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 2005  dicembre 07 Mercoledì calendario

Bertini Lino, di anni 73. Ex aiuto odontotecnico, separato dalla moglie tre anni fa, era andato ad abitare alla periferia di Bologna: detto ”lo zio” nel quartiere e nel bar sotto casa, conduceva una vita solitaria e tranquilla, unico e sporadico vizio quello di bere

Bertini Lino, di anni 73. Ex aiuto odontotecnico, separato dalla moglie tre anni fa, era andato ad abitare alla periferia di Bologna: detto ”lo zio” nel quartiere e nel bar sotto casa, conduceva una vita solitaria e tranquilla, unico e sporadico vizio quello di bere. Alla fine di ottobre qualcuno che conosceva entrò nella sua camera e prese gusto a battergli un martello sulla testa. Poi, constatato che non moriva, lo sgozzò con un coltello preso dalla cucina. Sistemò infine il cadavere nel ripostiglio, dove lo trovò uno dei due figli, il 28 ottobre. In un’abitazione in via Galeotti, quartiere San Donato, periferia nord di Bologna. Esposito Elisabetta, di anni 34. Ragioniera, proprietaria di un’agenzia di pratiche d’auto in provincia di Vibo Valentia. Il 10 febbraio del 1999 raccontò di aver visto sangue gocciare dagli occhi di una statua dell’Immacolata in polvere di marmo, alta un metro, situata in una nicchia nei pressi del suo ufficio (si gridò al miracolo, poi il vescovo disse che non c’era niente di serio e la faccenda finì lì). Due anni dopo si sposò col suo inamovibile fidanzato, Lopresti Cosimo, di anni 38, ragioniere come lei, impiegato in uno studio di commercialista ad Acquaro. Da allora si dedicò solo al lavoro e al marito, conquistandosi l’appellativo di ragazza eccezionale. Intorno alle 9 di giovedì qualcuno s’intrufolò nel portone di casa sua e, alla base delle scale, l’accoltellò al torace e alla schiena. In una palazzina a due piani di Dasà, piccolo centro dell’entroterra vibonese, nella zona delle Serre. Pisciotta Vito, di anni 70. Ferroviere in pensione di Castellammare del Golfo (Trapani), riempiva il tempo coltivando i terreni di sua proprietà in contrada Kaggera, a Calatafimi. Sicuro che qualcuno gli rubasse le amarene dagli alberi, dopo svariati appostamenti stabilì che il ladro era il contadino proprietario dell’appezzamento accanto, Domingo Salvatore, di anni 74. Nel pomeriggio del 4 agosto costui si presentò sulla sua terra e gli battè una pietra sulla testa fino a farlo secco. Poi si trovò un alibi, che smontò da solo, parlando al telefono con gli amici. Fu arrestato domenica 3. Termine Massimiliano, di anni 28, costretto da 27 e mezzo a vivere su una sedia a rotelle per una vaccinazione malsopportata, non sapeva star senza la madre, Parolari Marta, di anni 46. Lei, lasciata dal consorte poco dopo il parto, viveva sul lago di Garda insieme col nuovo marito, Toller Alfredo, titolare di un albergo a Serrada di Folgaria. Passava le giornate a occuparsi del figlio, che negli ultimi tempi era peggiorato e non ingollava quasi più nulla. Lunedì 27, stanca di cercare una cura, si rifugiò in casa della madre per tre giorni, lasciando il Termine dalla sorella Mariangela. Tornò a prenderlo tre giorni dopo. Nel tardo pomeriggio di venerdì 31, il marito in hotel per preparare la stagione invernale, tentò di soffocare il figlio in garage con i gas di scarico dell’automobile. Non riuscendoci provò ad addormentarlo con farmaci. Infine lo sollevò di peso dalla carrozzella e lo adagiò sul materasso, gli fece indossare il pigiama, gli rimboccò le coperte e si sedette ai piedi del letto. Quando si fu addormentato, gli premette un cuscino sulla faccia. Preparò la valigia e telefonò alla sorella, per chiederle di chiamare i carabinieri. In una bella villetta rosa a due piani tra campi e olivi, giardino circondato da steccato in legno, lampioncini e nebbia, a Mattoni di Ville del Monte, frazione di Tenno, sulle colline trentine a ridosso del Lago di Garda. Tini Daniela, di anni 35. Residente a Magione, nei pressi del lago Trasimeno, sposata, due figlie di 8 e 13 anni, un contratto di tre mesi come impiegata alla facoltà di Agraria di Perugia. Intorno alle 12 e 30 di venerdì si recò al bar dell’università insieme col marito, Maccari Giovacchino, di anni 43, impiegato. Sorseggiarono un caffè chiacchierando della separazione che lei voleva, lui no. Continuarono la conversazione passeggiando nel chiostro della facoltà. Poi lui estrasse la rivoltella e le sparò per quattro volte in pieno petto. Lei fece un passo indietro, scivolò lungo il muro e cadde a terra. Nel cortile dell’Abbazia di San Pietro, sede dell’omonima chiesa e dell’osservatorio sismico, oltre che dell’Università, Perugia. Un peruviano, di anni 35. Transessuale, campava facendo l’amore dietro compenso, forse era fidanzato con un rumeno, certamente condivideva con un’infermiera ventenne l’affitto di un appartamento a San Donato milanese (Milano). Intorno alle 11 e 30 di giovedì 30 ottobre litigò con qualcuno che gli fratturò il naso e poi lo incaprettò con dei cavi elettrici, lasciando che si soffocasse pian piano da sé, steso per terra e infilato per metà sotto il proprio letto.