia mesopotamica" (Igor Man, ”La Stampa” 21/8/2003). Jugoslavia mediorientale. "L’occupazione americana dell’Iraq è stata la conquista di uno spazio vuoto. Il poligono militare e petrolifero di Saddam si è come dissolto e alla superficie è apparso un Iraq che gli Usa [...] non avevano neppure provato a immaginare. Un paese caotico, anarchico, frammentato in gruppi etnici, tribali, con fratture religiose e culturali profonde: una sorta di Jugoslavia mediorientale pronta a esplodere in mille schegge" (Alberto Negri, ”Il Sole-24 ore” 21/8/2003). Simil-Afghanistan. "Si va ripetendo in Iraq una situazione simile a quella dell’Afghanistan, dove l’assenza dello Stato consente il rapido radicamento delle cellule terroristiche. Gli ”afghani” ch’erano dovuti scappare da Kabul, Herat, Jalalabad o Kandahar [...] ora sono stati richiamati a riempire il vuoto creatosi nell’Iraq del dopo-Saddam. In guerra, ogni vuoto lasciato sul terreno viene occupato immediatamente dal nemico" (Mimmo Candito, ”La Stampa” 21/8/2003). I punti da tenere a mente. "Il primo è la luttuosa realtà di questa coorte di aspiranti martiri: il rapido ingrossamento e l’espansione [...] dell’ondata suicida. E il secondo punto è che sarebbe un’illusione credere, di fronte alla vastità e inarrestabilità del fenomeno, che a preoccuparsene debbano essere solo gli Stati Uniti e Israele. Che gli unici a trovarsi sotto il tiro delle bombe umane siano gli americani e gli israeliani. Non è così: quel che sta accadendo è una specie di 11 settembre globale" (Sandro Viola, ”la Repubblica” 21/8/2003). Neo-onusianesimo. "Una nuova risoluzione delle Nazioni Unite, che autorizzi l’invio in Iraq d’una forza multinazionale di polizia; una forte presenza di sicurezza, e nelle sue file anche Paesi come India, o Turchia e Russia, che in marzo si opposero all’attacco contro Bagdad. In ogni caso, molti più Paesi di quelli finora mobilitati: tutti devono ”fare di più”. ciò che chiedono America e Gran Bretagna" (Luigi Offeddu, ”Corriere della Sera” 22/8/2003). Carenze. "Il nodo della questione era, e resta, il medesimo. Con l’aggravante rispetto al mese di maggio che nell’Iraq centrale si è sviluppata una guerriglia feroce, che [...] ha reso manifesta la carenza di uomini sul terreno: ce ne sono poco più di 150 mila e ne servirebbe il triplo". Il National Security Council, prima che scoppiasse la guerra, aveva stabilito che ”per mettere in sicurezza” l’Iraq servivano 500 mila uomini (’il Riformista” 21 e 22/8/2003). "Si gioca in Asia una delle partite diplomatico-militari più importanti che ruotano attorno alla possibile nuova risoluzione dell’Onu. Se il colpo riesce, potrebbe sbloccarsi il nodo che riguarda due dei più corposi possibili collaboratori militari di una forza multilaterale sotto egida Onu: India e Pakistan, che hanno sempre vincolato l’invio dei loro uomini a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza". Nuova Dehli potrebbe mandare un corpo di spedizione di 18mila uomini: "Quanto a Islamabad, di numeri non ne ha fatti, ma l’apporto sarebbe certo sostanzioso" (Emanuele Giordana, ”il Riformista” 22/8/2003). "L’esperimento in corso in Iraq può seminare nel mondo arabo e in Medio Oriente una speranza di libertà. Se invece fallisse sarebbe la fine di ogni dialogo, da Gerusalemme all’Iran, una nuova stagione di pena per gli iracheni e i campi petroliferi ostaggio di fanatici. In autunno l’Onu ha in programma una Conferenza per gli aiuti all’Iraq: il miglior omaggio ai caduti di ieri sarebbe vedere tutti i paesi occidentali in gara per la ricostruzione senza gelosie" (Gianni Riotta, ”Corriere della Sera” 20/8/2003).