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 2005  dicembre 09 Venerdì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 8 DICEMBRE 2003

Chi non firma Kyoto passa per cattivo, ma forse è sincero. Mi spiega ’sta storia degli sms che ci salvano dall’effetto serra?
Costano un euro l’uno e fanno «sparire» l’anidride carbonica (Co2) prodotta dagli italiani: o meglio, la fanno svanire in Swaziland, dove con i soldi arrivati «via telefono» verrà finanziata la costruzione di una centrale eolica. Lo stesso stanno facendo quelli della Conference of parties. [1]
Il ”vertice salva clima” di Milano?
Quello. Iniziato il 1° dicembre, si concluderà venerdì prossimo. Lo chiamano Cop 9, perché è la nona edizione. Gli organizzatori hanno calcolato che l’afflusso dei delegati e degli ospiti della conferenza, circa 6.500 persone provenienti da 188 Paesi, produrrà l’emissione di 8 mila tonnellate di anidride carbonica, il gas serra imputato numero uno del surriscaldamento della terra. Dato che alla Borsa internazionale delle emissioni una tonnellata di Co2 costa 8 euro, ne investiranno 64 mila, fondi garantiti da ministero dell’Ambiente, Regione Lombardia e alcuni sponsor. [1]
Che ci faranno?
Una centrale a biomassa da 5 megawatt a Mateszalka, una cittadina ungherese al confine con l’Ucraina. Costa 1,7 milioni di euro, brucerà 6.500 tonnellate di cascami di legno e consentirà di risparmiare 4 mila tonnellate di anidride carbonica l’anno. Il concetto di Emission trading è sempre più centrale per il successo del protocollo di Kyoto: i paesi industrializzati si sono impegnati a a tagliare le emissioni di gas serra, ma se non riescono a raggiungere l’obiettivo fissato possono guadagnare «crediti di carbonio» diminuendo le emissioni dei paesi non industrializzati: portano tecnologia pulita all’estero e ottengono uno «sconto» sui gas da tagliare in casa. [1]
Sono anni che si parla del protocollo di Kyoto.
Il 7 dicembre 1997 oltre 160 Paesi partecipanti alla Convenzione Onu sui cambiamenti climatici sottoscrissero un accordo internazionale - poco più di una dichiarazione d’intenti - per un impegno collettivo e coordinato nella riduzione delle emissioni di gas serra. [2]
I «sei fratelli maledetti».
Bravo: anidride carbonica, metano, protossido d’azoto, perfluorocarburo, idrofluorocarburo, esafloruro di zolfo. [3] L’intero impianto del protocollo si basa sull’assunto che tra emissioni di gas serra e cambiamenti climatici vi sia un rapporto causale. [2]
Idea non condivisa da tutto il mondo scientifico.
Filippo Giorgi dell’Ipcc, il pannello intergovernativo che ogni cinque anni redige un rapporto sullo stato del clima, dice che entro la fine del 2100 la temperatura globale potrebbe innalzarsi da un minimo di 1,4 a un massimo di 5,8 gradi. [4] Ma un’autorevole parte della comunità scientifica critica il Panel: la serie storica delle temperature medie globali in crescita è smentita da dati più affidabili rilevati in Europa e negli Stati Uniti negli ultimi 105 anni, che non mostrano aumenti. [5]
Mettiamo che abbia ragione l’Ipcc. Siamo sicuri che è colpa dell’uomo?
No. Altrimenti come spiegare il clima temperato che tra il 1000 e il 1300 faceva maturare l’uva in Inghilterra, oppure i vichinghi che in quell’epoca colonizzavano la Groenlandia, cosa oggi impossibile, visto che ci sono ghiacciai spessi tre metri? [5]
Ci dice male e hanno ragione le cassandre. Che succede?
Nei prossimi anni aumenterebbero gli eventi estremi, i periodi di siccità, le alluvioni. L’area del Mediterraneo sarebbe particolarmente vulnerabile: estati come quella appena passata non sarebbero un’eccezione. [4]
E qui entra in gioco Kyoto.
Sì, ma c’è un problema: perché diventi effettivo serve che sia ratificato da almeno 55 paesi a cui sia riferibile oltre il 55 per cento delle emissioni globali prodotte sul pianeta. E raggiungere questo «quorum» è diventato molto complicato da quando gli Usa, che producono il 36,1 per cento delle emissioni del pianeta, hanno detto no. [2]
Il solito Bush ...
No, stavolta non è colpa sua: anche l’amministrazione Clinton e tutto il mondo politico americano hanno sempre dimostrato nei confronti del Protocollo un atteggiamento a dir poco cauto. Già nel 1997, con la risoluzione n. 98 ”Byrd Hagel”, il Senato degli Stati Uniti aveva votato all’unanimità contro la ratifica. [2] Adesso il piano di Bush sull’ambiente si propone di stabilire un legame diretto tra emissioni e crescita economica. [6]
Come?
Mentre l’accordo di Kyoto ha come obiettivo quello di obbligare a riduzioni delle emissioni dei gas serra nell’atmosfera tout court, l’idea di Bush è di ridurre del 18 per cento nei prossimi dieci anni l’«intensità» di questi gas, calcolata prendendo il totale delle emissioni e dividendolo per il Pil del paese. Ciò permetterebbe di aumentare o diminuire le emissioni a seconda dell’andamento economico. [6]
Quanto costa Kyoto?
L’International Council for Capital Formation ha pubblicato una proiezione sull’impatto economico in Italia: tra il 2008 e il 2012 potrebbe costare fino a 51 mila impieghi e una penalizzazione del Pil dello 0,5 per cento. [7]
L’Ue ha ratificato il protocollo?
Sì. L’obiettivo è una riduzione delle emissioni dell’8 per cento rispetto al 1990. Ognuno dei 15 Stati europei ha sottoscritto un proprio impegno: all’Italia è stato assegnato un obiettivo di riduzione del 6,5 per cento. [2]
Come vanno le cose?
Male: l’Italia oggi produce il 7,2 per cento in più di gas inquinanti rispetto al 1990. Se l’Ue può vantare una riduzione delle emissioni pari al 2 per cento lo deve soprattutto alla Germania, che è riuscita a tagliare la produzione di gas nocivi del 33 per cento. [8]
Vabbè, tanto finché non si arriva al 55 per cento è come se Kyoto non esistesse
Siamo al 45 per cento. Si cerca di convincere la Russia, che col suo 17 per cento sarebbe decisiva. Ma per ora a Mosca nicchia. [9]
Sai che gliene frega a loro dell’aumento della temperatura...
Putin l’ha perfino detto: «Spenderemmo meno in abiti e pellicce e la nostra produzione agricola potrebbe aumentare». [10] In realtà i russi temono una riduzione della domanda di petrolio attorno all’1-2 per cento. E poi considerano intollerabile il fatto che Kyoto non assegna alcun obiettivo a Cina e India. [9]
E com’è?
La scelta di non richiedere sacrifici ai Paesi più arretrati fu fatta in applicazione del principio di «responsabilità comune ma differenziata», secondo il quale, nel controllo delle emissioni i paesi industrializzati sono chiamati a maggiori responsabilità, facendosi carico anche dei bisogni di sviluppo economico del terzo e quarto mondo. [2] I più ottimisti sostengono che entro venerdì, sotto il nome di Mandato di Milano, potrebbe essere raggiunto un accordo per assegnare obblighi di riduzione delle emissioni anche a Cina e India. Ma c’è anche un altro problema. [9]
Quale?
Sette anni fa per abbattere una tonnellata di emissioni bisognava investire 50 dollari, oggi invece per comprare la stessa unità ne bastano 10. E a questi prezzi stracciati la Russia, che ha Co2 da vendere a mezzo mondo, non ci sta più e si ritira momentaneamente da un mercato che è crollato dopo la defezione dell’investitore principale, cioè gli Usa. [11]
Insomma, chi glielo fa fare ai russi di ratificare Kyoto?
Tre motivi. Il primo è che l’anno zero del protocollo, il momento in cui si cominciano a contare le emissioni di gas serra, è il 1990. In quell’anno la Russia aveva un apparato industriale elefantiaco e inquinante che è poi rapidamente collassato. Da questo disastro economico uno dei pochi elementi positivi emersi è l’eredità di un robusto pacchetto di gas serra che non vengono più emessi. Se la Russia ratificasse il protocollo di Kyoto questi veleni evitati acquisterebbero un valore: potrebbero essere venduti. [12]
Secondo?
Le grandi foreste russe potrebbero essere facilmente incrementate ottenendo altri vantaggi: gli alberi sono crediti dal punto di vista del conteggio del carbonio emesso e di quello sottratto all’atmosfera. [12]
Terzo?
In caso di adesione al patto per la stabilizzazione del clima, ammodernare gli impianti russi diventerebbe più conveniente per le industrie occidentali che guadagnano «crediti di carbonio» in casa investendo in tecnologie pulite all’estero purché l’operazione avvenga in uno dei paesi che hanno ratificato l’accordo contro i gas serra. [12]
L’Italia è pronta a comprare quote in Russia?
Sì, per milioni di euro: costerebbero meno sia di eventuali interventi sul sistema di produzione dell’energia italiano, sia dell’acquisto di «crediti» sul mercato dell’Ue. La nostra industria potrebbe esportare tecnologia, per esempio impiantando centrali energetiche migliori e meno inquinanti delle russe. Giovedì prossimo alla Cop9 l’Italia presenterà, assieme alla delegazione russa, un progetto per ridurre le emissioni di gas serra. Ma c’è un ostacolo: l’Ue vorrebbe un mercato delle quote «protetto», il più possibile interno all’Unione. [13]
Convinta la Russia, non dovremmo più preoccuparci?
Macché! Bill Hare, «direttore delle politiche climatiche» di Greenpeace, dice che per fermare l’aumento della temperatura bisognerebbe che le emissioni di gas responsabili dell’effetto serra scendessero dell’80 per cento rispetto ai livelli attuali: con il protocollo di Kyoto si arriverà al massimo al 5. [14]
E allora a che serve la Convenzione di Milano?
Piano: questa Convenzione non è dedicata a Kyoto. Si sta discutendo la cooperazione nella ricerca internazionale per ridurre il riscaldamento. la linea italiana «oltre Kyoto». Leo Schrattenholzer, scienziato e futurologo dell’Institute for Applied System Analysis di Vienna, propone di passare all’era «post-fossile»: meno greggio e gas, e più fonti alternative, rinnovabili, sintetiche (idrogeno, celle a combustibile) e generazione «locale» in un’accorta integrazione. La ricerca e sviluppo di tecnologie più creative richiederebbe 75 miliardi di dollari, «ma renderebbe il quadruplo» in risparmi energetici e business. Il fisico francese Claude Henry, dell’Ecole Polytechnique, parla dei milioni di metri cubi di edifici mal costruiti nei Paesi asiatici in via di rapido arricchimento: basterebbero standard già applicati altrove per un’edilizia caloricamente efficiente, per risparmiare petrolio, emissioni e dollari. Si tratta di diffondere una cultura, aggiunge Henry. «Purtroppo la Cina si sta riempiendo di gipponi da 8 mila di cilindrata, che fanno furore in America». [15]
Come si chiama quello fissato con l’idrogeno?
Jeremy Rifkin. l’autore di Economia all’Idrogeno: la creazione della Worldwide Energy Web e la redistribuzione del potere sulla Terra. Spiega che l’idrogeno sarà la prossima grande rivoluzione energetica. Gli scienziati lo chiamano il carburante eterno perché non si esaurisce mai. Quando si utilizza idrogeno per produrre energia, gli unici sottoprodotti sono acqua e calore. Rifkin è convinto che quello verso pile a combustibile ed energia a idrogeno sarà un passaggio di vasta portata il cui impatto sull’economia americana (e globale) sarà simile a quello che ebbero il motore a vapore e a carbone nel XIX secolo, il petrolio e il motore a combustione interna nel XX secolo. [18]
E perché non facciamo come dice lui?
Se si dovesse impiegare l’idrogeno, in base al secondo principio della termodinamica si avrebbe una perdita secca, aggravata dal fatto di dovere utilizzare bombole, condutture, valvole metalliche, compressori che a loro volta costano in energia. E ci sono problemi anche con le altre alternative: per costruire un impianto solare serve una quantità di energia che viene recuperata solo sui tempi lunghi. [19]
Insomma, la soluzione non c’è.
Quello del clima si avvia a diventare, come l’invecchiamento della popolazione, l’aumento delle patologie degenerative e altre «malattie» del pianeta Terra, un problema di difficilissima, se non impossibile soluzione. L’ambiente deve confrontarsi con lo sviluppo, e viceversa. Lo sviluppo si basa sull’energia. Il mondo tende a svilupparsi a ritmo crescente, tant’è che quando la crescita è bassa o nulla, quando cioè è come oggi in Europa o peggio, entriamo in crisi. Più si produce, più aumenta il benessere, più energia si consuma. E più si inquina. Cosa fare? Lo si dibatte nei convegni. Convegni che al più portano alla firma di accordi che si sa in partenza non verranno rispettati: passa per «cattivo» il più sincero, quello che non prende impegni che sa di non potere, e talvolta volere, rispettare. [19]



In Italia come stiamo messi?
Il ministro Matteoli ha ammesso il pesante ritardo che ci separa da paesi anche a noi vicinissimi nella partita delle energie rinnovabili. L’Italia produce solo 800 megawatt eolici, contro i 12.000 tedeschi. E già oggi, con una copertura che è solo dello 0,5 per cento del fabbisogno nazionale, risparmia emissioni di Co2 per circa due milioni di tonnellate. La piccola e meno assolata Austria vanta ben 2.300.000 mq di pannelli solari, l’Italia arriva a 400mila. [16]
Il Paese del sole che non sfrutta il sole
Già. Però, come ha detto Matteoli, dobbiamo ricordare che il nostro è il Bel Paese. E che pure le torri a vento o i chilometri quadrati di pannelli hanno un loro impatto ambientale. Dobbiamo trovare un equilibrio fra diverse esigenze. [17]