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 2005  dicembre 06 Martedì calendario

Come costruire un impero sul quattordicesimo elemento della Tavola periodica, Ventiquattro, settembre 2003 Il neolaureato Gordon Moore aveva 26 anni quando si presentò alla Dow Chemical per un colloquio

Come costruire un impero sul quattordicesimo elemento della Tavola periodica, Ventiquattro, settembre 2003 Il neolaureato Gordon Moore aveva 26 anni quando si presentò alla Dow Chemical per un colloquio. «Buona conoscenza tecnica, nessuna propensione al management», fu il responso dell’incontro con lo psicologo che selezionava i candidati. Ma lui non si buttò giù. Forse perché sapeva del giudizio espresso dalla Paramount al provino d’esordio di Fred Astaire («Non sa né recitare né cantare, tende alla calvizie. Balla benino«). O forse, più semplicemente, perché l’esuberanza giovanile gli faceva animo. Oggi Gordon Moore ha 75 anni, è in pensione da due ed è spesso in giro per il mondo per via dei suo nuovo mestiere: il filantropo: il lavoro giusto per uno che è straricco dopo aver fondato un impero industriale che abbraccia l’intero pianeta, che ha inaugurato un nuovo business e che - a opinione di molti - negli ultimi vent’anni ha fatto da motore all’economia globale. Ma anche, curiosamente, costruito sul quattordicesimo elemento della Tavola periodica, un atomo che si trova comunemente nell’argilla, nel quarzo, nel granito o nella sabbia: il silicio. Perché la Intel, nata nel 1968 da un’idea di Moore e dei suo collega Bob Noyce, è diventata l’«Impero del silicio». Anche quando Gordon Moore non farà più il filantropo, è assai probabile che resterà viva la sua intuizione del 1965, nota al mondo come «legge di Moore»: il numero dei transistor nei microchip - ovvero la loro potenza di calcolo - raddoppia ogni 18 mesi. Può sembrare buffo chiamare «legge» un fenomeno che deriva dall’ingegno degli uomini, invece che dall’ingegno della natura come la «legge di gravità». Ma, al contrario di quello psicologo della Dow Chemical, Moore ha avuto il merito di azzeccarci in pieno: i transistor affastellati dentro il «4004» (il primo processore costruito dalla Intel nel 1971) erano 2.300: nell’ultimo «Itanium» sfornato dall’impero dei silicio sono 400 milioni. Una crescita esponenziale che ha alimentato - oltre ai bilanci della Intel, che oggi vale in Borsa 157 miliardi di dollari - anche l’intera industria tecnologica. La quale - sommando computer, telecomunicazioni, elettronica di consumo e le miriadi di nuove applicazioni dei microchip, dalle lavatrici agli armamenti - ha cambiato radicalmente i modi di vita di miliardi di persone. E per di più a costi sempre più ridotti: il corollario della «legge di Moore» dice che, a parità di potenza di calcolo, il prezzo dei chip si dimezza ogni 18 mesi. Quei 18 mesi non sono mai stati una misura rigida. Inizialmente erano 12, per brevi periodi sono stati anche 24. Ma, se questa è o assomiglia a una legge, è perché il battito del tempo scandisce con regolarità una progressione geometrica. è come la storia di quel re che accettò di pagare un debito in grano, con una progressione geometrica su una scacchiera: un chicco nel primo quadrato, due nel secondo, quattro nel terzo e nell’ultimo cento miliardi di tonnellate di grano. Il fatto che i microchip raddoppino la propria potenza ogni due anni trasforma questo business in un’indiavolata corsa contro il tempo. «I nostri laboratori di ricerca guardano tre anni avanti», racconta Ron Curry, direttore del marketing degli Intel Labs, cuore dell’impero del silicio che sta di casa a Santa Clara, California, in quella che - indovinate per merito di chi - si chiama Silicon Valley. Ma tre anni sono pochissimi, nella frenetica industria dei semiconduttori. Intel solo nell’ultimo trimestre ha registrato un margine operativo dei 56 per cento a fronte di un fatturato di 6,8 miliardi di dollari. E con la rendita di posizione che si ritrova - oltre l’80 per cento dei mercato dei chip che fanno girare Windows – nel 2002 ha consacrato alla «legge di Moore» qualcosa come 4,2 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo (più altri 4,7 per nuovi stabilimenti e apparecchiature). Quanto basta per tenere i concorrenti a una certa distanza. Un gap che aumenta con il diminuire delle dimensioni di quegli invisibili canali di silicio dove i bit volano a cavallo degli elettroni: fra poche settimane, Intel comincerà a sfornare chip da 90 nanometri (90 miliardesimi di metro), scendendo così dentro i confini impercettibili della nanoscala. «Ci possiamo ormai definire un’azienda nanotecnologica - dice Craig Barrett, il numero uno della società -: nel giro di poco tempo arriveremo ai 65 nanometri». E, se i concorrenti faticano a tenere il passo, è perché c’è anche una «seconda legge di Moore»: per ogni generazione di chip, il costo di produzione raddoppia. Il che accade più o meno ogni quattro anni. Il costo di uno stabilimento era di 14 milioni di dollari nel 1966, è salito a 2,7 miliardi nel 1997 e nel 2005 si immagina che sorpasserà i 10 miliardi. L’impero del silicio pare dunque una fortezza incrollabile, costruita sulle solide fondamenta della «legge di Moore». Nemmeno per idea. «Dieci anni sono lunghi - assicura Tony Ambrose, capo del marketing del gruppo Intel - faremo in tempo a trovare altre soluzioni». Fatto sta che, fra dieci anni, la «legge» sbatterà la faccia contro i limiti della miniaturizzazione (quando i condotti di silicio saranno larghi solo cinque atomi, la fisica del chip non funzionerà più) e del calore (un Pentium 4 arriva alla temperatura di una lampadina ma, a forza di rimpicciolire, fra dieci anni il silicio raggiungerebbe un calore spaventoso). La legge di Moore è destinata a morire? Finora chi diceva di sì s’è dovuto ricredere. Però è ragionevole rispondere: forse. Gli ottimisti assicurano che l’innovazione la terrà a lungo in vita. E molte aziende, a cominciare dalla Intel, stanno già battendo le strade di nuovi procedimenti, nuovi materiali, mentre al tempo stesso si studiano chip biologici, nanotubi di carbonio, fino alle promesse della meccanica quantistica che - se mantenute - potranno relegare il silicio all’età della pietra. Ma Intel mica fa tutto da sola. i colossi asiatici (Hitachi, Toshiba, Fujitsu, Samsung) non stanno a guardare. Quelli europei (St, Infineon, Philips) neppure. In America spuntano startup a getto continuo, capaci di scavarsi una nicchia vincente (come la Nvidia di Santa Clara, oggi numero uno nei chip grafici), per non parlare di colossi in cerca di rivincita come Motorola o Texas Instruments. O come Ibm che, dopo aver trasformato Intel e Microsoft in due cornucopie (grazie alla folle decisione del 1980 quando affidò loro la costruzione del chip e del sistema operativo per i suoi Pc, invece di farseli da sola), è appena tornata in campo con il primo processore a 64 bit per personal computer, adottato dalla Apple. La severa «legge di Moore» impone di non fermarsi mai. «Oggi - spiega Barrett - siamo focalizzati sulla convergenza fra computing e comunicazioni, che aprirà una nuova stagione di crescita». Al grido di «Molti dispositivi, sempre e dovunque», la Intel sta cavalcando la rivoluzione delle connessioni senza fili con il nuovo Centrino (che riunisce in un solo chip le capacità di calcolo e quelle di comunicazione) e con robusti investimenti in piccole società del mondo wireless. Ma questo è solo per il breve o il medio periodo. Nel lungo termine, l’Impero di Santa Clara dovrà per forza trovare qualcosa oltre il silicio, per mantenere il suo leggendario dominio e far sopravvivere la «legge di Moore». Dieci anni sono appena cinque vite, in questo mondo nanoscopico dove tutto raddoppia ogni 24 mesi, dove bisogna pensare in grande e mai guardare indietro. Un po’ come fece Gordon Moore quando, contro ogni aspettativa, si trovò a ballare sul palcoscenico del mondo insieme con Fred Astaire. Marco Magrini