Corriere della Sera 03/12/2005, pag.41 Sergio Romano, 3 dicembre 2005
Quando le monarchie sono meglio delle repubbliche. Corriere della Sera 03/12/2005. Sono uno studente di giurisprudenza che approfondendo gli studi della nostra Costituzione si è anche appassionato ai sistemi costituzionali delle altre nazioni
Quando le monarchie sono meglio delle repubbliche. Corriere della Sera 03/12/2005. Sono uno studente di giurisprudenza che approfondendo gli studi della nostra Costituzione si è anche appassionato ai sistemi costituzionali delle altre nazioni. Penso che non dovremmo mai smettere di ringraziare i nostri antenati per la grande conquista che ci hanno tramandato, che si chiama democrazia e per la forma di governo repubblicana per la quale hanno lottato e che ha trovato attuazione con il referendum del 1946. Alla luce di tutto questo pongo l’attenzione su un tema che mi sta molto a cuore e che non ho mai capito fino in fondo. Chiedo come sia possibile che in altri Paesi come quelli scandinavi, Paesi Bassi, Spagna e l’Inghilterra soprattutto, ci sia ancora la presenza incombente della monarchia nonostante la democrazia abbia raggiunto il massimo della sua diffusione già da molti decenni. Non sembra una contraddizione? Da un lato vi è la sovranità in mano al popolo e dall’altra vi è l’attribuzione di una pluralità di privilegi a una cerchia limitata di individui senza giusta causa. Perché ci debbono essere alcune persone che, a dispetto di altre, godere dei vantaggi particolari? Forse lo Stato o il popolo trae qualche beneficio dalla presenza dei reali? Vincenzo De Martino vincenzo276@aliceposta.it Caro De Martino, qualche giorno fa un canale televisivo consacrato alla divulgazione storica ha trasmesso un lungo documentario inglese sulla crisi istituzionale che turbò la Gran Bretagna nel dicembre del 1936 quando Edoardo VIII annunciò alla nazione che avrebbe abdicato a favore del fratello, duca di York. Tutta la «buona» società sapeva da tempo che Edoardo si era innamorato di una signora americana divorziata, bruttina e segaligna. Si chiamava Wally Simpson e aveva imparato le arti della seduzione, secondo le malelingue dei salotti londinesi, a Shanghai, dove aveva lungamente vissuto negli anni precedenti. Che il re avesse un’amante non era motivo di scandalo, soprattutto in un Paese abituato alle avventure parigine del nonno di Edoardo, agli inizi del Novecento. Lo scandalo scoppiò quando il re disse al primo ministro, Stanley Baldwin, che intendeva sposare la signora Simpson e fare di lei una regina. Il premier, un conservatore di estrazione borghese, rispose che la cosa era impossibile e gli consigliò fermamente di abdicare. Il successore, Giorgio VI, era un uomo timido, balbuziente, pieno di complessi e terrorizzato dalla carica che gli era caduta addosso. Ma gli uomini più rappresentativi e stimabili della classe politica del regno Unito gli insegnarono il mestiere, lo educarono all’esercizio delle sue responsabilità e fecero di lui il sovrano che seppe incarnare con grande dignità, durante la guerra, l’unità nazionale. Ecco, caro De Martino, come i governi britannici trattano i loro sovrani. La storia della monarchia spagnola fu molto più complicata. Dopo una lunga serie di crisi politiche e istituzionali, Alfonso XIII lasciò il Paese nell’aprile del 1931. Le elezioni dettero la maggioranza ai partiti repubblicani e la Repubblica fu proclamata nel dicembre dello stesso anno. Dopo la fine della guerra civile, Francisco Franco non volle cedere il potere a un re e assunse la carica di capo dello «Stato spagnolo». Ma col passare del tempo dovette convincersi che soltanto la monarchia avrebbe avuto l’autorità e il prestigio necessari a mantenere l’unità del Paese dopo le lacerazioni della generazione precedente. Scartò l’erede presunto, il conte di Barcellona, e preparò il figlio Juan Carlos di Borbone ad assumere, dopo la sua morte, la responsabilità del trono. Il Paese dimostrò di apprezzare la scelta del caudillo e il nuovo re si conquistò la simpatia della nazione quando seppe fare fronte con molta fermezza a un putsch militare nel febbraio del 1981. Potrei continuare e raccontarle come i re scandinavi abbiano degnamente rappresentato i loro Paesi durante la seconda guerra mondiale. Ma giungerei, in ogni caso, alla stessa conclusione. Le monarchie sopravvivono là dove i sovrani hanno dimostrato di essere utili all’unità nazionale nelle grandi emergenze e, soprattutto, dove si sono scrupolosamente attenuti al loro ruolo simbolico senza interferire nella politica dei governi. Sergio Romano