n, 7 dicembre 2005
«Se fai il carabiniere mica puoi rinchiuderti in una Fortezza Bastiani», segue da pagina 2 Nassiryah, fondata dagli ottomani e dallo sceicco Nasir Sudan nel 1870, via obbligatoria per arrivare a Najaf e a Karbala, centri di tradizione sciita
«Se fai il carabiniere mica puoi rinchiuderti in una Fortezza Bastiani», segue da pagina 2 Nassiryah, fondata dagli ottomani e dallo sceicco Nasir Sudan nel 1870, via obbligatoria per arrivare a Najaf e a Karbala, centri di tradizione sciita. Nella recente divisione dell’Iraq in distretti, Dhi Qar è la quindicesima provincia (Bijan Zarmandili, ”la Repubblica” 13/11/2003). La missione Antica Babilonia: 3.000 uomini provenienti da diversi corpi delle Forze Armate impegnati nella regione sud orientale dell’Iraq sotto la responsabilità della Gran Bretagna. Il contingente è composto da 1.850 militari dell’Esercito di cui 1.200 appartenenti alla Brigata Sassari, 500 alla Marina, 200 all’Aeronautica, 400 ai carabinieri. Area d’azione, la provincia di Dhi Qar: quartier generale a Nassiryah, 375 chilometri a sud di Baghdad. Al comando il generale Giorgio Cornacchione, che dispone di 571 mezzi ruotati e 44 da combattimento, 19 macchine operatrici, 6 elicotteri, 487 container (’l’Unità” 13/11/2003). Comando carabinieri di Nassiryah, sud Iraq. Zona di competenza italiana. Sveglia alle 6 e 30, un caffè con la moka e al lavoro per le otto. La divisa è quella blu con striscia rossa (Andrea Nicastro, ”Corriere della Sera” 13/11/2003). « blu il giubbotto antiproiettile dei carabinieri in pattuglia per le strade della città. Molti lo usano per avere a portata di mano il pacchetto di sigarette. Quando fumano si tolgono l’elmetto e offrono da fumare all’iracheno che gli sta a fianco. ”è difficile avere un rapporto decente con qualcuno quando sei bardato per la guerra”» (Andrea Nicastro, ”Corriere della Sera” 13/11/2003). A Nassiryah sono pressappoco 3 mila, tra soldati, marinai, avieri, carabinieri, ma anche personale civile e volontari della Croce rossa. Tutti ragazzi tra i 18 e i 25 anni (Daniele Mastrogiacomo, ”la Repubblica” 13/11/2003). Termini generali di Antica Babilonia (stabiliti dalla legge 1/8/2003): «Una missione umanitaria e di ricostruzione in Iraq, intesa ad assicurare interventi per il miglioramento delle condizioni della popolazione irachena» (Carlo Bellinzona, ”Limes” 5/2003). «Nassiryah e in genere il Sud dell’Iraq sembrava il luogo dove le cose funzionavano meglio. Anche con la popolazione, a differenza di Baghdad dove ti guardano in cagnesco anche i bambini, un dialogo c’era, sia pure in forme primordiali come un sorriso o lo scambio di bottigliette d’acqua» (Marina Catena, consigliere dell’ambasciatore Armellini) (Maria Grazia Bruzzone, ”La Stampa” 13/11/2003). La provincia di Dhi Qar, 13 mila chilometri quadrati per un milione di persone: una regione agricola nota per la produzione dei datteri più prelibati del Medio Oriente. Prima della guerra Nassiryah aveva circa 400 mila abitanti (’l’Unità” 13/11/2003; Bijan Zarmandili, ”la Repubblica” 14/11/2003). Il compound dei carabinieri sulle sponde dell’Eufrate: 320 militari dell’Arma che ogni giorno, divisi in 50 pattuglie, garantiscono l’ordine pubblico e la sicurezza in città. Il comando era allestito in una palazzina abbandonata da funzionari della Camera di Commercio del vecchio regime: i ragazzi del Genio l’avevano ristrutturata in tempi record (Daniele Mastrogiacomo, ”la Repubblica” 13/11/2003). La base: un corpo di guardia, gli alloggi per truppa e ufficiali, i bagni, una sala mensa con televisori sintonizzati sui canali italiani, il bar col forno per le pizze e il caffè espresso, una cappella. Nel contingente anche 40 donne (25 militari e 15 crocerossine) (Daniele Mastrigiacomo, ”la Repubblica” 13/11/2003). Il comandante generale dell’Arma, il generale Guido Bellini: «La struttura era protetta adeguatamente e se dovessi tornare, rifarei la scelta di quel luogo» (fra. Gri., ”La Stampa” 14/11/2003). I carabinieri della base di Nassiryah, quasi tutti provenienti dal reggimento Tuscania. Il contingente è composto da polizia militare e da un’unità Multinational Specialised Unit (Msu) al comando del colonnello Georg Di Pauli (’l’Unità” 13/11/2003). «L’esercito sta nella grande base americana di White Horse, quasi 10 chilometri fuori dalla città. Noi invece stiamo con la gente, siamo in trincea per garantire la sicurezza e la pace tra gli iracheni» (Di Pauli) (Lorenzo Cremonesi, ”Corriere della Sera” 13/11/2003). Quello che adesso si chiama White Horse era un tempo l’aeroporto di Saddam. Imponenti le difese: rostri di cemento armato tagliano la carreggiata in due, a ogni check point garitte fortificate controllano il piano stradale (Giuseppe Zaccaria, ”La Stampa” 14/11/2003). Prima dell’attentato il comandante Georg Di Pauli riceveva i giornalisti sul tetto della palazzina della base ”Maestrale” e spiegava: «Non c’è sicurezza, non è possibile prevedere se e quando gli attacchi antiamericani si espanderanno qui al sud. Potremmo anche avere una conoscenza del territorio migliore di quella che abbiamo in Italia, ma non saremo mai in grado di impedire a qualche terrorista di venire sin quaggiù in auto» (Andrea Nicastro, ”Corriere della Sera” 13/11/2003). «’Una volta organizzati andremo a fare jogging lungo il fiume e nel parco dell’università”, prometteva Di Pauli. Ora si fa ginnastica in stanza, oppure si va a White Horse» (Lorenzo Cremonesi, ”Corriere della Sera” 13/11/2003). Andrea Margelletti, direttore dell’Isgeo: «Se si sceglie di andare a fare i carabinieri in quel luogo, ossia si eseguono i compiti di polizia, è ovvio che si deve andare in una struttura aperta alla popolazione. Non si può mica fare i carabinieri, che peraltro hanno nel Dna la capacità di stare in mezzo alla gente, e poi ci si fortifica in una Fortezza Bastiani in mezzo al deserto» (fra. Gri., ”La Stampa” 14/11/2003). «Avremmo potuto tagliare la città in due. Asserragliarci in un bunker. Ma non saremmo stati una missione umanitaria. Per la pace, per il bene degli iracheni, abbiamo pagato un prezzo altissimo, terribile» (Di Pauli) (Lorenzo Cremonesi, ”Corriere della Sera” 14/11/2003). La legge autorizza il finanziamento per «l’invio di un contingente di personale militare in Iraq, al fine di garantire le necessarie condizioni di sicurezza per gli interventi umanitari, favorirne la realizzazione e concorrere al processo di stabilizzazione del Paese». Nel testo anche un riferimento al codice militare di guerra, visto che l’area è stata teatro d’operazioni belliche. Previsto il ricorso all’autodifesa nel caso d’offesa diretta, all’«autodifesa allargata» per tutela di convogli umanitari (Carlo Bellinzona, ”Limes” 5/2003). Tre mesi fa la spedizione italiana dallo ”Sheikh” Ali al-Munshed, capo della tribù Al Ghazir, la più numerosa della regione. Un funzionario del Sismi si spaccia per ambasciatore italiano a Baghdad e negozia un appoggio, in cambio di danaro e dell’autorizzazione per i suoi guardaspalle a girare armati (Giuseppe Zaccaria, ”La Stampa” 14/11/2003). «Si dice non cada foglia a Nassiryah che non sappia come, dove e quando. Ha occhi e orecchie dappertutto, lo sceicco Ali al-Munshed» (Renato Caprile, ”la Repubblica” 14/11/2003). Nel mondo ci sono 170 milioni di sciiti, nemici di Saddam Hussein. In Iraq rappresentano il 65 per cento della popolazione. Il restante 35 per cento degli iracheni, invece, è costituito da sunniti, l’élite che fa capo al raìss (’la Repubblica” 14/11/2003). «In Iraq nessuno sta tranquillo. Non ci sono amici né persone al di sopra degli attacchi. Viviamo tutti in uno stato di allerta costante e con misure di sicurezza molto alte. è ovvio che, a differenza degli americani, i Carabinieri non si barricano dietro muraglie di cemento armato» (Marina Catena, consigliere dell’ambasciatore Armellini) (Maria Grazia Bruzzone, ”La Stampa” 13/11/2003). Il «metodo italiano», usato in Bosnia, Kosovo, Macedonia, funzionava anche in Iraq: tranne qualche colpo sparato in aria, non accade nulla; gli italiani presidiano strade e recuperano armi. A ottobre la Brigata Garibaldi torna a casa, prende il suo posto la Sassari: il metodo non cambia (Renato Caprile, ”la Repubblica” 13/11/2003). «Gli agenti iracheni erano abituati a essere al di sopra della legge, erano parte dell’apparato repressivo del regime. Se sequestravano un’auto rubata se la rivendevano. Se arrestavano qualcuno aspettavano l’ordine del partito di Saddam per sapere cosa farne: liberarlo, portarlo in prigione o farlo sparire. Noi facciamo di tutto per convincerli a presentarli al giudice. è un impegno lungo» (il maggiore Claudio Cappello) (Andrea Nicastro ”Corriere della Sera” 13/11/2003). Tra i compiti dei militari italiani: ordine pubblico, polizia militare, attività di sminamento, rilevazioni biologiche e chimiche, assistenza sanitaria, gestione aeroportuale. I soldati contribuiscono anche alla ricostruzione degli edifici caduti. Obiettivo primario, il controllo del territorio per contrastare criminalità e circolazione illegale di armi. Il contingente ha svolto pure servizio di sicurezza durante l’’Operazione Sesterzi”, il pagamento degli stipendi agli iracheni (’l’Unità” 13/11/2003). «Fair, friendly, firm», l’atteggiamento «garbato, amichevole, fermo» dei militari italiani in Iraq (Carlo Bellinzona, ”Limes” 5/2003). L’ex interprete della missione italiana: «Ho lavorato con i vostri soldati. Bravi, molto disponibili. La gente diceva che erano troppo teneri con i delinquenti. Volevano maniere più forti. Io mi trovavo bene a lavorare con gli italiani. Volevano che restassi con loro. Ho detto di no. Temevo un giorno come questo» (Giampaolo Cadalanu, ”la Repubblica” 13/11/2003). «Maledetti, maledetti, maledetti. Vorrei ricordare con molta pietà e moltissima emozione i morti italiani in Iraq. Non possiamo dimenticare che certa sinistra ha fatto la guerra in Kosovo e che oggi vorrebbe votare per la permanenza in Iraq. La pace è un valore fondamentale non possiamo riprodurre il modo di essere violento del potere» (Toni Negri) (Anais Ginori, ”la Repubblica” 14/11/2003). Nicola Fratoianni, giovane leader dei Disobbedienti e coordinatore nazionale dei Giovani comunisti: «L’attentato di Nassiryah dimostra che la guerra non è finita. Muoiono civili iracheni e soldati italiani, tutte vittime incolpevoli di una guerra inutile, della quale è complice il governo Berlusconi» (Fa. Ro., ”Corriere della Sera” 14/11/2003). Frase ascoltata sulle modulazioni di frequenza in Fm 87 e 9, ”Radio Onda Rossa”: «Ci spiace per i familiari dei carabinieri: ma quelle erano truppe di occupazione» (Fa. Ro., ”Corriere della Sera” 14/11/2003). I soldati della pace, volontari professionisti, s’addestrano all’uso delle armi ma soprattutto a svolgere le attività civili e umanitarie richieste nelle missioni all’estero. Lo stipendio s’aggira intorno ai 2.000 euro, indennità di missione e di rischio escluse (Daniele Mastrogiacomo, ”la Repubblica” 13/11/2003). Già a luglio il colonnello iracheno Hassan Ibrahim Dhahad, responsabile della polizia nella provincia sorvegliata dagli italiani, aveva avvisato il Sismi: un camion carico di tritolo si prepara a colpire gli acquartieramenti dei carabinieri. La notizia è bollata dalle autorità militari come «non verificabile, fonte di inutile allarmismo» (Carlo Bonini, ”la Repubblica” 13/11/2003; Marianna Bartoccelli, ”il Giornale” 13/11/2003). Ad agosto il Sismi assicura: «La popolazione irachena vede con favore la presenza italiana in Iraq» (’la Repubblica” 13/11/2003). «Questa è Nassiryah, una città che può essere riconoscente di giorno e ostile di notte (con le pattuglie di civili che ti fermano di notte con il Kalashnikov in mano per vedere i documenti e frugare nel bagagliaio). Un puzzle di nuovi movimenti politici, guerriglieri armati e poeti desiderosi di venire a studiare nelle università europee» (Lorenzo Cremonesi, ”Corrriere della Sera” 14/11/2003). Mohammed al Bakri, esponente dell’organizzazione estremista islamica al-Muhajiroun e portavoce non ufficiale di Al Qaida, dopo il messaggio audio di bin Laden diffuso il 19 ottobre, aveva esortato a «non sottovalutare le parole del fratello Osama» che si riservava «il diritto di rappresaglia contro tutti i Paesi che prendono parte alla guerra: Gran Bretagna, Spagna, Australia, Polonia, Giappone e Italia» (Marianna Bartoccelli, ”il Giornale” 13/11/2003). A ottobre Niccolò Pollari, responsabile del Sismi riferisce al Comitato parlamentare di controllo sui servizi di informazione e sicurezza che in Iraq le truppe italiane sono in una situazione di rischio: «Un aereo carico di esplosivo potrebbe colpire un edificio della coalizione» (Marianna Bartoccelli, ”il Giornale” 13/11/2003; ”la Repubblica” 13/11/2003; A. Man ”il manifesto” 13/11/2003). I fanti della Brigata Sassari che il 23 ottobre sequestrarono mortai, munizioni, mitra, 600 chili d’esplosivi e razzi katiusha identici a quelli sparati tre giorni dopo contro l’Hotel Rashid a Baghdad (Andrea Nicastro, ”Corriere della Sera” 13/11/2003). «Nassiryah era tornata a vivere, dopo l’incubo di Saddam. Con la gente che usciva per strada, mangiava al ristorante, aveva trovato persino lavoro. Bastava girare per i vicoli della città vecchia e vedere le tante mani alzate in segno di saluto al passaggio dei blindati dei carabinieri. Un momento felice. Prima delle minacce di Al Qaida e dei 200 chili di Tnt che hanno infranto il sogno» (Daniele Mastrogiacomo, ”la Repubblica” 13/11/2003). Secondo l’Adnkronos International, il contingente italiano di Nassiryah è al corrente del rischio autobomba almeno da tre giorni prima dell’attacco. Per questo sono state rafforzate le misure di sicurezza e intensificate le ricerche di mezzi sospetti (Marianna Bartoccelli, ”il Giornale” 13/11/2003). Il giorno prima dell’attentato di Nassiryah la Cia consegna nelle mani del presidente George W. Bush un dossier, elaborato da 250 agenti segreti, che mette in guardia dal rischio attentati (si parla di «forte crescita dei civili nelle fila della guerriglia antioccidentale» (re.ro, ”Il Mattino” 13/11/2003). Il rapporto della Cia rivela che in Iraq sono all’opera non solo cellule di Al Qaida ma anche elementi di Hezbollah. La loro collaborazione ha dato un impulso alla guerriglia, ora non più condotta da sbandati delle truppe del passato regime: «Molti iracheni, dopo aver esitato per mesi sulla parte da scegliere, hanno perso ogni fiducia nelle autorità di occupazione e si stanno unendo ai guerriglieri» (Bruno Marolo, ”l’Unità” 13/11/2003). Nella notte tra martedì e mercoledì due segnalazioni: la prima a mezzanotte, dal Sismi; la seconda, alle 5 e 30, dalla Cia. Si riferiscono a possibili attacchi contro gli italiani (Dino Martirano, ”Corriere della Sera” 13/11/2003). «Io e altri abbiamo trasmesso la segnalazione via fax. Sì, un fax al comando della polizia irachena di Nassiryah per segnalare l’arresto a Bassora di due militanti alawiti venuti dall’estero. E dunque, in base a nostre informazioni, la forte probabilità di un attentato imminente. L’abbiamo spedito cinque o sei giorni fa, e poi tre giorni fa, e il giorno dopo ancora: pregavamo la polizia di mettere in allarme il comando italiano. Ci era stato detto di fare così. Nel contingente multinazionale esiste una precisa linea di comando e ci è stato suggerito di seguirla» (lo Sheikh Ali al-Munshed) (Giuseppe Zaccaria, ”La Stampa” 14/11/2003). «Sapevamo di essere a rischio. Gli attentatori hanno colpito indipendentemente dai risultati del nostro lavoro, perché vogliono fermare la normalizzazione, vogliono riportare l’Iraq alla dittatura. Noi però abbiamo privilegiato da sempre la filosofia chiave della nostra missione, che è quella di tenere aperto il rapporto con gli iracheni, con la gente. Volevamo essere un aiuto, non un fastidio» (Georg Di Pauli) (Lorenzo Cremonesi, ”Corriere della Sera” 14/11/2003). Il sondaggio condotto dall’istituto di ricerca Gallup tra gli abitanti di Baghdad e pubblicato sul quotidiano ”Washington Post”: il 5 per cento degli intervistati ritiene che Stati Uniti e alleati siano in Iraq per aiutare il Paese; il 36 per cento giustifica, almeno in parte, gli attentati (re.ro, ”Il Mattino” 13/11/2003). «Adesso nessun eufemismo, nessuna parafrasi edulcorante, nessuna formula consolatoria riuscirà facilmente a nascondere la parola impronunciabile, lo spauracchio linguistico: guerra. Una guerra che adesso coinvolge e insanguina l’Italia. Guerra, a tutti gli effetti» (Pierluigi Battista, ”La Stampa” 13/11/2003). «Sulla Strada 7, la via principale, la luce arancione dei lampioni illumina il vuoto attraversato da qualche rara macchina che fila a tutto gas. Un tenente del San Marco scende dal carro armato, e sbuffa, ”vuoi sapere come va? Va come due giorni fa: la pioggia a ciel sereno, questo ormai ci aspettiamo” (Goffredo Buccini, ”Corriere della Sera” 14/11/2003).