La repubblica 04/12/2005, pag.39 Maurizio Crosetti, 4 dicembre 2005
Il nostro identikit in un secolo di targhe. La Repubblica 04/12/2005. Nella macchinina giocattolo più bella del mondo, l´Aston Martin nera di James Bond (poteva forse essere il 1971), la targa posteriore miracolosamente ruotava: come quella vera dei film! Il piccolo movimento possedeva un forte valore simbolico, la targa come identità segreta e molteplice, segno di riconoscimento e nascondimento insieme
Il nostro identikit in un secolo di targhe. La Repubblica 04/12/2005. Nella macchinina giocattolo più bella del mondo, l´Aston Martin nera di James Bond (poteva forse essere il 1971), la targa posteriore miracolosamente ruotava: come quella vera dei film! Il piccolo movimento possedeva un forte valore simbolico, la targa come identità segreta e molteplice, segno di riconoscimento e nascondimento insieme. Con un´altra targa, un´altra vita. In fondo è lo stesso principio di tanti italiani che trascorsero con una sola automobile, dunque con una sola targa più che mai fissa, inchiodata alla carrozzeria, l´intera loro esistenza. In compagnia di quei numeri cadenzati come in una filastrocca (To E otto ottanta ottanta, TO D sessantaquattro ottantasette zero) crebbero, invecchiarono, morirono. Il tempo delle targhe è una storia lunga un secolo. Si comincia nel 1905, quando ancora non esiste la Motorizzazione Civile: il numero progressivo che testimonia la proprietà di un veicolo viene assegnato dalla Prefettura, deve riportare il nome della sede di quest´ultima e poi le cifre vere e proprie, anche se presto il nome della provincia sarà sostituito da un numero a due cifre rosso, seguito da altri quattro neri. l´inizio di una complicatissima vicenda fatta di mille cambiamenti, rivoluzioni, cancellazioni, riesumazioni, formati, tinte, materiali, una girandola che farà impazzire gli archeologi che tra qualche centinaia d´anni si ritroveranno fra le mani questi strani oggetti così mutevoli e si chiederanno perché. La risposta, forse, è contenuta in un sito Internet che è più profondo delle miniere di Tolkien (www. targheitaliane. it). Navigarci significa ricordare epoche che ci sono passate di fianco in un colpo di vento, tra una cifra letta al volo e una cromatura, un codice di città e un fanale. Le targhe che dicevano quale fosse il nostro luogo, dunque il dialetto e il carattere, l´indole (un po´) e il censo, perché se avevi un numero decrepito significava che non c´erano soldi per una nuova auto oppure, peggio, che eri tirchio. C´erano quelli che si sedevano lungo la strada e guardavano sfilare le targhe immaginando mondi e città, viaggiando di fantasia. C´erano i tifosi granata che sceglievano un´auto di quel colore e aspettavano che fosse targata Torino erre zero, cioè TORO. C´erano (l´austerity 1973) e ci sono ancora, per colpa delle polveri sottili, le targhe alterne: viaggi se sei pari, stai fermo se sei dispari, oppure sei James Bond e giri sempre. Le targhe: cioè il codice fiscale dell´auto alla quale un tempo si dava un nome di donna, Carolina, Pasqualina, per amarla e accudirla come una creatura di famiglia. All´inizio le targhe erano di porcellana o metallo, e divennero di mediocre plastica deformabile dal 1963, per poi tornare a materiali più robusti. E ci sono anni, date, come pietre miliari lungo la strada. Il 1927, quando comparvero le città sotto forma di sigle alfabetiche a due lettere (caratteri bianchi su sfondo nero e una sola riga rettangolare), capaci di scatenare interrogativi tipo: LE è Lecce o Lecco? CT è Catania o Catanzaro? Il 1932, quando le targhe posteriori diventano di due righe, quasi quadrate, leggendarie patacche scure rimaste sul sedere delle macchine per oltre quarant´anni prima di capitolare, vittime della grafica. Il 1948, quando compare la stellina della Repubblica Italiana tra sigla e numeri. Ma soprattutto il 1976, quando le targhe si spezzano in due: sulla prima riga, in alto, centrale, la sigla di provenienza (di colore arancione!), e sotto le cifre. Poi il 1985, quando si invertono le tinte: da ora in avanti (per poco), numeri e sigle nere su sfondo bianco, tutto in metallo riflettente, e la targa anteriore diventa grande da minuscola che era. Ancora, il 1994, quando la sigla provinciale sparisce e arriva la targa «alfanumerica», due lettere, tre numeri, altre due lettere. Lettere anonime: infatti molti italiani le cestineranno aggiungendo l´adesivo della loro provincia sul freddo codice che non dice più da dove arrivi, dunque chi sei. Ed ecco finalmente il 1999, quando ritornano le sigle geografiche tanto amate insieme alle due bande azzurre a destra e sinistra dei codici: da una parte la bandiera dell´Unione Europea e la sigla automobilistica internazionale, per l´Italia ovviamente I; dall´altra la provincia (in bianco) e l´anno di immatricolazione (in giallo). Nonostante varie ipotesi burocratiche, non è ben chiara la ragione di tanto frenetico cambiamento che ha portato nel «parco circolante» una massa così variegata di targhe in quanto a foggia, fattura, colore e dimensioni. Potrebbe essere la sconfitta della pretesa ordinatrice sul regno del caos, ma anche il segno di legislatori pasticcioni e posticci. Eppure, tra le linee confuse e spezzettate le curiosità non mancano, proprio come le eccezioni. Tipo le province scomparse di Pola, Zara e Fiume, o Perugia che prima era PU e poi PG, oppure le città che cambiarono nome tra il fascismo e la Repubblica: Littoria, diventata Latina, ebbe però il vantaggio di mantenere il suo LT. Oppure le targhe dei veicoli nei territori coloniali (AA, cioè Addis Abeba o T, Tripoli). Le targhette sul manubrio delle bici nel Ventennio: «Contribuzione manutenzione stradale», cioè si pagava il bollo anche per pedalare e spingere i «veicoli a braccia», come testimonia una vecchia targa di Trinità dei Monti, Cuneo. Bollo che, invece, per le automobili era inizialmente in metallo abbastanza artistico con un nuovo soggetto ogni anno, da appendere ben visibile sul cruscotto. Le targhe ci dicono da un secolo chi siamo, e quanti, e dove. Un giorno fu necessario introdurre lettere al posto del primo numero, tante erano le immatricolazioni. Avvenne per la prima volta a Milano, con un magnifico MI A zero zero zero zero zero. Letto di seguito era MIAOOOOO, e i ragazzini si divertivano a giocare con le parole delle targhe che miagolavano, oppure dicevano cose strane (Savona 10 era SVIO, tu svii, egli svia), in attesa che a Firenze G seguisse un´altra lettera dell´alfabeto. Meglio di una Garzantina per ripassare la geografia: occhio, quest´anno sono arrivate OT (Olbia-Tempio), OG (Ogliastra), CI (Carbonia-Iglesias) e MD (Medio Campidano), e nel 2009 avremo nientemeno che MB o MZ (Monza-Brianza, devono ancora decidere), FM (Fermo) e BT (Barletta-Andria-Trani). Quasi varie come un manuale di araldica: Aosta (AO) ha uno scudo con un leone rampante, Trento (TN) e Bolzano (BZ) un´aquila rispettivamente nera e rossa. E poi ci sono San Marino (RSM) e Vaticano (SCV: indovinate di chi è l´automobile targata SCV1). C´è Campione d´Italia, non la patria degli juventini ma il Comune in provincia di Como che però sta fisicamente in Svizzera, pur essendo italiano, e ha ottenuto di poter immatricolare le auto col sistema elvetico. C´è il «principato» di Seborga, in Liguria, riconosciuto da nessuno ma orgoglioso delle proprie targhe-curiosità. Roma, va da sé, si è sempre scritto per esteso, anche perché - per fortuna - è un nome eterno ma breve. E lo sapevate che alla fine della seconda guerra mondiale fu il Coni, proprio il Comitato Olimpico, a produrre e marchiare le targhe con il suo stemmino, trattenendo i fondi delle vendite per finanziare il movimento sportivo? Una cosa simile, quasi una sponsorizzazione toccò pure all´Associazione Mutilati e Invalidi di Guerra, con il simbolo delle tre baionette dentro una corona di spine. Perché oltre alle targhe esistono i «punzoni» ufficiali: prima il fascio, felicemente smontato, e per tappare il buco si mise appunto il Coni. Non manca una specie di segreto, ovvero la scritta visibile solo in controluce dal 1986: indica il tipo di pellicola riflettente usata, e serve a rendere più complessa la contraffazione, una cosa simile alla filigrana delle banconote. In questo romanzo cifrato non si possono dimenticare le motociclette, targate prima col numero rosso e nero, poi in nero su bianco, infine - come per le auto - con le bande blu laterali e la targa anche per i ciclomotori sotto i 50 cc, quella con gli angoli tagliati in alto. E non si devono ignorare presenze a volte inquietanti come i misteriosi Escursionisti Esteri, oppure i cartelli PROVA penzolanti sulla coda anche di macchine bellissime, uscite dal concessionario solo per un giro. Targhe provvisorie, targhe per rimorchi, per macchine operatrici (MACC. OP.), per veicoli agricoli, targhe del Corpo Diplomatico, del Corpo Consolare, della Croce Rossa Italiana col marchio prima a sinistra, poi tra sigla CRI e cifre, infine a destra e ancora nel mezzo, e gli inevitabili sottogruppi: anche la Croce Rossa, per dire, ha targhe di PROVA e RIMORCHIO. Il paese delle complicazioni che in effetti siamo non poteva non prevedere ulteriori targhe per Nazioni Unite, Polizia, Carabinieri, Esercito, Guardia di Finanza, Vigili del Fuoco (compresi, l´avevate immaginato, RIMORCHIO e PROVA), Marina, più tutte le varianti regie del tempo che fu: Regio Esercito, Regia Marina, Regia Aeronautica, Regia Guardia di Finanza. Le targhe dei filobus e dei taxi, delle vetture a noleggio con e senza conducente, del Servizio di Stato, dell´Amministrazione Provinciale, del Console Onorario, dell´Autoscuola, della Nettezza Urbana che un bel giorno raccoglierà tutte le patacche e le porterà via. Maurizio Crosetti