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 2005  dicembre 05 Lunedì calendario

Ghione Ileana

• Nata a Cortemilia il 15 gennaio 1931, morta a Roma il 3 dicembre 2005. Attrice. «’Uccidere una donna è una cosa terribile ...”. Ileana Ghione non è riuscita a completare la battuta del personaggio di Ecuba che [...] come ogni sera, stava impersonando nello spazio romano che porta il suo nome, il Teatro Ghione, vicino a San Pietro. Rivolgendosi al pubblico, nel manto rosso di scena, ha aggiunto: ”Scusate ... sto male”. Poi si è accasciata sul palcoscenico. ”Sipario!” ha urlato una delle attrici del coro, Cristina Borgogni. Trasferita d’urgenza al San Filippo Neri e operata per sei ore nel tentativo di bloccare l’aneurisma all’aorta, Ileana Ghione è morta alle sei di [...] mattina. [...] nata nel 1934 a Cortemilia, un paesino delle Langhe, non distante da Santo Stefano Balbo, il paese del suo scrittore preferito, Cesare Pavese, poi allieva di Orazio Costa e Sergio Tofano all’Accademia d’Arte drammatica Silvio D’Amico di Roma negli anni Cinquanta - gli spettatori televisivi degli anni Sessanta la ricorderanno come interprete accanto a Giancarlo Giannini del popolarissimo David Copperfield, diretto da Majano, nei Buddenbrook, diretti da Fenoglio, nell’Allodola di Anouilh, con la regia di Cottafavi, e in numerosi sceneggiati di successo. In quegli stessi anni la Ghione lavorò molto anche per la radio dove aveva debuttato nel 1958 con Ma non è una cosa seria di Pirandello diretta da Orazio Costa. Dall’80 si era dedicata totalmente al suo teatro foderato di velluti rossi in via delle Fornaci a pochi passi da San Pietro. Definendo sempre più nel corso delle stagioni un suo repertorio di classici contemporanei incline sia ai registri brillanti di Wilder o Bernard Shaw che a quelli più cupi dei drammi nordici di Ibsen. Ma sempre attenta nello scegliere testi e personaggi, a cogliere, quasi con un fervore da suffragetta, il lato ”femminista”» (Nico Garrone, ”la Repubblica” 4/12/2005). «[...] Negli ultimi anni, i suoi capelli erano rosso fiamma. Qualunque fosse il personaggio da interpretare, un’eroina greca o una di quelle donne che Arthur Miller rappresentava con un’arditezza un po’ dimessa, quel colore era considerato quasi un simbolo. Per lei, che aveva attraversato guadi artistici non sempre placidi, il rosso fuoco indicava un’indole, svelava la tendenza a non cedere, l’attitudine a difendere ciò in cui più credeva: il teatro dei poeti e della parola. Non c’erano cedimenti nella sua devozione. Al punto che, per servirla totalmente e magari entrando in polemica con l’establishment, si era risolta a fondare un suo teatro, a crearsi un luogo di libertà. Con le fatiche che ognuno può immaginare. [...] si è lasciata alle spalle una storia artistica lunga e complessa. Attrice, ma anche regista e, diremmo oggi, organizzatrice culturale, deve la sua prima, impetuosità notorietà alla tv, accanto a Gino Cervi e a Andreina Pagnani nella serie Maigret. La sua figura slanciata, l’eleganza del portamento la segnalarono anche al cinema, per il quale interpreterà sette film che non lasceranno traccia particolarmente profonda. Tuttavia era nel teatro che la Ghione intendeva esprimere il mondo ideale che sentiva ribollire dentro di sé. Non si poneva limiti. Poteva affrontare la commedia brillante (Due dozzine di rose scarlatte di De Benedetti), ma anche l’impervio Pirandello. Anzi Pirandello occupava un posto privilegiato nella sua storia artistica. La vita che ti diedi, Questa sera si recita a soggetto, Non si sa come si sarebbero detti i suoi cavalli di battaglia. Ma c’era molto altro nell’animo della Ghione. C’era Oscar Wilde, di cui apprezzava la leggerezza e insieme la crudeltà, c’era Jean Giraudoux (La guerra di Troia non si farà), c’era l’ostico e quasi inaccostabile Camus (Il malinteso), c’era Shakespeare e, naturalmente, c’erano i tragici greci. Come si vede, nessuna concessione al gusto facile, né alle ragioni della cassetta, né alla moda. Ileana Ghione aveva un progetto e da quella linea non si è mai allontanata. Certo, faceva anche il doppiaggio, prestava la sua bella voce beneducata ad altri volti e ad altre storie, ma poi tornava a se stessa e ai suoi autori, che condivideva con attori di diversa caratura. Con chi non ha recitato la Ghione? Citando alla rinfusa, vengono in mente Paolo Stoppa, Cervi, Glauco Mauri, Walter Maestosi, Mico Cundari. Nel 2000 era tornata a Asti per ritirare un’onorificenza nel nome di Vittorio Alfieri. Nel 2001 il presidente Ciampi l’ha nominata grande ufficiale: un segno di gratitudine» (Osvaldo Guerrieri, ”La Stampa” 4/12/2005). «Nel nostro immaginario Ileana Ghione ha tre vite. La prima è legata all’infanzia, di noi italiani, quando la tv era un mezzo di diffusione culturale indiscusso. Ne è stata una protagonista. Gli attori della tv in bianco e nero sono del tutto diversi dagli attori degli sceneggiati attuali. Avevano un’aura mitica, duravano nel tempo, trasmettevano messaggi che venivano da lontano, in genere dal secolo precedente, dai grandi romanzi dell’Ottocento, o dal teatro cosiddetto borghese. In più, non c’era un sensibile divario tra le loro apparizioni sul piccolo schermo e la loro presenza in scena; non vi erano fratture che li classificassero come attori di un tipo o di un altro. Erano attori e basta. Di qui, non solo il loro prestigio, ma anche la loro fortuna. Il pubblico imparava a conoscerli mediante la tv e poi li ritrovava a teatro. Correva a teatro per vederli in carne e ossa. [...] protagonista in una versione dei Buddenbrook da Thomas Mann; ma anche ne La donna del mare di Ibsen. [...] La donna del mare è l’anello di congiunzione con la seconda sua vita, quella di attrice pura, di attrice di teatro. Non solo l’anello di congiunzione ma anche, e proprio, la sua bandiera, il suo dramma. Se si fosse chiesto alla Ghione qual era il suo ruolo avrebbe risposto [...] quello di Ellida, la tragica eroina di Ibsen. [...] Era un’attrice che non aveva avuto paura di confrontarsi con la modernità, che nella modernità aveva trovato la sua dimensione. Ma era, nel profondo, un’attrice all’antica, che si immedesimava, che soffriva il personaggio, che se ne imbeveva. Di qui i suoi ”eccessi” come figura sulla scena, come veicolo di una dinamica psicologica e drammatica che il teatro d’oggi tende a rifiutare, senza accorgersi di quanto esso stesso si affidi a quei moduli interpretativi. La Ghione aveva di bello che se ne accorgeva e non li rifiutava, ne era anzi orgogliosa. La sua terza vita scaturisce da questo orgoglio, da una specie di indomita fierezza. La sua terza vita è il teatro cui ha dato nome e prestigio. Il cartellone di questo teatro appariva leggermente fuori tempo, démodé. Ma la sua forza era nell’ostinazione a ripetersi, nella costanza, nell’indifferenza rispetto alle critiche. Che cos’era il teatro per Ileana Ghione? Era la grande drammaturgia di tutti i tempi, in specie dei decenni a cavallo tra XIX e XX secolo, Oscar Wilde, Ibsen, Becque, Shaw, O’Neill. Ma anche, si capisce, Sofocle o Euripide, la drammaturgia antica, quella cui ha sacrificato la vita. [...]» (Franco Cordelli, ”Corriere della Sera” 5/12/2005). «[...] Morire in scena è il sogno inconscio d’ogni attore, il sigillo su un mestiere scritto sull’acqua. Vittorio Gassman nel ’92 lo confessò pubblicamente in una tournée in Venezuela: ”Mi piacerebbe morire in scena, l’ho detto ai giornalisti di Caracas ma facendo debite corna dietro la schiena. Non per ragioni romantiche o per imitare Kean: penso che faccia meno male”. Edmund Kean, eroe shakespeariano, nel 1833 recitava a Londra col figlio Charles. Il padre era Otello, il figlio Iago. Si accasciò e mormorò al figlio di dire al pubblico che stava morendo. [...]» (Valerio Cappelli, ”Corriere della Sera” 5/12/2005).