La Repubblica 04/12/2005, pag.34-35 Daria Galateria, 4 dicembre 2005
Breve storia del preservativo
Sade, Casanova, Shakespeare e l´innominabile. La Repubblica 04/12/2005. Sade adorava i preservativi. Il socievole Settecento, in crisi demografica, aborriva ogni spreco del prezioso seme della vita, e il più grande medico dei Lumi, Tissot, assicurava, nel suo celeberrimo trattato L´onanismo, che l´orrendo crimine generava cecità, tisi dorsale, marasma e morbi altrettanto funesti. Così, Sade, nel terzo dialogo della Filosofia nel boudoir, nell´addestrare ai piaceri l´ingenua Eugénie, le fa raccomandare dai suoi maestri di depravazione tutti i diletti legati allo sperpero del liquore amoroso, «perversamente sottratto alla sua destinazione d´uso». La gola, le cosce, l´incavo delle braccia, tutto serve, spiega Madame de Sainte-Ange, per contrariare la natura: «Le donne possono concedere agli uomini che le possiedono di servirsi di un sacchetto di pelle di Venezia, volgarmente detto condom, nel quale il seme cola, senza rischio di raggiungere il suo obiettivo». Ma di tutti questi stratagemmi, il più sensibile e delizioso, argomenta il Divin marchese, è quello retrogrado: disperdere il liquido virile nelle grazie posteriori. Già dal 1780 una "condomerie" era aperta al 22 di rue Beaujolais, sul Palais Royal, centro della prostituzione: Louis Philippe d´Orléans, futuro Philippe Egalité, autorizzava, nel suo incantevole giardino, tutti i commerci, purché redditizi: dai gelati ai gabinetti, carissimi come tutte le novità, diciotto lire a testa. «Preservativi di assoluta sicurezza», prometteva l´insegna A la capote anglaise dell´esercente Gros Millan: «Esportazione discreta in Francia e all´estero». Il 3 ottobre 1783, nei suoi Mémoires secrets, Louis Petit de Bachaumont racconta che, nel corso di una cena galante, la padrona di casa aveva avuto la delicatezza di distribuire agli invitati delle «redingotes anglaises» - il nome che usava Casanova: o anche «calottes di sicurezza»; Shakespeare, più poetico, diceva «guanto di Venere». In Inghilterra, i viaggiatori francesi scoprivano fin dal 1725, nelle vie più popolose di Londra, le boutiques in cui le signorine si dedicavano apertamente alla produzione di preservativi. Un secolo più tardi, la tolleranza era così estesa che al mercato di Petticott Lane se ne vendevano in scatolette di latte con l´effigie della regina Vittoria, o del suo primo ministro. Le origini dell´oggetto si attribuivano a un medico igienista inglese, Condom, un benefattore obbligato, dalla riprovazione generale, a cambiare nome - ma era una leggenda. Le dimensioni erano varie, e le commesse dovevano avere esperienza e colpo d´occhio nel valutare il cliente. Erano decorati, alla base, di un nastro rosso o blu; una coulisse consentiva di adattarli. La membrana d´intestino di montone veniva stesa su uno stampo in legno, ma i "superfini" erano profumati, e tenuti su forme di vetro, che conferiva una «bella luminescenza». Nell´Ottocento, Théophile Gautier, l´inventore del romanticismo a teatro, aprì una sua poesia col tema della «capote anglaise». Ma il più esplicito del secolo fu, incontestabilmente, Guy de Maupassant, in una sua pochade. Così, persuadere la principessa Mathilde a non assistervi fu un´impresa. Alla fine Flaubert, per disperazione, le mostrò il testo della commedia. Già nella prima scena, un seminarista lavava dei preservativi (erano all´epoca costosissimi, e si riciclavano). La cugina dell´Imperatore Napoleone III non era impressionabile; adorava gli intellettuali, e l´idea di una rappresentazione privata di una commedia scritta, recitata, diretta e presenziata dalle massime menti dell´epoca la stuzzicava. Certo il testo di Alla Foglia di Rosa, casa Turca era proprio lubrico; dovette rinunciare. Delle otto donne convocate, del resto - c´era per esempio Valtesse de La Bigne, che aveva ispirato a Zola il personaggio di Nana - una se ne era andata indignata; tutte portavano una mascherina. Zola stesso era incerto se mostrarsi austero o non sembrare puritano; Flaubert era entusiasta, e quasi senza vestiti, perché l´atelier del pittore Becker trasformato, quel 31 maggio del 1877, in scenografia di un bordello, era al quinto piano del 26 della rue de Fleurus, e il corpulento scrittore normanno si era levato il cappotto al primo piano, la redingote al secondo, il gilè al terzo, e insomma era arrivato in cima coi vestiti sulle grosse braccia nude, e il cilindro in testa. C´era Huysmans non ancora convertito, Turgenieff dalla barba venerabile, e tutta la scuola naturalista. Maupassant e i suoi amici andarono in scena vestiti da donne, con un gran sesso dischiuso dipinto sulla calzamaglia, e finirono con una corale danza itifallica, simulando il piacere solitario. Ma la scena migliore era il duetto tra il cliente inglese e l´inserviente del bordello, dal nome evocativo di Cresta-di-Gallo. La «capote anglaise» era allora intesa infatti come protezione dalle malattie veneree, e i giochi di parole sono esilaranti - il cliente inglese non mancava mai comunque di assentire alle osservazioni del padrone del bordello Miché: «Very good, very good, Miché». Nel luglio del 1885 Léon Daudet andò nella nera Guernesey, l´isola della Manica in cui Victor Hugo si era rifugiato, in esilio dalla Francia caduta in mano di Luigi Bonaparte, Napoleone il piccolo, come lui lo chiamava. Daudet si stupì del disordine che regnava nella vasta Hauteville House, tappezzata di rare piastrelle di Delft che formavano, sopra il camino della sala da pranzo, una gigantesca "H". Ripensava al poeta, diventato un vecchio solenne, che ripeteva quietamente: «La terra mi chiama». Quando aprirono gli armadi, nell´imbarazzo generale li trovarono stipati di «capotes anglaises di un formato gigantesco»; si affrettarono a farli sparire, quei preservativi, e le lettere dai disegni osceni: che madame Charles Hugo non le vedesse. Nei nostri anni Trenta, i surrealisti dedicarono dodici sedute alle Ricerche sulla sessualità. Erano interrogatori assai seri, che conservano un vago profumo di processo staliniano, applicato ai più teneri degli argomenti: le posizioni più gradite, l´uso delle parole, il feticismo. «Qualcuno di voi usa oggetti estranei come elementi erotici?», chiede a un certo punto Aragon, il più carino del gruppo, conteso da miliardarie inquiete. All´unanimità, la risposta è no. «Che pensa Aragon dei preservativi?», si informa Queneau, che non aveva ancora scritto Zazie nel metrò, ma già si sentiva stretto nel mondo surrealista, pronto a ogni rivoluzione, ma nella forma del centralismo democratico. «Penso che si comperino in farmacia», azzarda Aragon. No, lo corregge André Breton: «Direi dal droghiere». Non sanno perché, ma se lo immaginano come un oggetto infantile; ma poi tutti passano a occuparsi di Aragon, che ha dichiarato di avere solo erezioni incomplete: lo considera increscioso? «Beh, non posso neanche sollevare un pianoforte con le braccia», risponde ragionevolmente Aragon. Un uso distorto dei preservativi fu praticato dagli Americani negli sbarchi a Casablanca e in Normandia, nel ’42 e nel ’44; li stesero sulla canna dei fucili per proteggerli dalla sabbia e dall´acqua. Oggi, da quando Annie Ernaux ha cominciato a raccontare le passioni femminili attraverso scarni oggetti, affiorano bustine aperte di condom devotamente conservate nei cassetti, o fotografate, disperse sui tappeti. E Houellebecq, sempre votato al gusto dandystico di dispiacere, si ritrova in Piattaforma dentro una donna, e si accorge di aver dimenticato il preservativo. E addirittura si addormenta; ma, sempre favorito dall´efficienza femminile, si risveglia «per le contrazioni di lei». Daria Galateria