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 2005  dicembre 05 Lunedì calendario

Asashoryu, McEnroe del sumo. La Stampa 05/12/2005. Il McEnroe del sumo - lo sport nazionale giapponese, due montagne di carne che tentano di buttarsi fuori da un ring circolare di paglia di riso davanti ad un pubblico in estasi - si chiama Asashoryu

Asashoryu, McEnroe del sumo. La Stampa 05/12/2005. Il McEnroe del sumo - lo sport nazionale giapponese, due montagne di carne che tentano di buttarsi fuori da un ring circolare di paglia di riso davanti ad un pubblico in estasi - si chiama Asashoryu. Ha 25 anni, lotta con la grazia e la potenza di un "Dragone blu all’alba", come recita più o meno la traduzione del suo nome, e quest’anno ha vinto sette tornei di fila, dodici negli ultimi sedici disputati, 84 incontri nel corso di un trionfale 2005 che lo ha visto perdere appena 6 assalti. Una cosa mai vista. Un record alla Schumacher degli anni d’oro, alla Valentino Rossi, alla Federer. E’ lo yokuzuna del momento, ovvero il rikishi (lottatore) più forte di tutti, quello che occupa una posizione unica. Un re, un semidio, un eroe. Ma l’enfant prodige ha due grossi difetti, agli occhi dei sudditi dell’Imperatore: è mongolo, non giapponese. Ed è un gran maleducato. Le sue bizze, sui parrucconi della Japan Sumo Association, hanno lo stesso effetto di quelle che il supermoccioso di New York riservava al Committee di Wimbledon: esacrazione, scandalo, rossore. Asashoryu contesta i verdetti dei giudici, cosa inaudita, e nel 2003 è stato addirittura squalificato per aver trascinato a terra il suo avversario tirandolo per i capelli, mossa blasfema per le regole dello sport. Si ubriaca, e una volta in preda al furore alcoolico ha aperto con un pugno la porta di casa del suo oyakata, l’allenatore e mentore, perché non gli andava più di versare al maestro una bella fetta della pecunia vinta sul campo (e persino dei regali di nozze), come vuole la tradizione. Come McEnroe, però, si fa perdonare mostrando miracoli tecnici, di personalità, di invenzione. Quelli che agli occhi di noi occidentali paiono brutali spintoni fra asiatici gravemente obesi - sumo in fondo significa proprio "strattonarsi" - per gli aficionados sono in realtà raffinatezze, perle, colpi di tacco. Asashoryu muove così bene i suoi 145 chili (per 185 centimetri di altezza), che lo Yokozuna Deliberation Council, il consiglio disciplinare dei Grandi Campioni, negli ultimi mesi non lo ha mai censurarlo. E per consegnargli la Emperor’s Cup, la coppa dell’Imperatore che quest’anno ha dominato vincendo tutti e sei i tornei che la compongono, si è scomodato di persona il Primo Ministro giapponese, Junichiro Koizumi. Il pubblico in fondo ama le guasconate con cui Asashoryo, il cui vero nome è Dolgorsuren Dagvadorj, sta scuotendo riti e consuetudini millenarie, apprezza i suoi sorrisoni disarmanti e piatti come il deserto del Gobi, il suo amore per i bambini (l’Unicef lo ha nominato ambasciatore in Mongolia). I fan più bigotti invece non hanno mandato giù il rifiuto del campionissimo a prendere la nazionalità giapponese («Sono fiero di essere mongolo, anche se mi sento un vero yokuzuma», si è giustificato il fenomeno), e qualche integralista è arrivato - tutto il mondo è paese - ad invocare l’esclusione in blocco dal sumo, che oggi attraversa uno dei suoi ciclici periodi di decadenza, di tutti i rikishi stranieri. Asashoryo non è infatti il solo forestiero ai vertici dello sport. L’attuale numero due è un bulgaro: il 22enne Kotooshu, il primo europeo e il più veloce in assoluto dal 1958 a guadagnarsi lo status di ozeki, il gradino che nella gerarchia del sumo precede immediatamente quello di yakozuma. Kotooshu, che con i suoi 2 metri e 4 centimetri è il rikishi più alto del momento, si è piegato toccando quasi il tatami con la faccia al momento della nomina, per accettare la quale ha dovuto recitare in giapponese la frase di rito, «dopo aver provato la pronuncia qualche migliaio di volte», ha confessato con una timidezza poco adatta a chi in televisione si è mostrato capace di spappolare una mela usando una sola mano. Una ditta bulgara di yoghurt ha già deciso di utilizzarlo come testimonial, e in Giappone Kotooshu («Arpa europea»), al secolo Kaloyan Stefanov Mahlyanov, è diventato una star anche per il suo aspetto fisico e lo stile glamour. Inevitabilmente, è diventato il «Beckham del sumo». Bello, sorridente, sensibile e tutt’altro che ciccione, Kotooshu ha iniziato la sua carriera come lottatore per la nazionale bulgara. Sognava le Olimpiadi, ma quando il limite di peso è stato abbassato dal Cio a 120 chili (lui ne conta 143), il colosso ha deciso che andavano tentate nuove esperienze, esplorati nuovi orizzonti. Dopo Konishiki, un lottatore nato nelle Hawaii, Musashimaru, Akebono (ai cui match assistette anche Mike Tyson) e appunto Asashoryu, Kotoosho è il quinto "ozeki" non giapponese. Anche se le regole consentono ad ogni "scuderia" di schierare un solo straniero, oggi i rikishi nati all’estero che gareggiano a livello professionistico sono 58, provenienti da 12 nazioni, dalla Corea del Sud al Brasile, e a farla da padrone è l’est europeo. Facile capire perché agli ultranazionalisti giap la tracimazione di talenti forestieri, installatisi per giunta al vertice del ranking, abbia fatto lo stesso irritante effetto degli undici stranieri messi in campo nell’Inter di Mancini. Il sumo è probabilmente nato in Cina o in Corea, ma nel corso degli ultimi quattordici secoli è diventato parte integrante della cultura, delle abitudini, dello spirito nazionale giapponese. Da cerimoniale religioso e militare - era praticato dai samurai - si è trasformato lentamente, attraverso periodi di splendore e decadenza, prima in passatempo per i nobili, quindi in spettacolo sportivo per le masse. Pare che il primo match si sia svolto nel 642 dopo Cristo, davanti all’Imperatrice Kogyoku. L’illustre aficionada, davanti ai giubbotti dei Los Angeles Dodgers indossati oggi con disinvoltura da Asashoryu, probabilmente volgerebbe gli occhi agli dei chiedendosi come ha fatto il sumo a cadere così pesantemente in basso. Stefano Semeraro