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 2005  dicembre 06 Martedì calendario

Del Fabro Romilda, di anni 89. Vittima di una malattia congenita che le aveva impedito di crescere, da sempre viveva con il fratello Luigi, quattro anni di meno, identica patologia

Del Fabro Romilda, di anni 89. Vittima di una malattia congenita che le aveva impedito di crescere, da sempre viveva con il fratello Luigi, quattro anni di meno, identica patologia. Nonostante l’età i due, proprietari di boschi e terreni, un passato da agricoltori, nessun problema economico, continuavano a voler abitare in campagna, completamente isolati. Martedì mattina la loro quiete fu interrotta dall’arrivo di un lontano parente, giunto lì appositamente per aiutarli a raccoglier legna in vista dell’inverno. Trovò Romilda a letto, ansimante, e annunciò che scendeva in paese per chiamare il medico. Rimasto solo col timore d’esser separato dalla sorella, Luigi si barricò in casa, la uccise con un colpo di fucile e subito dopo s’ammazzò. Nella giornata di martedì, in contrada Temerat, a un chilometro e mezzo da Forni Avoltri, Udine. Perri Barbara, di anni 30. Casalinga, sposata con Fernandes Eduardo, di anni 38, noto commerciante di elettrodomestici, due figli di 5 e 13 anni, viveva al Vomero, quartiere bene di Napoli. Qualche settimana fa, dopo giorni di liti col marito, si trasferì a Monza dalla sorella. Il Fernandes la raggiunse per far pace, ma poi, scoraggiato, se ne tornò a Napoli. Le suonò di nuovo alla porta nel pomeriggio di domenica 21. Lei, sola in casa, lo fece sedere in cucina. Lui la immobilizzò a terra, le chiese di tornare e la baciò. Constatato che lei aveva altro per la testa, la strangolò. Poi uscì, chiudendo la porta. Scalzo Maria, di anni 49. Dopo decenni trascorsi negli Stati Uniti, nell’86 lasciò il marito e se ne tornò in Calabria, insieme con i due figli nati in America: Soluri Pietro Serafino, di anni 23, e Soluri Rosanna, di anni 28. Trovò lavoro come domestica e si rallegrò quando la figlia, ostetrica, fu assunta all’ospedale di Assisi. A vivere con lei a Gimigliano, Catanzaro, rimase solo Pietro Serafino, tipo schivo, igienista, meticoloso, appassionato di televisione e videogiochi, un amico, un coma etilico un anno e mezzo fa, da qualche mese assiduo a un corso professionale della Regione. Nella notte tra martedì e mercoledì costui, senza preavviso, s’avvicinò al letto dove giaceva la madre e le assestò un’accettata sulla testa. Prese le chiavi, montò sulla sua Ford Fiesta, uscì dal paese. Poi girò il muso dell’auto e tornò verso casa. Si fermò a metà di un ponte lungo la provinciale Tiriolo-Gimigliano, parcheggiando a ridosso della barriera di protezione. Salì sul tettuccio dell’auto, guardò giù e fece il salto. S’inabissò settanta metri più sotto, nelle acque del fiume Corace. Il suo cadavere s’incastrò tra una roccia e un albero. Tagliente Giuseppe, di anni 4. La sorella gemella, Gianna Carmela, morta a maggio per soffocamento. Sua madre, Semeraro Maria, di anni 32, casalinga, depressa da allora, lo prese da parte poco prima delle 21 di giovedì. Prima gli strinse le mani intorno al collo. Poi lo colpì, al torace e al fianco sinistro, con un coltello che subito dopo utilizzò per pugnalarsi il petto, provocandosi un arresto cardiaco. Dopo pochi minuti arrivò suo padre, Tagliente Vito, camionista. La famigliola alloggiava in una casa con giardino, alla periferia di Pezze di Greco, frazione di Fasano, sessanta chilometri da Brindisi.