6 dicembre 2005
Roggerone Maria Rosa, di anni 33. Contadina, viveva tra Pegli e San Carlo di Cese (Genova) in una vecchia stalla senza porte né finestre ma non senza una parabola satellitare, animali domestici e rifiuti tutt’intorno
Roggerone Maria Rosa, di anni 33. Contadina, viveva tra Pegli e San Carlo di Cese (Genova) in una vecchia stalla senza porte né finestre ma non senza una parabola satellitare, animali domestici e rifiuti tutt’intorno. Con lei due fratelli, il maggiore Paolo, di anni 45, una passione per l’alcol e i fucili da caccia; il minore Andrea, di anni 40, non proprio sano di mente; e uno zio di anni 77. Costui portava a casa una piccola pensione che, sommata alla vendita di uova e formaggi, permetteva alla famiglia di vivacchiare. A turbare la pace domestica, di tanto in tanto s’accendeva la passione di Paolo per la sorella. La polizia lo arrestò due anni fa perché aveva provato a violentarla. La mattina di lunedì 8, non è chiaro se lei rifiutò a lui le sue grazie o gli negò soltanto una bottiglia di vino, fatto sta che il Paolo si vide costretto a picchiarla. Quando riuscì a fermarsi, la Roggerone non respirava più. La vestì, un rosario tra le mani, la sistemò tra vecchi mobili e la mangiatoia, poi mandò in paese l’Andrea per comprare una bara alla sorella ”morta per una caduta”. L’impiegato, insospettito, chiamò la polizia. Romano Veronica, di anni 37. Originaria di Scisciano (Napoli), da tempo si era trasferita a Carpi (Modena) dove aveva preso il diploma di scuola alberghiera e viveva coi due figli, una femmina di anni 7 e un maschio di anni 4, alle spalle un matrimonio di sette con Al Natour Rihad, rimpatriato in Giordania dopo la separazione avvenuta tre anni fa. Seria, generosa, sempre sorridente, era stata insegnante, aveva gestito una pizzeria a Fossoli e un bar a Modena assieme al marito e al di lui fratello, Al Natour Mohamed, di anni 36. Quest’ultimo, disoccupato, una presunta schizofrenia, da qualche mese era convinto che Veronica fosse causa della sua sfortuna. Probabilmente se n’era invaghito e lei lo respingeva. Domenica sera andò a trovarla nella casa di via Colombo con la scusa di vedere i nipotini. Giocò con loro, poi raggiunse la Romano in cucina e cominciarono a discutere. Finì che un coltello s’infilò nel petto di lei: i colpi furono quattro, due mortali. Prima di lasciar cadere l’arma sul pianerottolo, il Mohamed infilzò alla schiena la cugina, Mauro Concetta, di anni 21, uscita per chiamare aiuto. Quindi salì su una Bmw e, spaesato, chiese più volte informazioni per raggiungere la caserma di Correggio. Una bambina di pochi minuti e due chili di peso. Fu partorita nella notte di venerdì 5 da una F. L. di anni 25, studentessa universitaria, all’occorrenza operaia in una ditta di Bassano del Grappa per arrotondare la paghetta. Costei conduceva una vita tranquilla insieme con i genitori e il fratello a Trambacche, duemila anime al confine fra Padova e Vicenza. Quando scoprì d’essere gravida scelse di tenere il segreto per sé, giustificando le sue rotondità con la scusa d’una disfunzione alimentare. L’altra sera ebbe un malore ma fece finta di niente. Poi, chiusa nella sua stanza, scodellò la bimbetta, si premurò di ficcarla in un sacchetto di plastica, la nascose in un mobile del giardino, dentro un secchio. Infine, sopraffatta dal dolore, percorse sola i dieci chilometri che la dividevano dalla Casa di cura di Abano Terme dove restò, in stato confusionale, piantonata dai carabinieri. Zanchi Antonio, di anni 37. Una lunga confidenza con alcol e droghe pesanti, abitava in via Ronchetti 6, centro storico di Nembro (Bergamo), con la famiglia: il papà Giovanni, ex calzolaio di anni 65, la mamma Lucia e il fratello Francesco. Quando non chiedeva soldi ai genitori, coltello alla mano, si dedicava a piccoli furti e rapine. Tre anni fa, durante una discussione, cercò di abbattere il fratello con una mazza: finì invece in ospedale col cranio ammaccato dal padre (poi condannato a due anni di prigione scontati quasi tutti agli arresti domiciliari). Lunedì pomeriggio, davanti all’ennesima lite, questa volta con la madre, papà Giovanni perse la pazienza e impugnò la mazza ferrata da carpentiere per assestare dieci colpi sulla testa del figlio, che s’accasciò sul pavimento. A nulla valsero i tentativi del medico di rianimarlo. Perse la vita mentre raggiungeva gli Ospedali Riuniti di Bergamo. Zanotti Monica, di anni 21. Bergamasca di Gorno, minuta, capelli scuri e lisci intorno a un volto sognante, preso il diploma al liceo linguistico di Clusone era partita per Londra lo scorso ottobre, decisa a perfezionare la lingua imparata a scuola. Vagheggiando successi da traduttrice, lavorava intanto nelle cucine di un ristorante per pagare l’alloggio diviso con tre amiche italiane a Fulham Road. Per tre mesi aveva frequentato regolarmente un ragazzo croato, Stojanovic Sanjin, di anni 24, tanto ossessionato da lei che, quando all’inizio d’agosto la vide partire per l’Italia, vinta dalla nostalgia, prese a minacciare d’inseguirla fino a casa e chissà cos’altro. Sebbene terrorizzata, Monica volle comunque ripassare per Londra e sbrigare le ultime faccende di lavoro entro i primi di settembre. Accettò un ultimo appuntamento a casa dello Stojanovic, ma l’incontro fu subito lite furiosa. Senza perder tempo lui la colpì alla gola, al torace e al polso con un coltello. Lo stesso che usò per suicidarsi. Sabato 30 agosto in un appartamento dell’Abbey Wood, a Londra.