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 2005  dicembre 04 Domenica calendario

L’onda più lunga si è portata via il signore del surf. La Stampa 04/12/2005. C’era un ragazzo, e adesso non c’è più

L’onda più lunga si è portata via il signore del surf. La Stampa 04/12/2005. C’era un ragazzo, e adesso non c’è più. Si chiamava Malik Joyeux, era nato 25 anni fa a Moorea, Tahiti, e la sua vita era surfare. Issarsi su una tavola ben lucidata, cioè, e così - precario e saldo al tempo stesso, aggrappato al nulla - attaccare il mare, cercare l’onda più alta e più lunga, domarla, volare con lei. Un surfer, Joyeux: uno dei più grandi, uno a cui guardavano tutti gli adepti della setta che adora la tavola con la pinna in fondo. Perché nel 2003, a Teahupoo, Malik aveva fatto qualcosa che mai nessuno prima in tutta Tahiti. S’era arrampicato su un’onda che all’improvviso era cresciuta fino a toccare i 6 metri d’altezza e - unico e solo a riuscirci nella storia della spiaggia polinesiana, che è poi una sorta di Maracanà del surf - scivolando con la sua tavola aveva percorso tutta intera la mostruosa parete d’acqua, fino a dolcemente poi scenderne, sempre in piedi sulla tavola. Integro, sano, vincitore. Era un grande destinato a diventare grandissimo, sia pur nel mondo piccolo dei surfisti, Malik Joyeux. Aveva 8 anni quando, guardando le evoluzioni del fratello disse: «Da grande faccio quello che va sul surf», e per i 17 anni successivi altro non ha fatto: vivere da surfista, cercando l’onda, sognando l’onda, preparandosi all’onda. L’onda. Quella che lo ha fatto grande Joyeux l’ha trovata due anni fa; quella che lo ha ucciso l’ha trovata venerdì, a Banzai Pipeline, North Shore, Hawaii. Un’onda di due metri e mezzo, una roba che si sarebbe detta tranquilla, facile da affrontare per uno come lui. Ma non c’è onda tranquilla né facile, perché non c’è mare tranquillo né facile. L’onda s’è chiusa sopra la testa di Malik mentre lui le era dentro, impegnato in un "tubo" (la discesa dentro il vuoto che l’onda crea al proprio interno, ricadendo giù dopo essere montata); la tavola si è spezzata in due, il corpo del ragazzo è andato a fondo, travolto, schiacciato sotto la montagna d’acqua che crollava. Dieci minuti, un quarto d’ora: tanto Malik è rimasto sott’acqua, stordito dal colpo, incapace di risalire. La spiaggia era piena di gente, surfer venuti a giocare con l’onda, e a studiare lo stile della stella promessa: un ruggito s’è levato quando Malik è stato rovesciato. Colleghi, amici, ragazzi qualunque: a decine si sono buttati in acqua, per far qualcosa, per provarci almeno: l’hanno cercato, hanno nuotato e nuotato ancora, frenati e respinti dalle nuove onde che venivano. Poi qualcuno ha visto il corpo tornare in superficie, laggiù, lontano. Allora i più rapidi l’hanno accostato, l’hanno issato su una tavola, l’han riportato - mesta processione - a riva. Lì il corpo di Malik è stato preso in consegna dagli agenti della guardia costiera, ma già era chiaro che nulla poteva essere più fatto. E mentre l’ambulanza correva via, con le sirene che inutilmente urlavano, lì a Banzai Pipeline decine di surfer sgomenti si sono presi per mano, e hanno formato un cerchio sulla spiaggia, e al loro «fratello» esploratore così hanno detto addio. «Joyeaux era un grande, era coraggioso e insieme attento a non esagerare; ma a Pipeline la morte potrebbe prendersi chiunque, anche il dio del surf», il commento di surfer più o meno noti. Perché Banzai Pipeline sta al surf come Indianapolis la velocissima sta alle corse in auto, e lì l’onda ha ucciso già all’inizio dell’anno (Jon Mozo, hawaiano, fotografo specializzato in riprese subacquee e surfista, annegato a febbraio) e poi ancora ci ha provato due volte negli ultimi mesi: solo per un caso due campioni come Tamayo Perry e Steve Clements hanno potuto raccontare quanto vicini siano andati a non tornare più (e il primo ancora porta sulla testa il segno, una cicatrice che ha richiesto cinquanta punti di sutura) dopo aver surfato con la morte. Joyeux se ne è andato, Joyeux non c’è più. Sorpresa e dolore, dolore vero, nei surf-blog di tutto il mondo. «Speriamo che anche di là, ovunque sia, trovi l’onda», il saluto dagli Stati Uniti. «Dobbiamo ringraziare Malik una volta di più: dopo averci insegnato che nessun muro è troppo alto, ci ha anche insegnato che nessuno è al sicuro, quando si va per mare», il saluto dall’Italia. Allora addio, ragazzo. Surfa in pace. Adesso, e per sempre. Alessandro Tommasi