Il Sole 24 Ore 26/11/2005, pag.1-4 Rita Fatiguso, 26 novembre 2005
Paga da operaio: in Cina 83 euro, in Italia 953. Buste paga a confronto. Guan Guoji, metalmeccanico del Guang Dong, non lo sa, ma agli antipodi della sua Cina nessuno lavorerebbe così tanto, 200 ore al mese, per così poco, mezzo euro lordo all’ora
Paga da operaio: in Cina 83 euro, in Italia 953. Buste paga a confronto. Guan Guoji, metalmeccanico del Guang Dong, non lo sa, ma agli antipodi della sua Cina nessuno lavorerebbe così tanto, 200 ore al mese, per così poco, mezzo euro lordo all’ora. Meno di un caffè. Netto in busta in Italia: 953,28 euro. In Cina: 83,92 euro e niente contributi. Non è la prova dell’esistenza della pietra filosofale, però ci somiglia. Ecco la busta paga di settembre di Guan Guoji, operaio metalmeccanico cinese assunto il 24 gennaio 2005 da una joint venture tra tedeschi e cinesi del Guang Dong. A parità di elementi, quanto guadagnerebbe in Italia? Il Sole-24 Ore ha chiesto a Massimo Bressan, direttore finanziario della Haier di Campodoro (Pordenone), azienda rilevata dal colosso cinese degli elettrodomestici, di tradurre in euro la busta cinese e di calcolare il salario che Guan Guoji incasserebbe da noi. Occhio all’ultima cifra in basso a sinistra, la più cara ai dipendenti di tutto il mondo: il netto in busta. Una tuta blu cinese prende 83,92 euro al mese (796,74 reminbi): se ad assumerla fosse la Haier italiana, il netto schizzerebbe a 953,28 euro (senza optional). Un match commentato da Mario Boselli, presidente di Marioboselli Holding e della Camera della Moda italiana, e Valeria Fedeli, leader dei tessili Cgil e presidente della Federazione europea dei sindacati del settore. Due addetti ai lavori in trincea sul fronte della competizione globale. "Mi chiamo Guan Guoji, sono stato assunto il 24 gennaio 2005 in una nuova fabbrica del Guang Dong creata per metà da una società tedesca. Ogni mese porto a casa un salario onorevole, 796 reminbi, che in gran parte va ai miei genitori, rimasti nel villaggio a lavorare la terra. Dicono che ai computer della Lenovo si guadagna più di noi, ma questa è la Regione in cui si sta meglio: ogni mese ho 44 pasti in mensa, a settembre ho lavorato di più, incassando di più. Le ore, al mese, sono duecento, ma va bene così: mi hanno perfino assicurato contro gli infortuni". Mondi paralleli. Dalla sua fabbrica nel Guang Dong, il titolare della busta paga riprodotta in pagina in realtà non può rilasciare alcuna dichiarazione. Ma è il suo "cedolino", a parlare per lui. Guan Guoji non lo sa. Non sa che agli antipodi della Cina, in un mondo parallelo al suo, assolutamente incomparabile, in un’altra moneta a lui sconosciuta, il suo lavoro vale mezzo euro all’ora. Nemmeno il costo di una tazzina di caffè. In quell’altro mondo nessuno accetterebbe di lavorare così tanto per così poco: 83,92 euro netti al mese. In Italia - a parità di condizioni - la paga base è di 953,28. Ma Guan è giovane, non sa nemmeno che ai tempi di Mao, quelli filmati da Michelangelo Antonioni nel reportage sulla Cina, si stava alla catena per un salario "népovero né miserabile", ma lontano anni luce dal suo. un documento scarno, tutto da decifrare, con tanti dati mancanti all’appello, se paragonato ai nostri standard. Ma, tant’è. Il fatto che Guan ne abbia ricevuta una, di busta, a fine mese, è cosa fuori dall’ordinario. Per chi l’ha firmata, contano i reminbi. Dice Federico Palazzari, avvocato con studio a Shangai, molto dinamico nelle acquisizioni societarie: "In Cina, si sa, la busta paga è un concetto assolutamente aleatorio. Semplicemente non c’è, non si dà. Gli importi, in genere, sono versati su un conto. O, cosa ben più frequente, consegnati in contanti agli interessati. Può piacere oppure no, ma è così". Attrazione fatale. Il viaggio nella busta paga di Guan, particella infinitesimale del più affollato mercato del lavoro che si conosca al mondo, parte dalle mansioni: addetto al reparto produzione, in Italia sarebbe inquadrato come operaio di terzo livello, avrebbe già incassato un primo scatto retributivo legato al normale funzionamento del contratto di riferimento quello, appunto, dei metalmeccanici. Paga base oraria lorda in Cina: 4,79 reminbi pari a 0,50 centesimi di euro. In Italia: 6,79 euro da moltiplicare per 176 ore mensili, distribuite in un turno lavorativo giornaliero di 4 più 4 (nel caso riprodotto, infatti, la mensa non c’è perchè l’operaio stacca e va a casa, in pausa pranzo). L’enigma dell’orario. Guan, a settembre, ha totalizzato 4 giorni di straordinario, regolarmente pagati. Quello che assolutamente non c’è e bisogna dedurre è l’orario di lavoro. Quanto lavora Guan? "A lume di naso, non meno di 200 ore", dice Massimo Bressan, direttore finanziario della Haier di Campodoro. E c’è una voce "penalità",tutta da spiegare. "In Italia è una clausola vietatissima, a meno di considerarla come una clausola di riservatezza/segretezza o patto di non concorrenza", puntualizza Gabriele Fava, avvocato del lavoro. Così non è, infatti. Conferma Cecilia Brighi, esperta della Cisl per l’Asia: "Questo Guan è un operaio modello: è bravo, non ha alcuna sanzione. Perchè in Cina, in fabbrica, fioccano le multe, se non si è produttivi, se si va troppo in bagno, se non si rispettano i ritmi imposti da un management gerarchizzato. Si lavora anche più di dieci ore al giorno, sei o anche sette giorni su sette, si vive in fabbrica, i ritmi sono così forsennati da far lievitare i rischi di infortunio. La Cina ha un tasso altissimo di incendi di fabbriche che diventano la tomba di operai che lì vivono e lavorano, come dimostrano i buoni-mensa indicati nel lordo di questa busta paga cinese". La pressione contributiva. "Mi colpisce - annota ancora l’avvocato Fava - l’assenza totale del carico contributivo. In Italia la pressione è del 40%, qui sembrano esserci solo contributi assicurativi in linea con quelli che si verserebbero al nostro Inail. E il resto?". Basta guardare la busta italiana per comprendere quanto la situazione sia impari: tra trattenute Inps, Irpef, addizionale regionale e comunale, la voce tasse e contributi schizza a quota 300,63 euro su 1.253,91 di retribuzione mensile lorda. Se la tuta blu Guang Guoji traslocasse al seguito di un’azienda cinese delocalizzata in Italia, beh, per lui sarebbe una vera pacchia. Quanto durerà, questo divario? Pier Paolo Baretta, segretario confederale della Cisl, una specializzazione in democrazia economica, dice: "La Cina è entrata nel Wto con un’adesione che non ha comportato l’assunzione di clausole sociali. C’è uno scollamento con tutto quanto viene richiesto, invece, dall’Ilo in tema di diritti dei lavoratori. Morale: il Paese ha fatto ingresso sui mercati con tutta la forza d’urto del suo enorme serbatoio di manodopera, ma i sindacati voluti dal regime non sono assolutamente in grado di porsi come interlocutori delle imprese che sbarcano lì". "Lìstiamo esportando business - aggiunge Baretta - però, sul medio periodo, sono ottimista. Finirà che saranno gli stessi cinesi a chiedere più democrazia. Ma ci vorrà del tempo". Costo del lavoro in salita. Non c’è storia, tra la versione asiatica e quella europea di una tuta blu, nonostante i segnali di aumento del costo del lavoro. "Certo, all’estero il peso della manodopera può subire oscillazioni, anche drastiche, posso parlare della Polonia, lì è pari a un quinto di quello italiano, ma in costante crescita - testimonia Ferdinando Lignano, risorse umane di La Fenice, ex Whirlpool - anche per cause locali. Il fatto è che lo squeezing dei dipendenti fine a stesso non conviene a nessuno. Tantomeno serve a creare un mercato per piazzare i prodotti che escono dalla fabbrica". Tensioni locali. Squilibri. Oscillazioni. La verità è che Guan è un ragazzo fortunato: assunto in una joint-venture, se la passa infinitamente meglio dei cinesi che lavorano per lo Stato o, peggio, che continuano a zappare i campi. Se anche questo non è dumping, presto o tardi lo diventerà. Rita Fatiguso