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 2005  dicembre 09 Venerdì calendario

Questione d’oriente Foglio dei fogli 11/08/2003 "’L’America vuole cominciare a processare i detenuti musulmani a Guantanamo e dice che potrebbero venire condannati a morte

Questione d’oriente Foglio dei fogli 11/08/2003 "’L’America vuole cominciare a processare i detenuti musulmani a Guantanamo e dice che potrebbero venire condannati a morte. Se così sarà, giuro nel nome di Dio che la pagherà cara”. Dalla tv araba al-Arabiya il numero 2 di Osama bin Laden, Ayman al-Zawahiri, ha lanciato una nuova minaccia agli Stati Uniti. L’audio, della cui autenticità al-Arabiya si dice certa, è il primo di Al Qaida dal 21 maggio scorso. [...] ” bene che l’America sappia che quanto è accaduto sinora erano solo scaramucce, il vero conflitto deve ancora iniziare. Deve anche essere chiara un’altra cosa. Se l’America torturerà i detenuti, sarà come se torturasse se stessa. Se li processerà, sarà come se processasse i suoi figli. Se li condannerà, sarà come se condannasse il suo popolo” [...] Proclami del genere sono spesso il preavviso di un’offensiva terroristica" (Ennio Caretto, ”Corriere della Sera” 4/8/2003). "Egiziano, laureato in medicina, 50 anni circa d’età, al-Zawahiri era considerato la mente di Al Qaida, prima di sparire dalla circolazione all’inizio dell’intervento militare in Afghanistan (ottobre 2001). A capo dell’organizzazione islamica egiziana al-Jihad, Zawahiri lasciò l’Egitto a metà degli anni 80, dopo aver scontato tre anni di carcere per il suo coinvolgimento nell’omicidio del presidente Anwar Sadat, il 6 ottobre 1981. Successivamente tentò di costruire una base della Jiahd in Cecenia, prima di confluire col suo gruppo in Al Qaida e divenire il principale collaboratore di Osama" (Gabriel Bertinetto, ”l’Unità” 4/8/2003). "Osama è riconoscente a Zawahiri perché gli porta in dote una buona parte dei radicali egiziani. Sono gli ufficiali della Jihad islamica che diventano i quadri operativi di Al Qaida. sempre il ”dottore” a forgiare un’alleanza operativa col Gia algerino e il successivo Gruppo Salafita per la predicazione e il combattimento. Zawahiri comprende - e trasmette il concetto al boss - che è l’Occidente il terreno della battaglia. Con passaporti europei di copertura gira dall’Europa agli Stati Uniti, predica Jihad e raccoglie dollari" (Guido Olimpio, ”Corriere della Sera” 4/8/2003). Daniel Pipes, islamista, ricercatore universitario, giovane pupillo della destra americana: "Dobbiamo svegliarci, prima che arrivi un altro massacro. Qui è in gioco il nostro modello di mondo contro il loro" (Raffaella Menichini, ”la Repubblica” 3/8/2003). Pochi giorni dopo il nastro di Ayman al-Zawahiri, un attentato al Marriot Hotel di Giacarta uccide una ventina di persone: "Con atroce immediatezza gli emuli o affiliati indonesiani di Al Qaida danno corpo a quelle minacce mandando un kamikaze a colpire un obiettivo americano nel pieno centro di Giacarta. Americano l’hotel, il Marriot, indonesiane quasi tutte le vittime. Ma nel fanatismo ideologico del fondamentalismo armato poco importa se qualche correligionario viene sacrificato all’obiettivo numero uno: tenere alto il livello dello scontro coi governi ”crociati”, seminare il panico fra i cittadini degli stati occidentali, scoraggiare gli investimenti stranieri nei paesi di tradizione islamica, indebolire i regimi filo-americani nel mondo musulmano e dimostrare che l’America non è invincibile" (Gabriel Bertinetto, ”l’Unità” 6/8/2003). "Simon Leuning, turista australiano, aveva appena fatto il check-in. Il tempo di mettere giù le valigie e la finestra della sua stanza al decimo piano gli è esplosa addosso. [...] Al pianoterra, al posto della hall, c’era solo una colonna di fumo nero. Cadaveri bruciati, pozze di sangue, auto in fiamme, macerie, vetri. E poi ambulanze, vigili del fuoco, le camionetta della ”Polisi”, la polizia indonesiana. [...] Non è stato un aereo, come l’11 settembre 2001 a New York. Ma un’autobomba, come a Bali nel 2002. Un veicolo imbottito di esplosivo è saltato in aria intorno alle 12 e 30 [martedì 5 agosto] davanti all’Hotel Marriott nel cuore di Giacarta" (Michele Farina, ”Corriere della Sera” 6/8/2003). Strategie. "Un terrorista arrestato nelle Filippine ha raccontato che i suoi fratelli indonesiani hanno deciso la strategia subito dopo l’11 settembre. Puntavano a colpire non i simboli del ”satana americano” ma l’economia del loro paese, non i palazzi del potere ma i luoghi in cui turisti e uomini d’affari occidentali usano ritrovarsi. Dalla strage di Bali il turismo, che è fonte di sopravvivenza per l’Indonesia, ha fatto registrare perdite stimate in 25 miliardi di euro. Adesso il nuovo attentato al Marriott apre scenari ancor più catastrofici" (Giuseppe Zaccaria, ”La Stampa” 6/8/2003). Il proconsole Hambali. "Il primo allarme è partito da Manila, alla metà di luglio quando ”Mike il bombardiere” è evaso. Con lui in libertà, le fazioni islamiche vicine ad Al Qaida hanno ritrovato un artificiere temibile, capace di preparare ordigni sofisticati ed eventualmente passare la sua conoscenza a dei complici. Mike, il cui vero nome è Fathur Al Ghozi, fa parte della rete di Riduan Isamuddin, alias Hambali, il proconsole di Osama nel Sudest asiatico [...] Trentasette anni, figlio di un povero contadino indonesiano, Hambali racchiude tutte le caratteristiche che hanno fatto di lui l’Osama d’Oriente. Carismatico, ossessionato dalla segretezza, è capace di convincere un discepolo a diventare kamikaze. Dopo essersi trasferito in Malaysia, nell’85, Riduan Isamuddin si reca in Afghanistan dove si unisce ai mujaheddin islamici". Quando torna, nel 1995, è un agente di Al Qaida (Guido Olimpio, ”Corriere della Sera” 6/8/2003). L’Indonesia, paese musulamano tradizionalemente tollerante, sta cambiando: "Il velo è per la prima volta indossato in massa dalle donne, i programmi religiosi in tv hanno enorme successo, perfino le pop star più famose come Titiek Puspa vanno in pellegrinaggio alla Mecca e ne danno notizia. Nelle università e nelle scuole il proselitismo impera e intanto, da più fronti, è sotto attacco la ”contaminazione” dell’Islam coi riti locali" (Cecilia Zecchinelli, ”Corriere della Sera” 6/8/2003). "Sin da bambino volevo diventare un kamikaze". Così Amrozi bin Murhasyim davanti ai giudici che lo processavano per la strage di Bali. stato condannato a morte (’Corriere della Sera” 6/8/2003; ”Ansa” 7/8/2003). "Al Qaida sta preparando un grande attentato negli Stati Uniti. L’intelligence ha informazioni secondo cui l’attacco dovrebbe avvenire nel 2004 e teme che vengano usati agenti biochimici". il parere di Vincent Cannistraro, ex capo dell’antiterrorismo Cia, che lega le nuova offensiva terroristica alla resistenza in Iraq: "Centinaia di uomini legati ad Al Qaida sono partiti da paesi come Albania e Algeria per andare a colpire gli americani a Baghdad" (Paolo Mastrolilli, ”La Stampa” 4/8/2003). Dopo l’attentato all’ambasciata giordana a Baghdad di giovedì 7 agosto (19 morti), in Iraq si profila lo scenario peggiore ipotizzato dal Pentagono: "I nemici si moltiplicano sul campo. Non solo gli irriducibili di Saddam, la minoranza sunnita timorosa di fare le spese del nuovo ordine e gli estremisti sciiti che quell’ordine vogliono dominare. Ma anche i seguaci del radicalismo islamico che in modo convenzionale chiamiamo Al Qaida". [...] Dietro l’attentato all’ambasciata giordana potrebbe esserci Abu Mussab al-Zarkawi, un terrorista giordano-palestinese "considerato l’agente di influenza di Osama nell’area" (Guido Olimpio, ”Corriere della Sera” 8/8/2003). Qual è la notizia? "La piccola guerriglia che confonde e svena i GI ha fatto un salto di qualità. Questo sembra dire l’attentato all’ambasciata di Giordania a Baghdad. Sembra, perché nel mondo arabo non bisogna mai fidarsi delle apparenze. Con tutto il rispetto per le vittime innocenti dell’attentato, la notizia è l’invasione della sede diplomatica da parte d’una folla inferocita: ”Sono stati fatti a pezzi ritratti del re di Giordania Abdullah II e di suo padre Hussein”" (Igor Man, ”La Stampa” 8/8/2003). L’infida Giordania. "Re Hussein, con la pace con Israele e con molteplici passi politici si riqualificò agli occhi occidentali come uno dei leader arabi più moderati, più democratici, più pacifisti. Questo naturalmente è stato di nuovo utilizzato da vicini per rinfocolare l’antica antipatia per la dinastia messa al potere dai britannici ai tempi del congresso di Sanremo. Questo modo di vedere è cresciuto a dismisura col dispiegamento (prima negato e poi ammesso) di truppe e mezzi bellici americani sul territorio giordano deciso dal giovane re Abdullah alla vigilia della guerra di Bush. Si è rinnovata così la fama della Giordania ”Paese traditore” che per primo il leader panarabista per eccellenza, Ghamal Nasser, usò attivamente nella sua politica egemonica nel Medioriente" (Fiamma Nirenstein, ”La Stampa” 8/8/2003). "C’è un legame tra le bombe di Giacarta e quelle di Baghdad, tra la guerriglia irachena e gli integralisti della guerra santa, l’instabilità cronica del Medioriente e gli attentati di quest’anno a Riad e in Marocco? Sono eventi diversi, prodotti in situazioni differenti ma sullo sfondo di uno scenario comune: la crisi di civiltà del mondo arabo e musulmano, in cui giocano una parte importante, fondamentale, il confronto quotidiano con le idee occidentali e sanguinosi problemi politici irrisolti, dalla Palestina al Kashmir, al fallimento degli esperimenti nazionalisti e di modernizzazione" (Alberto Negri, ”Il Sole-24 ore” 8/8/2003). Scott Atran per la rivista ”Science”: "Attraverso i suoi contatti coi gruppi regionali, Al Qaida mira a realizzare in modo flessibile il suo progetto di distruzione dell’occidente". Ma "chiamare l’attuale ondata di radicalismo islamico ”fondamentalismo”, oltre a essere fuorviante è quasi un ossimoro. I radicali di oggi, siano essi sciiti (Iran, hezbollah) o sunniti (taliban, Al Qaida), nello spirito e nel comportamento si avvicinano più ai controriformisti europei postrinascimentali che a qualsiasi altro movimento tradizionale della storia musulmana. L’idea di un’autorità ecclesiastica dominante, di uno stato o di un governo composto da membri del clero, o di una polizia religiosa impegnata a sradicare l’eresia e la blasfemia ha il suo modello storico nell’inquisizione. L’idea che la religione deve conquistare il controllo sulla politica è assolutamente nuova per l’Islam" (’Internazionale” 6/6/2003).