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 2005  dicembre 07 Mercoledì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 27 OTTOBRE 2003

I Br si credevano invincibili. La tecnologia li ha fregati.
Abbiamo decapitato le Brigate Rosse. Alle 22 e 30 di giovedì, in una zona popolare romana tra i quartieri Quadraro e Tuscolano, un improvviso black out lascia senza luce gli stabili di via Maia. La corrente elettrica tornerà solo verso le 7 di venerdì. Ma alle prime luci del giorno, la Digos ha già sfondato la porta di un modesto appartamento al primo piano del civico 6. A quel punto, in tutta Italia è già in corso l’operazione di polizia che porterà al fermo di sette persone (almeno 12 gli indagati): Roberto Morandi, Cinzia Banelli, Paolo Broccatelli, Marco Mezzasalma, Alessandro Costa, Laura Proietti, Federica Saraceni. Fra loro, è quasi certo, i killer che il 20 maggio 1999, in via Salaria a Roma, uccisero il giuslavorista Massimo D’Antona. Lazio, Toscana, Liguria, Piemonte, Friuli Venezia Giulia e Sardegna le regioni coinvolte. Tre le procure a gestire le indagini, Roma, Firenze, Bologna. «Centouno le perquisizioni da Udine a Cagliari, con oltre mille agenti in azione che hanno sequestrato chili e chili di carte, documenti, computer. In mano alla polizia sono finite anche due pistole non denunciate ma la semiautomatica calibro 9 corto che ha ucciso sia D’Antona che Marco Biagi è ancora introvabile». In ogni caso gli inquirenti non hanno dubbi: «Abbiamo decapitato le nuove Brigate Rosse». [1]

Quando la Digos ha raggiunto il covo romano delle nuove Br a via Maia, «gli inquilini sono saltati su dal letto di soprassalto, la luce non si accendeva e qualcuno bussava incessantemente alle loro porte. Il panico, le urla dei bambini e quel trambusto che non finiva più. Ce n’era abbastanza per chiamare immediatamente la polizia. ”Ho preso una pila e ho chiamato il 113 - racconta Paolo Tulelli, pure lui inquilino del primo piano - poi siamo usciti sul pianerottolo e qualcuno ci ha detto ”la polizia siamo noi”». Hanno rivoltato le tre stanze, cucina e bagno, portato via anche la roba che era in balcone, pacchi e pacchi di materiale da esaminare. La proprietaria, Patrizia E., 50 anni, disabile con pensione d’invalidità del 100 per cento, non s’è mai occupata degli affittuari, vive altrove con il padre e suo figlio di 24 anni. Della casa si occupa l’ex marito, Mauro B., 53 anni, bancario in pensione. Anche lui tirato giù dal letto nella sua casa di Anzio, accompagnato prima in via Maia poi in Questura. «All’appartamento gli investigatori sono arrivati grazie a un mazzo di chiavi sequestrato alla Lioce. Un lavoro certosino, condotto porta a porta per mesi in vari quartieri di Roma». Decine di prove nelle serrature di abitazioni utilizzate da sospetti fino a che una delle chiavi ha aperto il cancello del palazzo giusto. [2]

La casa è stata presa in affitto il 1° febbraio ’98 dall’ingegnere Marco Mezzasalma (44 anni), nato a Tripoli, ora agli arresti. Per garanzia due buste paga e il tesserino di un’agenzia interspaziale con sede a Pomezia. Rapporti inesistenti con il figlio della proprietaria: «Gli lasciavo il calcolo dell’Istat nella buca delle lettere, lui lo aggiungeva al bonifico. Poi ha disdetto la casa. L’8 giugno mi ha riconsegnato le chiavi. A metà giugno sono passato in via Maia. La casa era già ammobiliata, ma lui ha lasciato lavatrice e scaldabagno nuovi, un mobile porta-computer, due armadietti di metallo, un grande tavolo da camping. Ma la cosa che mi ha più meravigliato era che ci fosse una centralina telefonica, pannelli insonorizzanti. E piante di pregio secche. Sembrava che in quella casa mancasse da mesi». [2]

«Quattro presunti terroristi sono stati bloccati nella Capitale, dove gli uomini del questore Cavaliere, dell’Ucigos e della Digos [...] hanno eseguito la maggior parte delle perquisizioni”. [3]. Oltre a Marco Mezzasalma (in casa sua a via Pescaglia, c’era un voluminoso carteggio che sembra una nuova risoluzione strategica: «Ormai, con la cattura di Nadia Lioce e Mario Galesi, gli unici due regolari dell’organizzazione, le Brigate Rosse non sono più operative e ci vorrà del tempo per riorganizzarci»), sono finiti in carcere: Paolo Broccatelli (35 anni), Federica Saraceni (33), Alessandro Costa (33). [4]

A Paolo Broccatelli la Polizia ha permesso di fare una telefonata a casa: «Ciao, mamma», sono state le uniche parole. La sorella, Stefania, 39 anni, candidata per i Verdi alle ultime amministrative: «Hanno bussato nel cuore della notte, era la Polizia, pensavamo a un incidente stradale. Poi hanno voluto perquisire anche casa mia. Mio fratello un Br? Sono pronta a mettere la mano sul fuoco che non è vero; finirà in una bolla di sapone, una replica del caso Geri. Se dovessero emergere prove contro di lui, allora non lo riconoscerei più come fratello. Ma non posso crederci, perché Paolo è sempre stato un non violento, un pacifista» [5]. considerato invece la talpa dell’Università: lavora per una ditta di pulizie della Sapienza e avrebbe seguito alcune lezioni di D’Antona. [1]

Federica Saraceni, maestra d’asilo, figlia dell’ex magistrato del Tribunale di Roma ed ex deputato del Pds e dei Verdi e attuale avvocato Luigi Saraceni. [3]. Gli agenti della Digos sono andati a prendersela alle quattro. «Anche prima, forse, la giovane e la bimba dormivano. La Polizia ha rovistato dappertutto e ha portato via documenti giudicati interessanti» (tra questi, una foto incorniciata di Mario Galesi, morto il 2 marzo nello scontro a fuoco con la polizia, mentre viaggiava con la Lioce sul treno Roma-Firenze) [1]. Più tardi è stata accompagnata negli uffici della Digos, sede della Questura. E lì le hanno chiesto del fidanzato, Daniele Bernardini, ricercato e ora latitante. [6]

Alessandro Costa, impegnato a Roma nelle lotte sociali e nelle occupazioni di stabili, frequentatore del centro sociale ”Blitz” (in cui spesso si faceva vedere Galesi). «In passato Costa ha lavorato come stagionale a Courmayeur (dove vive suo fratello) e ha fatto il cuoco e il sommelier in un ristorante ai piedi del Monte Bianco. Escluso, però, che durante il soggiorno, abbia svolto attività politica o avuto problemi con le forze dell’ordine» [7]. I suoi amici parlano così di lui: «Gran lavoratore, sicuramente il meno lottarmatista degli autonomi. L’hanno messo dentro perché frequentava lo stesso centro sociale di Galesi. Ma sono passati tanti anni...». [5]

L’arresto decisivo è quello di Laura Proietti. «Trent’anni, romana, inchiodata dalla prova del dna all’omicidio D’Antona. Un capello della ragazza [...] fu ritrovato nel furgone Nissan [nome in codice del veicolo, ”Patrizia”] usato per l’imboscata di via Salaria. Gli investigatori hanno confrontato il reperto con la saliva lasciata su un mozzicone di sigaretta raccolto durante un pedinamento». [1] Rotondetta, avvenente, lunghi capelli curati sulle spalle, già militante del movimento per la casa, cameriera al ristorante Dell’Orso a Poltu Quatu (Sassari), la Proietti viveva sola, in un residence, insieme a 8 colleghi. Quando non aveva nulla da fare, passeggiava sulla banchina e sull’arenile, il cellulare sempre in mano: i poliziotti della Digos l’hanno svegliata alle 4 e ammanettata. Fonti ufficiali parlano di operazione «tranquilla, senza particolari reazioni dell’indiziata». [8]

Gli altri due fermi riguardano altrettanti esponenti della così detta ”colonna toscana”: Cinzia Banelli e Roberto Morandi. La donna, 40 anni, al quarto mese di gravidanza, grossetana ma residente a Vecchiano (Pisa) al primo piano d’una villetta bianca (comprata per 300 milioni l’anno scorso da un vigile urbano). Dall’88 lavora nel laboratorio di endocrinologia dell’Ospedale Santa Chiara di Pisa (lì ha conosciuto Morandi). Mora, riccia, bassa di statura, padre agricoltore in pensione, madre casalinga, due fratelli, è sposata con Angelo Vairo, 36 anni, di origine campana. [9]; [10] la postina che avrebbe recapitato i volantini di rivendicazione per l’assassinio del professor D’Antona. Indicata nel computer della Lioce come ”compagna SO”, sarebbe stata sottoposta dai terroristi a un’inchiesta interna: era inaffidabile. [1] Per lei «dieci ore di perquisizioni, casa sottosopra e manette pronte. [...] I poliziotti sono arrivati alle 3 del mattino in via Arginevecchio». Gli agenti: «Più che sorpresa sembrava rassegnata. Ha detto una sola frase: ”Adesso non parlo, più avanti vedremo”. Poi il silenzio». Il marito invece era disperato. [9]

Roberto Morandi si è dichiarato «prigioniero politico e membro delle Brigate Rosse per il Partito Comunista combattente», dice il suo avvocato Attilio Baccioli, legale storico degli irriducibili [11]. 43 anni, fiorentino, tecnico al laboratorio Radiodiagnostica 1 del Pronto soccorso del Careggi di Firenze. A detta dei colleghi un tipo «tranquillo, una persona deliziosa che non parlava mai di politica». Sposato con Anna Loretta Pozzi, dipendente Asl coi postumi di una poliomielite contratta da piccola e l’hobby di fare i maglioni; una figlia, Chiara, liceale sedicenne. A causa della malattia della moglie ha lasciato l’appartamento di Novoli, senza ascensore e ha pagato 150 mila euro per una casa nuova al primo piano (con ascensore) a Sorgana, periferia della città. Sono venuti a prenderlo nella notte. [12]

Tutto inizia il 10 gennaio 2003. «Nadia Lioce consegna alla Graphocart di Roma il suo computer palmare ”per un intervento di sostituzione del cavo di connessione flat al monitor”. Poi compila un modulo con i suoi dati anagrafici e indica il numero di telefono: 333- 5878048. Torna a ritirare l’agenda elettronica un mese e mezzo dopo, esattamente il 27 febbraio. Passano tre giorni e parte per Arezzo con Mario Galesi. Un viaggio che finisce in tragedia». [13]

Telefonini. «Utenza 333- 5878048 intestata a Luisa Martini, persona inesistente, ma in realtà utilizzata da Nadia Desdemona Lioce». il telefono che ha tradito le Brigate Rosse. [13]

Riscontro insuperabile. A partire dal materiale sequestrato alla Lioce, gli inquirenti hanno lavorato sui tracciati di 18 telefoni cellulari tra il 1999 e il 2003 e tramite loro rintracciato 46 schede prepagate che, da gennaio al 20 maggio 1999, chiamarono «cellulari d’organizzazione» da 70 cabine telefoniche «tutte nelle immediata vicinanze della casa di D’Antona». Ad agosto Digos, Ucigos, i pm romani, fiorentini e bolognesi organizzano pedinamenti, appostamenti e intercettazioni: «Broccatelli poco dopo si tradisce al telefono: ”Temo che da Lioce possano arrivare a me”». Il 16 ottobre è la volta del mozzicone abbandonato dalla Proietti. «Riscontro insuperabile», scrivono i magistrati. [13]; [14]

«Le Brigate Rosse al tempo di Internet: le rivendicazioni via e-mail, gli ordini impartiti con rapidi contatti sui telefonini. E poi, i cellulari impersonali, la convinzione (sbagliata) che a garantire l’anonimato possa bastare una scheda prepagata acquistata presso un qualunque tabaccaio o l’uso di una postazione di un qualunque internet-point». «Il disastro capitato alle nuove Br ha un’origine: i telefoni e i palmari sequestrati a Nadia Desdemona Lioce. Da quegli oggettini elettronici ha preso il via una sorta di indagine del terzo millennio, più scientifica che poliziesca». [15]
La memoria flash del palmare non era segreta: «Regala 106 file, cioè scritti e appunti di Lioce e Galesi. C’è la storia delle nuove Br, chi sono, quanti sono (una cinquantina), come sono organizzati, la ”fusione con le sigle minori” (Npr, Nipr, Fcc, Nac), le ”difficoltà” di un’organizzazione che ha pochi numeri ed è orfana della massa e della classe operaia per realizzare la rivoluzione con la lotta armata». [14]

Persone da uccidere. «C’erano gli identikit dei prossimi obiettivi da colpire, nell’archivio elettronico delle Br caduto in mano agli investigatori dopo la sparatoria sul treno Roma- Firenze del 2 marzo. Nel palmare ”di colore grigio, marca Psion serie 5MX” i brigatisti Lioce e Galesi avevano scritto i programmi dell’organizzazione, sul piano teorico e pratico». Laddove ”pratico” significa persone da uccidere: «Riprendere obiettivo già inchiestato, portatore del dialogo tra le parti sociali nella trasformazione delle regole di sciopero nel privato, nodo che manifesta la sua contingente attualità nelle iniziative di Federmeccanica per lo sciopero indetto dalla Fiom». Quelli dell’antiterrorismo leggono e l’unico nome che gli viene in mente è quello di Antonio Martone, giuslavorista, da un anno alla Commissione di garanzia per il diritto allo sciopero nei servizi pubblici. Nel palmare delle Br anche Giancarlo Elia Valori, presidente degli industriali romani, rubricato fra i «portatori del dialogo». [16]

«Si sentivano invincibili. E anche invisibili. Facevano poche telefonate, ogni volta utilizzando una scheda diversa. Sapevano usare il computer, internet, le agende palmari, addirittura potevano innescare una bomba con le onde elettromagnetiche. Ma la tecnologia che doveva salvarli li ha fregati. Se i nuovi terroristi avessero utilizzato il sistema delle vecchie Br, quel foglietto di carta che veniva letto e poi mangiato, forse sarebbero ancora fuori». [17]

«La speranza degli inquirenti è che sia un nuovo 1988. Tra il settembre e l’ottobre di quell’anno un’operazione condotta allora come oggi tra Lazio e Toscana smantellò ciò che restava delle Brigate Rosse – Partito Comunista combattente. Da quel giorno e per undici anni le Br smisero di esistere e di sparare. Ma è proprio in quelle due regioni che sono rinate grazie a un manipolo di simpatizzanti e contigui, gente all’epoca operativa come raccordo, tutti transitati verso la rinascita Br attraverso il ponte dei Nuclei comunisti combattenti». [18]

La povertà di mezzi ha fatto saltare alcune vecchie regole di comportamento brigatista. «Come quelle della latitanza preventiva quando ”cade” un compagno dal quale si può risalire a un altro militante. Broccatelli è stato fermato con le accuse di essere un organizzatore delle nuove Br e uno degli assassini di D’Antona. Il suo nome era già noto agli investigatori, perché faceva parte del ”giro” di Galesi. Otto mesi più tardi Broccatelli viveva ancora a casa sua». [16]

Ne mancano 12. Giovanni Pellegrino, presidente della Commissione Stragi dal 1994 al 2000: «Ho sempre pensato che il nucleo sopravvissuto non superi, a livello operativo, le venti persone: ne abbiamo scoperte otto. Benissimo. Ne mancano ancora dodici e poi c’è quel livello superiore mai identificato». [19]

Il ministro Pisanu. «Venticinque anni. ”Per tutto questo tempo ho coltivato l’odio verso le Brigate Rosse, e il mio spirito di vendetta è servito a stimolare l’azione investigativa”. Non è una rivincita, e se ne rende conto, perché nulla potrà cancellare il sangue di via Fani e quell’auto parcheggiata in via Caetani». [20]