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 2005  dicembre 04 Domenica calendario

Charles, da sei anni chiuso nel "braccio". La Repubblica 04/12/2005. Quando parla al telefono dal braccio della morte, il mio "amico di penna" Charles Thompson ha un accento texano, quasi incomprensibile

Charles, da sei anni chiuso nel "braccio". La Repubblica 04/12/2005. Quando parla al telefono dal braccio della morte, il mio "amico di penna" Charles Thompson ha un accento texano, quasi incomprensibile. Ma sta impiegando i pochi momenti in cui può disporre del telefono, non si può sottilizzare. Chiama a carico del destinatario: capisco che è lui quando un centralinista della Telecom americana chiede se accetto il colloquio da South Livingston, Texas. Charles è stato condannato alla pena capitale nell´aprile del 1999 e da allora vive nel "braccio". Oggi ha trentacinque anni. E, contrariamente a quello che si può pensare, ha pochissimo da dire. Le sue giornate passano una uguale all´altra dietro le sbarre della "Polunski unit", a pochi chilometri dalla camera con il lettino dell´iniezione letale di Huntsville. Altro che interviste: parlare con un condannato a morte vuol dire dover raccontare a lui quello che succede "fuori", i fatti della politica americana ma magari anche le vicende personali, o le miserie nazionali, perché per lui il tempo passa molto più lento. Charles è un caso particolare. Alcolista, saltuario consumatore di droga, in una giornata di rabbia contro il mondo ha ucciso l´ex fidanzata e il nuovo boyfriend di lei. Al processo si difendeva sostenendo: «Se i medici si fossero sbrigati, potevano ancora salvarli». Ci scriviamo ormai da quattro anni: lui ci mette molto impegno, mentre io, lo confesso, faccio fatica a trovare argomenti comuni. Il mese scorso, però, è riuscito a riconquistare l´attenzione mia e di parecchi altri. evaso, come in un film. Sembrava incredibile: il 3 novembre è fuggito approfittando di un soggiorno nel carcere della contea di Houston, dove era stato trasferito dopo aver ottenuto una revisione del processo. Aveva appena appreso che la condanna a morte era stata confermata. In qualche modo è riuscito a recuperare la maglietta che aveva durante l´udienza e un paio di pantaloncini corti, ha falsificato malamente il tesserino di una guardia, ed è uscito in strada, tranquillamente. A quattro diversi cancelli nessuno si era preoccupato di controllare se era davvero lui la persona indicata nel documento. Sulla sua testa è stata messa una taglia di diecimila dollari, e i giudici del nuovo processo hanno vissuto tre giorni d´incubo. Poi, la sera del 6 novembre, Charles è stato riacchiappato. Era ubriaco fradicio, in una cabina telefonica davanti a un negozio di liquori, a Shreveport, in Louisiana, quattrocento chilometri da Houston. I poliziotti gli hanno chiesto i documenti e lui ha risposto: «Sapete benissimo chi sono. Sono quello che cercate». Più tardi ha raccontato di essersi spacciato per sopravvissuto all´uragano Katrina, senza documenti né casa, per ottenere vestiti, cibo e denaro dai "Buoni samaritani". In tasca aveva ancora dodici dollari. Ha subito accettato di tornare in Texas, perché «non vuole far sprecare il denaro dei contribuenti della Louisiana». Nel frattempo, le autorità si chiedono se qualcuno l´abbia aiutato: per esempio, a recuperare gli abiti civili che aveva indossato durante la nuova udienza. «Non credo che ce l´abbia fatta da solo», ha commentato John Donaghy, fratello della ragazza uccisa: «Chuck non è davvero la matita più appuntita dell´astuccio». In altre parole, non è un genio. La sua prima lettera è arrivata in redazione nel 2001, poco dopo Capodanno: sulla busta c´era un disegno con un fiocco natalizio e stelline. Charles si sforzava di descrivere le pecche di quello che definiva «il cosiddetto sistema di giustizia americano» e vantava dodici anni di studio della legge. Sapeva bene che i ricorsi alla Corte suprema riguardano questioni di diritto e non di fatto, e raccontava come costringeva i compagni di braccio ad abbandonare le illusioni: « solo una possibilità su un milione... questa non è giustizia, è Assassinio», scritto con la M di Murder maiuscola. Raccontava di altri detenuti: Joseph O´Dell («so per certo che era innocente») o Karla Faye Tucker («l´hanno voluta uccidere, anche se era un´altra persona. Sputo su Bush, che si proclama cristiano»). «Molte persone che ho conosciuto nel braccio non meritavano di morire. Erano ritardati, o avevano comunque un problema mentale», scriveva. Il governo americano «ha bruciato vivi i bambini a Waco... ha ucciso a freddo una donna e il suo figlioletto a Ruby Ridge... insomma, chi è qui l´assassino più grande?». E forniva la sua spiegazione: «Si potrebbe dire che tutto questo è un grande spreco di vita umana. Ma questi sono gli Stati Uniti... malati». Giampaolo Cadalanu