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 2005  novembre 23 Mercoledì calendario

Il profeta. Il Messaggero 23/11/2005. Caro Signor Gervaso, da quando, l’11 settembre 2001, i kamikaze fondamentalisti islamici, agli ordini di Osama bin Laden, hanno raso al suolo le Torri Gemelle di New York e abbattuto un’ala del Pentagono a Washington, dopo questi due clamorosi e sanguinosi attentati, cui tanti altri sarebbero seguiti, ho scoperto l’Islam e mi sono reso conto di quanto siano temibili le minacce e terribili le azioni terroristiche di quel fronte integralista arabo che si rifà alla predicazione di una fede religiosa così lontana e così diversa dalla nostra

Il profeta. Il Messaggero 23/11/2005. Caro Signor Gervaso, da quando, l’11 settembre 2001, i kamikaze fondamentalisti islamici, agli ordini di Osama bin Laden, hanno raso al suolo le Torri Gemelle di New York e abbattuto un’ala del Pentagono a Washington, dopo questi due clamorosi e sanguinosi attentati, cui tanti altri sarebbero seguiti, ho scoperto l’Islam e mi sono reso conto di quanto siano temibili le minacce e terribili le azioni terroristiche di quel fronte integralista arabo che si rifà alla predicazione di una fede religiosa così lontana e così diversa dalla nostra. Non so se lei, in questa sua rubrica, che seguo con interesse quando i miei impegni di lavoro me lo consentono, si sia mai occupato di Maometto, di cui leggerei volentieri un breve profilo biografico. Annibale Lo Turco - Napoli Caro amico, potrei sbagliarmi (anche la mia memoria ha qualche vuoto), ma non ricordo di aver mai pubblicato sul Messaggero unritratto di Maometto. Mi sono occupato del fondatore dell’Islam nell’’Italia dei secoli bui”, il primo dei sei volumi della Storia d’Italia scritto a quattro mani con Indro Montanelli. Cinque capitoli per raccontare vita, morte e miracoli del Profeta e l’epopea dei suoi eserciti che portarono il verbo di Allah in molti Paesi dell’Africa, dell’Asia e, nella stessa Europa, in Spagna. Se non invasero il resto del Vecchio Continente fu perché a Poitiers, nel 733, Carlo Martello li affrontò vittoriosamente, rintuzzandone le mire espansionistiche. Maometto come, del resto, Gesù, ma diversamente da Buddha, ricco e potente principe indiano, era un uomo semplice, di lombi tutt’altro che magnanimi. Era nato alla Mecca nel 570 dopo Cristo e, per sbarcare il lunario, faceva il cammelliere. Non aveva studiato e quel che sapeva era frutto della sua intelligenza, della sua esperienza, del suo spirito di osservazione. Cagionevole di salute, soffriva di epilessia e, quando perdeva coscienza, questa si dilatava in un’altra dimensione procurandogli ineffabili rapimenti mistici. Fra le tante voci che in questo stato di trance udiva, quella dell’arcangelo Gabriele era la più imperiosa e coinvolgente. Grazie a questo messaggero celeste, Maometto si convertì al monoteismo, ripudiando la fede in cui era cresciuto. Lafede degli arabi che pregavano e adoravano un’infinità di idoli dalle forme più bizzarre: pietre, tronchi d’albero, frutti. La Mecca ne era l’emporio, che prendeva il nome di Ka’ ba, un edificio quadrato, meta di superstiziosi pellegrinaggi. Il giovane carovaniere dichiarò guerra al politeismo, alle troppe divinità che affollavano l’Olimpo arabo. Si sentiva investito di una missione superiore, di un mandato celeste:redimere il popolo, indossando i panni di un novello Mosè. Non era un’impresa facile, e a qualcuno sembrò disperata. Ma Maometto aveva dentro di sé quel fuoco sacro, quel demone benefico che fa di un uomo come tanti un condottiero, un profeta, un santo, un martire. Nel suo entusiasmo c’era quella dose di fanatismo che infonde fiducia senza tentennamenti, forza senza cedimenti, ardore senza infingimenti. Per meglio dedicarsi all’alta missione evangelizzatrice nondoveva avere quelle preoccupazioni quotidiane, quell’assillo di sbarcare il lunario che lo avrebbero fatalmente distratto dall’impegno solennemente preso con l’arcangelo. L’impegno di dare una nuova religione a chi, fino a quel momento, era vissuto nell’errore e nel peccato. Fortuna volle che la sua datrice di lavoro, Khadigia, di parecchi anni più vecchia, fosse vedova e, come tutte le vedove, alla ricerca di un nuovo marito. Maometto non era un Adone, ma sapeva il fatto suo e maisarebbe venuto menoa quei doveri coniugali ch’erano il giusto pedaggio di un affrancamento dal bisogno. Solo così avrebbe potuto votarsi al culto di Allah e alla predicazione del suo Verbo. La sua eterodossia gli aveva procurato un mucchio di nemici che, prima lo derisero, poi lo boicottarono, alla fine, complottarono, ma senza fortuna, per ucciderlo. Maometto fiutò il pericolo e riparò a Medina. Una fuga storica in quell’anno 622, noto comegira, che segnò l’inizio dell’epopea islamica. Il profeta dichiarò successivamente guerra ai nemici infedeli, li sgominò e s’impadronì della Mecca, che divenne la sua città santa. La nuova dottrina era semplice e chiara:pochi precetti, ma severi. E un testo sacro, il Corano, cui tutti avrebbero dovuto ispirare le loro azioni, a tu per tu con la propria coscienza, senza intermediatori:sacerdoti o pastori. Maomettoche, fino all’ultimo, quando la morte lo colse, il 7 giugno del 632, predicò e fece proseliti, non fu solo il fondatore di una grande religione, ma anche un condottiero e uno statista. Non si limitò a dare agli arabi (ma non solo a loro)un nuovo Dio:gli diede anchenuove leggi e nuovi orizzonti. Forse ignaro che un suo devotissimo e barbutissimo seguace gli avrebbe procurato un mucchio di guai e tanti nemici. Roberto Gervaso