?, 7 dicembre 2005
Barracos Gomes Johanna Erika, di anni 32. Transessuale colombiano, nativo di Bogotà, viveva a Trastevere, Roma, in un monolocale di vicolo del Moro
Barracos Gomes Johanna Erika, di anni 32. Transessuale colombiano, nativo di Bogotà, viveva a Trastevere, Roma, in un monolocale di vicolo del Moro. Qui riceveva i clienti, agganciati sui giornali o tramite il suo sito web, dove si descriveva ”sensuale come una gatta, aggressiva come una pantera”. Ad agosto conobbe un domestico umbro, di anni 40, che, pur non ricambiato, desiderava a tutti i costi degli incontri erotici. Le avances si fecero più pressanti, fino alla tarda serata di sabato 11, quando l’umbro si presentò a casa di Erika, si dichiarò e fu preso a male parole. Staccò allora un grosso legno dalla testiera del letto e con quello le fracassò la testa. Lo scontro continuò in bagno, dove il transessuale fu colpito per 15 volte con un coltello da cucina. Fu ritrovato intorno alle 20 e 20 di martedì, da un amico: sdraiato a faccia in giù, la mano sinistra penzolante dentro la vasca da bagno. In una stanzetta al pianterreno, nel primo dei due cortili di vicolo del Moro 33, edificio a tre piani, sbreccato, detto il palazzo ”der fattaccio” per via di un delitto consumato un secolo fa. Buttau Mario, di anni 63, e sua moglie Lixia Antonella, di anni 55. Allevatori di Villagrande Strisaili (Nuoro), l’altra mattina erano in viaggio verso il loro podere quando s’avvidero che un fascio di rami ostruiva la strada. Il Buttau fermò l’auto, scese per spostarli e fu raggiunto da una scarica di pallettoni. Stessa sorte toccò alla moglie, seduta al posto del passeggero e non ancora riavutasi dalla sorpresa d’aver visto il marito afflosciarsi d’improvviso a terra. Due cinesi. Nella nottata di venerdì 10, tutti azzimati e profumati, si recarono insieme con altri due nella casa di una loro connazionale, di anni 32, parrucchiera a Empoli. Si fecero aprire con la scusa di un taglio di capelli. Poi estrassero i coltelli: immobilizzarono lei, la sua lavorante venticinquenne e il fidanzato di quest’ultima, di anni 28, medico agopunturista, esperto di arti marziali. Mentre i balordi erano distratti in tentativi di violenza sessuale e rapina, il medico si liberò dal nastro adesivo che lo bloccava a una sedia e si chiuse a chiave in uno sgabuzzino. Quando quelli sfondarono la porta, li stese a colpi di kung fu. Poi ne uccise due con un coltello. Al terzo perforò un polmone. Al primo piano di un edificio di sei in via Ridolfi, centro di Empoli. Margherito Irene, di anni 42, cameriera in una pizzeria di Venaria (Torino), sposata da quattro lustri con Costantino Giovanni, di anni 44, ispettore di polizia, due figli: Emanuela, di anni 22, e Francesco, di 16. Un anno fa la coppia aveva comprato una casa di 120 metri quadrati in via Valdellatorre, periferia di Torino: il mutuo che s’erano accollati aveva definitivamente messo in agitazione il Costantino, che già da tempo non riusciva più a esser tranquillo, a dispetto dei calmanti e dei vent’anni di carriera impeccabile. I due cominciarono allora una lunga teoria di litigi. Lei accarezzava l’idea del divorzio. Lui le ripeteva sommessamente ”o con me o sottoterra”. Una volta la minacciò con la pistola. Il figlio raccontò la faccenda al preside della sua scuola e il Costantino fu sospeso dal servizio per tre mesi. Il 3 ottobre, per via di una bolletta del telefono troppo alta, l’ispettore spaccò a schiaffi le labbra alla Margherito, che a quel punto si rifugiò dalla madre Donata. Nella serata di sabato 11 il Costantino si appostò sotto casa della suocera. Intorno all’una di notte tornò dal lavoro la moglie, accompagnata da uno dei sei fratelli, Margherito Maurizio, di anni 32, che ormai non la lasciava sola un momento. Il Costantino le sparò due colpi mortali, alla testa e al fianco, ne riservò un terzo per il torace del cognato. Il quarto se lo ficcò nel collo. Nella lettera per la figlia maggiore, spiegò di non poter vivere senza la moglie, indicò con perizia la collocazione del bancomat e il numero di conto corrente, pregò di avere un ”funerale degno”. Domenica 12, tra i palazzi della periferia di corso Cincinnati, Torino.