Corriere della Sera 04/12/2005, pag.33 Paolo Isotta, 4 dicembre 2005
Idomeneo, torna il re dimenticato. Corriere della Sera 04/12/2005. L’Idomeneo è entrato tardi nel repertorio contemporaneo e per certi versi per caso e di traverso a causa delle errate interpretazioni musicali che quasi sempre l’hanno aduggiato rendendolo incomprensibile o irriconoscibile
Idomeneo, torna il re dimenticato. Corriere della Sera 04/12/2005. L’Idomeneo è entrato tardi nel repertorio contemporaneo e per certi versi per caso e di traverso a causa delle errate interpretazioni musicali che quasi sempre l’hanno aduggiato rendendolo incomprensibile o irriconoscibile. La fortuna delle opere d’arte è a volte apparentemente inspiegabile. Perché, considerando la pur sempre attuale validità ricognitiva della categoria per «generi», La clemenza di Tito è stata, specie nella traduzione tedesca, una delle basi della grandezza postuma di Mozart nei trent’anni seguenti alla morte e l’Idomeneo, che l’affianca nella qualità di sua somma Opera Seria, venne completamente dimenticato? L’Idomeneo distrugge dall’interno e dall’esterno il tipo formale dell’Opera detta «metastasiana», con gesto violento e imperativo. A sue spese il librettista Giovambattista Varesco imparò da Mozart che cosa dovesse esser un nuovo tipo di testo drammatico. Il venticinquenne aveva già dato precisi segni, in particolar modo col precocissimo Mitridate, di aver dell’Opera Seria e della sua drammaturgia una concezione personale e rivoluzionaria. E allora la categoria della Clemenza di Tito è un Classico aureo e corrusco, con una enclave di suprema disperazione, il Finale I. La categoria dell’Idomeneo, Mozart già nella totale maturità drammatico-musicale, è un Classico estremistico, enorme e abnorme. il Classico che l’Anonimo tardo-Antico dice raggiungere il Sublime attraverso lo «studiato disordine». il classico del furore espressivo e di una minuzia psicologica sostituita, non superata, immediatamente dopo, in Mozart da dipintura psicologica sintetica. E dev’esserci pur un motivo se l’Idomeneo rappresenta l’imperfetta perfezione, per la sua dismisura, nell’ambito dell’Opera italiana di Mozart, così come Il ratto dal Serraglio rappresenta la perfetta perfezione, per la sua misura, in quello dell’Opera tedesca. Tra i privilegi immensi toccatimi senza merito, vi fu un rapporto di filiale devozione verso il maestro Francesco Siciliani e di paterno, pazientissimo affetto, da parte sua verso di me. Egli fu, tra l’altro, due volte Direttore Artistico della Scala: fu quello che rivoluzionò, non solo in Italia, ché i contraccolpi s’ebbero in tutto il mondo, per repertorio e scelta degl’interpreti, la vita musicale del Novecento, rendendola in parte l’attuale, in parte un Paradiso Perduto per tutti noi: anche quelli cresciuti dopo di me. Che cosa l’Idomeneo sia, e che cosa La clemenza, per primo fino in fondo Francesco Siciliani ha compreso e insegnato a tutti: e io passai attraverso il «suo» Idomeneo, che racconterò subito, come attraverso una delle esperienze formative fondamentali e insieme sconvolgenti della mia educazione estetica. Il 17 dicembre cadranno i dieci anni dalla scomparsa del grande musicista: nel mio cuore dedicherò a Lui, proprio perché si tratta dell’Idomeneo, la recita inaugurale della stagione della Scala: vorrei lo facesse il Teatro con affetto e rispetto. L’Idomeneo fu scoperto nel Novecento prima dalla dottrina, poi dalla prassi interpretativa. Le pagine classificatorie, poi di analisi insieme metodica e geniale, che gli dedicò, durante la Prima Guerra Mondiale, pubblicandole subito dopo, Hermann Abert, restano insuperate così come la grande opera storica e critica ove trovan posto. Ma nella vita del suono entrò grazie a Richard Strauss, che ne curò un’edizione moderna, degna di esser ripresa in prospettiva storica, dirigendola personalmente, agli albori del «suo» Festival di Salisburgo. Della sua interpretazione non possediamo documento diretto: è possibile tuttavia immaginarla con sufficiente approssimazione in base al metodo editoriale, insieme coraggioso e rispettoso e, per esempio, al grandioso Recitativo scritto per Elettra in sostituzione dell’Aria D’Oreste, d’Ajace: lo ascoltai ancora eseguito nell’edizione di Karl Böhm al Festival di Salisburgo (1973?), con la splendida regia di Rudolf Sellner, e fu l’unica pagina che a mio avviso il concertatore realizzasse all’altezza della sua fama. Strauss doveva esser lontanissimo dall’inamidato classicismo e dall’esangue «leggerezza» stilistica e del suono che un’antiquata ma ancor viva tradizione erronea vuole legata a Mozart. Ma proprio la versione di Karl Böhm, che veniva presentata come la più autorevole possibile, incarnava tale concezione. Perduti l’estremismo, l’eroismo, l’eros, la dismisura, il senso religioso: la terribilità e l’ingiustizia degli dèi, che attraverso il cervellino dell’uomo Mozart giungono da abissali cieli e le sue mani, guidate dal suo cervello musicale, fanno abissali pagine. Francesco Siciliani considerava un escamotage viennese la seconda versione dell’Idomeneo, quella che fa di Idamante un tenore. In senso più cronologico che storico, si tratta di un passo verso un’Opera più moderna. Fallace apparenza. Si ricade nel napoletano «mezzo carattere»; non a caso quest’Idamante finiva coll’esser Peter Schreier, dalla bocca del quale siamo stati costretti a sorbire Belmonte, don Ottavio, Ferrando.... Poi, nell’Idomeneo di tenori ne basta uno, il protagonista: che ha da essere, perché è, tenore di tutt’altra tessitura, natura, colore, carattere. Idamante castrato sembra una concessione alle convenzioni ed è il tratto più ardito dell’Opera. Siciliani (Rai Roma, inizio anni Settanta) intuì che la dismisura dell’Idomeneo poteva attuarsi solo scegliendo un grandioso soprano drammatico di coloratura e fece ricorso alla in tutti sensi smisurata Jessye Norman. Ecco un Wendepunkt capitale. Il tenore, centrale per tessitura e per registrazione, ha da avere voce scura, quasi baritonale: gli è affidata un’Aria celeberrima, Fuor del mar, ove si strugge in profluvie di colorature all’antica che superficialmente si attribuirebbero allo stile di Hasse. In realtà, queste colorature, in un contesto orchestrale barbagliante, minaccioso di armonie dissonanti, figuralista, sono il gesto dell’iperbole e ancora una volta l’affermazione della dismisura come cifra stilistica dell’Idomeneo. Debbon esser prese «di forza». Un Idomeneo «leggero» è contraddizione in termini. Siciliani chiamò Nicolai Gedda. Non aggiungo altro. Volle i Recitativi sillabati nota per nota, e questa della Rai è forse la sola edizione di un’Opera di Mozart che mostri come si debbono fare. Volle l’accompagnamento di quelli orchestrali pieno di spazi, di contrasti dinamici: additando che cosa sia l’alta Retorica eroica e patetica dell’Opera Seria, che Mozart poneva al sommo dei generi. Il suono orchestrale profondo insieme e brillante, col barbagliare delle trombe e dei timpani, nelle tarsie degli strumentini nelle Arie di Ilia. Sul podio v’era un grande direttore, Colin Davis: sol però che si confronti l’edizione discografica da lui realizzata sotto la sua responsabilità con l’incisione Rai ci si rende conto che questa è diretta da Francesco Siciliani che usava le braccia di Davis dalla sua poltrona di prima fila. Quella dell’Idomeneo è, per adoperare il lessico dei filologi classici, retorica «asiana», vale a dire sovraccarica, non «attica». Gli storici della letteratura latina chiamano «barocco» il periodo di quest’oratoria, e, o, «barocco» il suo stile. Il fatto che l’Idomeneo, per l’anomala sua struttura e per il suo esser pieno di elementi residuali d’un’Opera Seria arcaica, venga da taluno «retrodatato» nello stile e nell’essenza mercé l’affermazione d’una sua parziale natura «barocca», appunto, costringe alla principale delle precisazioni. Che muove da un punto in fatto: tutti gli elementi stilisticamente residuali vengono dal contesto volti a effetto completamente diverso da quel che avrebbero secondo storia e natura. Coloro i quali attribuiscono la qualifica di Barocco a una serie di pezzi musicali d’un’epoca estensibile, quasi pelle di zigrino, da, diciamo, Josquin a, diciamo, Beethoven, adoperano il termine secondo la vecchia classificazione dell’Idealismo invece che secondo una assai più rispondente alla storica ed effettuale realtà. Confondono un aggettivo, che potrebbe applicarsi genericamente ai prodotti d’ogni stile significando esso una sua degenerazione mostruosa ed enfatica: e infatti nel secondo Settecento tale aggettivo era intercambiabile con «gotico»: con una precisa epoca della Storia della Musica. Ché questo il Barocco musicale è, con un’unità interna fortissima fatta di linguaggio, stile, ideale estetico. L’Idomeneo è uno dei più alti a maturi prodotti dell’epoca successiva, la classico-romantica, a onta dell’ideale estetico della dismisura, che siccome realizzato nella più imponente opera di Mozart non si potrebbe ricomprendere nelle forme musicali del Barocco. Le interpretazioni tendenti a retrodatarlo fanno pensare al Dialogue di Voltaire entre le chapon et la poularde. Paolo Isotta