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 2005  dicembre 07 Mercoledì calendario

Trecento chili di tritolo iracheno per far vivere all’Italia il suo 11 settembre. Prime ore di mercoledì 12 novembre

Trecento chili di tritolo iracheno per far vivere all’Italia il suo 11 settembre. Prime ore di mercoledì 12 novembre. I militari della base ”Maestrale” di Nassiryah sono impegnati nelle normali attività della missione: mappatura di siti archeologici, valutazione dei progressi dei cittadini selezionati per entrare nella polizia del dopo Saddam (Giampaolo Cadalanu, ”la Repubblica” 13/11/2003). Ore 10 e 45 (le 9 meno un quarto in Italia): un camion cisterna carico di tritolo si lancia a tutta velocità verso l’ingresso del posto di guardia, una macchina lo segue da vicino. A bordo dei mezzi, qualcuno dirà d’aver visto quattro attentatori coperti dalla kefiah. Il primo a sparare è il maresciallo dei carabinieri Daniele Ghione, della compagnia Gorizia (Giampaolo Cadalanu, ”la Repubblica” 13/11/2003; ”la Repubblica” 14/11/2003). Gli ”Ecobastian”, bidoni di stoffa e rete plastificata, riempiti di ghiaia e fissati al terreno, circondano il posto di guardia. Tutt’intorno rotoli di concertina, il filo spinato. Gli attentatori non superano le difese: l’esplosione avviene davanti la sbarra d’ingresso (non è ancora chiaro su quale mezzo fosse stato caricato il tritolo: ce ne sarebbero stati tra 250 e 300 chili) (Giampaolo Cadalanu, ”la Repubblica” 13/11/2003, ”la Repubblica” 14/11/2003). Nel cortile perdono subito la vita il tenente dell’esercito Massimo Ficuciello, schiacciato da un container, e il sottufficiale della Brigata Sassari, Silvio Olla. Non lontano ci sono i caporalmaggiori Alessandro Mereu e Federico Boi: miracolosamente protetti dalla cavità creata da tre blindati accartocciati per lo scoppio (Giampaolo Cadalanu, ”la Repubblica” 14/11/2003). Al centro del cortile c’è un cratere di oltre 9 metri di larghezza e circa 6 di profondità, s’alza una colonna di fumo nero e denso. A 30 metri dall’esplosione la palazzina dell’ex Camera di Commercio, tre piani color cemento poco distante dalla sponda dell’Eufrate, ha la facciata completamente distrutta. Crollate le case adiacenti, frantumati tutti i vetri del vicinato. Detriti ovunque e macchine incendiate (Giampaolo Cadalanu, ”la Repubblica” 13/11/2003). Della palazzina rimangono intatti solo cavalli di frisia, filo spinato e sacchetti di sabbia (Renato Caprile, ”la Repubblica” 13/11/2003). Un maresciallo, L. D., spettatore dell’attacco, comunica via sms. Ore 10.58: «Siamo saltati. Bomba su base. Feriti e forse anche morti. Io sono vivo», Ore 10.59: «Io sono vivo». Due ore dopo, ore 12.56: «Tanti morti» (’la Repubblica” 14/11/2003). Mercoledì, verso sera, un gruppo di soldati della Brigata Sassari racconterà: «è accaduto questa mattina attorno alle 10 e 40. C’era il solito traffico sul ponte. All’improvviso dalla strada che costeggia il fiume è arrivata un’auto a tutta velocità. A bordo c’era un uomo armato, forse due, che ha aperto il fuoco con un mitra contro il posto di guardia. Loro l’hanno visto, hanno risposto sparando. Ma era un’operazione diversiva, perché pochi secondi dopo è arrivata velocissima un’autocisterna blu, che ha superato d’impatto le barriere, le barricate di cemento armato, i fili spinati, ed è esplosa in una nuvola di fuoco, seguita dalle deflagrazioni delle munizioni e dei mezzi italiani parcheggiati». Poi mostrano i fori delle pallottole italiane sulla fiancata e chiazze di sangue all’interno (Lorenzo Cremonesi, ”Corriere della Sera” 13/11/2003). Un sopravvissuto: «Saranno stati dieci colpi più o meno. Non ho visto chi sparava. Una delle nostre postazioni mi bloccava la vista. Ho visto solo i miei colleghi buttarsi in terra. Poi c’è stata l’esplosione. E non ricordo bene. Sono stato catapultato in avanti di diversi metri. Ho provato ad aprire gli occhi ma vedevo solo bianco. Ero coperto di polvere. Quando sono riuscito a vedere qualcosa era tutto pieno di sassi e di terra. E poi fumo nero dappertutto e gente che urlava» (’La Stampa” 14/11/2003). «I miei uomini si sono battuti come leoni», dice il colonnello Georg Di Pauli che al momento dell’esplosione è in missione a Bassora: «Ho sentito i bollettini radio e due ore dopo ero tornato indietro». Guardando ciò che resta del suo ufficio sventrato al terzo piano: «Là è morto uno dei miei amici, il luogotenente Enzo Fregosi di Livorno, lo conoscevo da 25 anni, per noi tutti era un mito» (Lorenzo Cremonesi, ”Corriere della Sera” 14/11/2003). Daniele Livieri, vice brigadiere dei carabinieri di Nardò (Lecce), ferite da scheggia alle gambe, al braccio sinistro e al volto, non ricorda l’esplosione: «Mi ricordo le raffiche di mitra, ero all’interno dell’edificio, al piano terra, mi sono buttato sul pavimento per proteggermi. Poi mi sono ritrovato sotto le macerie senza accorgermene. Ho sentito altri spari, ho pensato che il conflitto a fuoco stesse continuando, invece si trattava di proiettili fatti esplodere dallo scoppio. C’è voluto un po’ di tempo, poi mi hanno tirato fuori» (e.p., ”Il Messaggero” 14/11/2003). «Ero vicino al posto di guardia. Dalla strada arrivavano tanti iracheni, gente che veniva a chiedere informazioni per far richiesta d’ammissione alla nuova forza di difesa. Improvvisamente ho visto l’autocisterna. Uno di quei camion Maz di fabbricazione russa. L’ho notato perché ha dato una brusca accelerata verso il nostro cancello» (uno dei sopravvissuti) (’La Stampa” 14/11/2003). Mohammad Alwan Halaf, 28 anni, è alla palazzina dei carabinieri per cercare di farsi arruolare: «Ero in coda quando c’è stato l’attentato. Per fortuna ai primi spari mi sono buttato a terra. Però gli italiani sono stati troppo bravi, troppo rispettosi. Avrebbero dovuto rispondere subito e con violenza agli spari dei terroristi, invece hanno reagito con cautela per non ferire la gente per strada. E così il camion bomba ha avuto gioco facile nel trovarsi un varco» (L. Cr., ”Corriere della Sera” 14/11/2003). Il proprietario dell’albergo Al Jamoo: «Hanno tremato tutti i vetri, la gente è uscita terrorizzata». L’uomo conosce bene i carabinieri del comando perché da loro andava a riscuotere l’affitto della Camera di Commercio, di cui era stato presidente (Giampaolo Cadalanu, ”la Repubblica” 13/11/2003). Il maggiore Claudio Cappello è al briefing nella sua stanza, con due marescialli e un appuntato: «Mi sono alzato dalla scrivania, sono uscito un momento, un secondo dopo ho sentito il boato: la mia stanza non c’era più. Mi sono affacciato in una crepa e ho visto i morti per terra, sentivo le urla del maresciallo donna Marinella Jacobini. Però il dolore non lo provo solo per i miei: avevamo un interprete iracheno, Majid, sua moglie è corsa a cercarlo, Majid era sotto le macerie. Il dolore ci unisce tutti» (Goffredo Buccini, ”Corriere della Sera” 14/11/2003). Jamal Kadhim Shwail, dottore che vive vicino alla base: «La facciata della mia casa è stata distrutta. Ero appena tornato dall’ospedale dove avevo operato le mie due figlie. C’è stata una forte esplosione. Siamo ancora tutti sotto shock» (Naseer Al-Nahr, Asharq Al-Awast, ”arab news” 13/11/2003). L’onda d’urto fa sbandare un pullman carico di scolari che passa lì vicino, l’impatto contro un muro e almeno due bimbi restano uccisi (’la Repubblica” 13/11/2003). Sms spedito alle 13.02 da P.C., tenente del Settimo Reggimento: «Quello che hanno visto i miei occhi non lo dimenticherò mai. I morti sono 14» (’la Repubblica” 14/11/2003). All’ospedale pubblico ci sono le vittime civili dell’esplosione. «Abbiamo 63 ricoverati, almeno 15 sono molto gravi, alcuni sono stati portati d’urgenza in Kuwait», spiega un medico (L. Cr., ”Corriere della Sera” 14/11/2003). Grandi chiazze di sangue visibili fino al ponte che attraversa l’Eufrate (Giampaolo Cadalanu, ”la Repubblica” 14/11/2003). Marco Calamai, consigliere dell’ambasciatore Antonio Armellini, capo della missione italiana in Iraq, si trova in casa a quasi un chilometro dal luogo dell’attentato e vede infrangersi i vetri delle sue finestre (Andrea di Robilant, ”La Stampa” 13/11/2003). Semidistrutto anche un terzo edificio in cui ha sede una ong americana, l’International medical corps (una decina di feriti tra il personale) (S.D.Q., ”il manifesto” 13/11/2003). L’onda d’urto è così forte da mandare in frantumi i vetri delle finestre di un palazzo sull’altra sponda del fiume (R.ES:, ”Il Sole-24 Ore” 13/11/2003). I sommozzatori della nave S. Giusto dovranno recuperare resti umani delle acque del fiume. Brandelli sparsi anche sulla sponda opposta a quella della ”Maestrale” (Giampaolo Cadalanu, ”la Repubblica” 14/11/2003). Uno dei medici dell’ospedale di Nassiryah è a prendere un caffè coi carabinieri, abbastanza lontano dall’esplosione per girare subito l’allarme, raccontando quello che succede. Massimo D’Elia, medico in servizio nell’ospedale italiano della città: «Così ci siamo potuti preparare: i primi feriti sono arrivati appena dopo le undici del mattino» (Giampaolo Cadalanu, ”la Repubblica” 14/11/2003). Uno dei primi soccorritori: «Ho visto un anfibio finito appeso alla recinzione. L’aria era pesante: il puzzo dell’esplosivo, l’odore del sangue. E quello della morte, inconfondibile» (Giampaolo Cadalanu, ”la Repubblica” 13/11/2003). ’Al Jazeera”, la tv del Qatar, è la prima a correre sul posto (S.D.Q., ”il manifesto” 13/11/2003). Un cronista alla radio portoghese Rdp: «Tutta l’area del quartier generale italiano, la barriera costruita con grandi sacchi pieni di sabbia, la palazzina di tre piani, è scomparsa» (R.ES:, ”Il Sole-24 Ore” 13/11/2003). «Sono arrivate trenta persone in un’ora: pazienti già in coma, altri in condizioni critiche, tanti feriti gravi. Abbiamo tentato di tutto, il possibile e l’impossibile: e abbiamo visto di tutto. Ragazzi con la milza spappolata, col torace schiacciato. Qualcuno è arrivato già morto» (Bruno Turchetta, specialista in rianimazione all’ospedale di Nassiryah) (Giampaolo Cadalanu, ”la Repubblica” 14/11/2003). Un soldato: «La gente di Nassiryah dopo lo scoppio era immobile, ammutolita. Poi si sono rimboccati le maniche e sono corsi a dare una mano» (Giampaolo Cadalanu, ”la Repubblica” 13/11/2003). Sms spedito da R.N., tenente del Settimo Reggimento alle 17.04: «Il buco è profondo sei metri. In giro c’è tanto sangue» (’la Repubblica” 14/11/2003). La popolazione irachena s’è radunata spesso per esultare attorno ai mezzi americani attaccati e distrutti. Mercoledì continua a ripetere «ci dispiace, ci dispiace», in un italiano stentato (Andrea di Robilant, La Stampa 13/11/2003). «Sono davvero desolato per quanto è accaduto agli amici italiani. S’è trattato di un’aggressione vile e sanguinosa ma purtroppo in questo momento l’Iraq è terreno delle scorrerie più diverse. Questo è stato certamente l’attentato di altri, quella delle auto-bomba non è una pratica del nostro Paese. Speriamo sinceramente che gli italiani rimangano fra noi e ci aiutino a riconquistare la democrazia, anche perché Nassiryah è dalla loro parte» (lo Sheikh Ali al-Munshed) (Giuseppe Zaccaria, ”La Stampa” 14/11/2003). Le principali tv arabe, da ”Al Jazeera” ad ”Al Arabiya”, condannano esplicitamente l’attentato che non viene rubricato nella categoria «resistenza», come avviene invece nel caso d’attacchi contro gli americani (’Corriere della Sera” 13/11/2003). Il corrispondente dall’Iraq di ”Al Jazeera” Abdel Azim Mohammed: «Nessuno se l’aspettava. I rapporti tra gli italiani e la popolazione erano buoni. La gente non si spiega perché sono stati presi di mira proprio loro» (’Corriere della Sera” 13/11/2003). «Noi non c’entriamo. Noi amiamo gli italiani, ci portano la pace. I terroristi vengono dall’estero, sono gli uomini di Al Qaida», dice un gruppo di uomini seduti non lontano dal luogo dell’attentato. Un ragazzo aggiunge: «Tutti gli stranieri devono andarsene» (Lorenzo Cremonesi, ”Corriere della Sera” 13/11/2003). «Le truppe italiane sono venute al seguito di quelle americane, per noi non fanno differenza, sono sempre truppe occupanti», dice invece Abu Rabia, segretario del Partito comunista iracheno (fondato a Nassiriya, fa parte del Consiglio governativo nominato da Paul Bremer) (Giulia Sgrena, ”il manifesto” 13/11/2003). Il generale dei carabinieri Serafino Liberati: «Noi andiamo per portare pace e siamo ripagati così. Abbiamo gli occhi gonfi di pianto, i cuori pieni di dolore» (John Hooper, ”The Guardian” 13/11/2003). Per rimuovere i detriti servono due ruspe e alcuni carri armati. I militari chiuderanno il quartiere, circondandolo di check-point e filo spinato. Allontanati tutti gli iracheni, attorno alla zona blindati e posti di blocco (Giampaolo Cadalanu, ”la Repubblica” 13/11/2003). «Davanti a un attentato di questo tipo c’era ben poco da fare. Un attentato studiato a tavolino, ben preparato, inaspettato nella sua logistica» (il colonnello Gianfranco Scalas, portavoce). (Lorenzo Cremonesi, ”Corriere della Sera” 13/11/2003). Le famiglie delle vittime riceveranno un sussidio urgente di 2.100 euro, oltre al pagamento delle spese per le cerimonie funebri e il trasporto delle salme nei paesi d’origine. L’indennità di buonuscita, tra i 10 mila e i 25 mila euro, verrà liquidata dall’Inpdap. Il ministero della Difesa ne devolverà altri 15 mila dopo il riconoscimento della morte per causa di servizio. Le vedove dei carabinieri avranno una pensione privilegiata ordinaria che a seconda dell’anzianità e del grado di servizio sarà equivalente allo stipendio del coniuge (1.500-2.000 euro per un maresciallo, 1.000 per un carabiniere semplice). Lo stesso ministero verserà un indennizzo speciale di 75 mila euro per i carabinieri, 37 mila per i soldati dell’esercito (’Libero” 14/11/2003). Nel 2002 il ministero della Difesa ha assicurato presso i Lloyd’s di Londra il personale di forze armate, corpi militari organizzati e civili impegnati nelle operazioni fuori area: polizze tra i 200 e i 300 mila euro (’Libero” 14/11/2003). «è il momento di stringere i denti, bisogna tener duro. Questa tragedia che ha colpito i nostri uomini diventa il banco di prova della solidità dell’Occidente di fronte alla sfida del terrorismo. Non finisce qui. Potrebbero colpire direttamente anche in Italia o in Europa» (il generale Mario Arpino, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica e della Difesa) (Vittorio Da Rold, ”Il Sole-24 Ore” 13/11/2003). «Gli attentatori non hanno raggiunto fino in fondo il loro scopo. Con quel camion-bomba intendevano distruggere la palazzina. Avevano a bordo abbastanza esplosivo. Invece li hanno fermati all’ingresso. Il corpo di guardia si è immolato. Ma sono riusciti a fermarli» (Andrea Margelletti, direttore dell’Istituto di studi geopolitici e geoeconomici, redattore della ”Rivista italiana di Difesa”) (fra. Gri., ”La Stampa” 14/11/2003). Il ministro della Difesa Antonio Martino,jeans, scarponcini e giubbotto antiproiettile, arriva a Nassiryah con una missione organizzata d’urgenza poco dopo la discussione in Parlamento di mercoledì: «Questo è il nostro Ground Zero. Un ringraziamento ai soldati italiani, quello mio personale, quello del governo, quello di tutto il paese. Perché ci fate sentire orgogliosi d’essere italiani. L’insensatezza di questa tragedia aggiunge dolore ad altro dolore, ma è nostro dovere continuare la lotta contro la barbarie, che colpisce anche i paesi arabi moderati» (Giampaolo Cadalanu, ”la Repubblica” 14/11/2003). Un sopravvissuto: «Qui nessuno pensa ad andarsene. Lo dobbiamo ai nostri compagni scomparsi. A Nassiryah c’è un sacco di gente che soffre. Dobbiamo aiutarli. Siamo qui per questo. C’è ancora molto da fare per noi qui» (’La Stampa” 14/11/2003). « il nostro 11 settembre, abbiamo perduto dei figli. S’è trattato di un attentato d’inaudita violenza, contro i carabinieri ma io direi anche contro il popolo iracheno perché i carabinieri erano riusciti a intavolare, soprattutto a Nassiryah, un rapporto molto bello con la popolazione: credo che siamo stati colpiti anche per questo, forse soprattutto per questo» (il comandante generale dell’Arma, Guido Bellini) (A. MAN., ”il manifesto” 14/11/2003). «In Iraq un membro della Nato, l’Italia, ha perso alcuni figli fieri nel servizio della libertà e della pace. Gli Stati Uniti porgono le condoglianze più sentite alle famiglie dei soldati e poliziotti morti. Noi apprezziamo i loro sacrifici. Io apprezzo la leadership risoluta del primo ministro Berlusconi, che rifiuta di cedere davanti al terrore» (il presidente americano George W. Bush) (Naseer Al-Nahr, Asharq Al-Awsat, ”arab news” 13/11/2003). Il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi è vicino alle famiglie dei carabinieri «uccisi da un ignobile atto di terrorismo. Sono militari caduti mentre facevano il loro dovere, per aiutare il popolo iracheno a ritrovare pace, ordine, sicurezza. Non daremo tregua ai responsabili di questo orrendo attentato». Il premier Silvio Berlusconi, mercoledì in Parlamento, assicura: «Andremo avanti: nessuna intimidazione ci impedirà di aiutare l’Iraq a risorgere. Sono orgoglioso per il coraggio e l’umanità dei nostri soldati: per un giorno mettiamo a tacere le polemiche» (’Il Giorno” 13/11/2003; ”Corriere della Sera” 13/11/2003). Nessuno scontro politico nel giorno dell’attacco, nonostante l’opposizione voglia ridiscutere la missione (Diliberto, Bertinotti, Folena e Pecoraro Scanio chiedono «il ritiro immediato»). Prima vera polemica per la decisione di mandare in onda uno spot durante il minuto di silenzio chiesto prima della partita Polonia-Italia, mercoledì. Il presidente della Rai, Annunziata: «è stato un errore, solo un problema tecnico di cui siamo molto dispiaciuti, ed è accaduto perché la partita è iniziata tre minuti prima del previsto». La società produttrice del caffè Kimbo, il cui spot è stato trasmesso al posto del minuto di raccoglimento: «Mandarlo in onda è stato fuori da ogni logica» (’il manifesto” 14/11/2003; ”la Repubblica” 13/11/2003).