Corriere della Sera 04/12/2005, pag.12 Sergio Romano, 4 dicembre 2005
Al Cairo il risveglio del gigante immobile. Corriere della Sera 04/12/2005. Il Cairo. Nelle strade e nelle piazze del Cairo i ritratti di Gamal Abdel Nasser sono piuttosto rari
Al Cairo il risveglio del gigante immobile. Corriere della Sera 04/12/2005. Il Cairo. Nelle strade e nelle piazze del Cairo i ritratti di Gamal Abdel Nasser sono piuttosto rari. Guidò la rivoluzione del 1952, fu con Nehru e Tito il leader dei Paesi non allineati, creò il socialismo nazionale egiziano e suscitò l’entusiastica ammirazione delle masse arabe. Ma durante la lunga presidenza di Hosni Mubarak il suo ricordo sembra essersi appannato. La sua memoria non viene celebrata e onorata. La sua vita e le sue imprese sono ricordate con distacco, talvolta criticamente. Si è appannata, per la verità, anche l’immagine dell’Egitto sulla scena internazionale. Per almeno trent’anni, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, questo Paese fu una sorta di apripista. Chi desiderava sapere ciò che sarebbe accaduto nei Paesi della regione non era strettamente obbligato a visitare Amman, Bagdad, Beirut, Damasco. Gli bastava venire al Cairo, parlare con gli uomini politici, gli intellettuali, i giornalisti di Al Ahram, i consiglieri di Nasser o quelli del suo successore Anwar Al Sadat. Erano loro che scrivevano, nel bene e nel male, l’agenda araba. Ma dopo l’uccisione di Sadat nel 1981, per mano della Jihad islamica, l’Egitto è diventato un Paese «normale». Il regime è autoritario, con tratti che ricordano quelli dell’Urss e dei regimi comunisti, e ha un partito semi-unico, il Partito nazionale democratico. Ma ha buoni rapporti con gli Stati Uniti, con l’Unione europea, con i maggiori Paesi arabi della regione e persino con Israele. modernizzatore con giudizio, innovatore con cautela, ed è governato da un establishment (il partito al potere, la burocrazia, una parte della classe imprenditoriale) che pesa e valuta ogni possibile riforma alla luce dell’influenza che essa potrebbe avere sulla stabilità del regime. L’Egitto non è più un modello perché è diventato prudente, introverso e fondamentalmente conservatore. Ho usato il presente, ma avrei dovuto usare il passato. Da qualche mese il corpo pressoché immobile del sistema politico e sociale sembra essersi svegliato. Confesso di avere creduto, prima del mio viaggio, che le ultime elezioni presidenziali (in cui Mubarak, per la prima volta, ha dovuto misurarsi con i candidati dell’opposizione) fossero una concessione formale del capo dello Stato egiziano agli ardori democratici della presidenza Bush. Ma è probabile che le pressioni degli Stati Uniti abbiano avuto in questa vicenda un ruolo, tutt’al più, complementare. I segnali di malumore e la voglia di cambiamento vengono dall’interno del sistema. Lo stesso Mubarak, prima delle presidenziali, ha detto che il Paese ha bisogno di riforme istituzionali. Il Cairo è pieno di brusii. Si discute la politica del presidente, si critica sua moglie, si analizzano le ambizioni del figlio Gamal, si denunciano le collusioni fra la burocrazia e gli industriali. La parola «corruzione» viene ormai pronunciata ad alta voce. Ma di tutti i segnali il più clamoroso è lo straordinario successo dei Fratelli Musulmani nelle elezioni per il rinnovo dei 444 deputati della Camera Bassa (l’Assemblea del popolo) che si concluderanno con il ballottaggio di lunedì prossimo. La Fratellanza non è un partito perché la legge egiziana non permette la costituzione di una forza politica basata sulla religione. Ma aveva egualmente partecipato alle precedenti elezioni con alcuni candidati «indipendenti» e aveva conquistato 17 seggi. Nella prossima Camera ne avrà un centinaio. Per la prima volta da molti anni esiste quindi in Egitto una opposizione. Qualcuno sostiene che l’ascesa dei Fratelli è stata pilotata dall’alto e che la situazione è «sotto controllo». Ma gli incidenti ai seggi, i brogli denunciati dagli scrutatori, le proteste dei copti contro le prevaricazioni dei musulmani, gli scontri sanguinosi e soprattutto le dimensioni del successo «islamista» danno la sensazione che al demiurgo, se davvero esiste, le cose siano scappate di mano. Non basta. Accanto a questo segnale ve n’è un altro, apparentemente contraddittorio, ma non meno inquietante. La partecipazione al voto è stata molto bassa: il 25% degli elettori iscritti, i quali rappresentano, a loro volta, circa il 50% della popolazione. una manifestazione di sfiducia per la classe politica? il segno di un malumore diffuso, più pericoloso forse di una protesta esplicita? Di alcuni fra questi temi ho parlato a lungo con il Primo ministro Ahmed Nazif nel palazzetto Belle poque, costruito agli inizi del Novecento per la sorella del re, in cui ha sede la presidenza del Consiglio dei ministri. Nazif era agli inizi della sua carriera un tecnocrate, esperto di tecnologia della comunicazione e dell’informazione. Ma nel 1999, come ministro delle Comunicazioni, ha lanciato un piano nazionale per la telefonia mobile che ha moltiplicato per dieci in cinque anni i cellulari egiziani: da 600.000 a sei milioni e mezzo. molto alto, ha un grande viso baffuto che sprizza cordialità e i modi affabili di un intellettuale. L’argomento principale, naturalmente, è la Fratellanza Musulmana. Per Nazif è un marchio, una etichetta, un ombrello sotto il quale non c’è quasi niente. Riconosce che è giusto chiedersi quali siano le ragioni della loro popolarità e offre due ragioni. In primo luogo sono un segno dell’importanza della religione nella vita quotidiana degli egiziani. In secondo luogo hanno messo radici nel Paese grazie alle loro iniziative nel campo della sanità e dell’istruzione: un lavoro simile, per molti aspetti, a quello di Hamas in Cisgiordania e a Gaza. facile obiettare che le loro iniziative non avrebbero prodotto tali risultati se la politica del governo avesse dato una risposta più efficace ai problemi dell’educazione e della salute. Ma il primo ministro osserva che non hanno un programma politico ed economico. Come intendono affrontare il problema della disoccupazione e promuovere lo sviluppo economico? Quale è il loro concetto di democrazia? Quale sarebbe, se conquistassero il potere, il ruolo delle donne nella società? Ahmed Nazif ha ragione. Il solo programma della Fratellanza è uno slogan, un assioma: L’Islam è la soluzione. Abdel Monei Said, direttore del Centro di studi strategici e politici (un think tank del quotidiano Al Ahram) mi ha detto di avere dibattuto questi temi con un rappresentante della Fratellanza in un programma televisivo. «Vi rendete conto? ’ ha detto al suo interlocutore – che non potete essere nemici di Israele senza desiderare contemporaneamente il ritorno della spesa militare ai livelli degli anni Settanta, vale a dire il 35% del prodotto interno lordo? Vi rendete conto che la vostra politica sociale esige l’aumento delle tasse?». A queste domande rispondono che il denaro verrà dalla lotta contro la corruzione: una formula demagogica o, forse, ingenua. Il primo ministro continua la sua analisi. Riconosce il successo della Fratellanza, ma osserva che il Partito nazionale democratico avrà pur sempre conquistato, alla fine dei tre turni, il 65/70% dei suffragi. In qualsiasi altro Paese questa percentuale sarebbe considerata una incontestabile vittoria. Osservo che i confronti, per essere significativi, vanno fatti con i risultati delle elezioni precedenti. Ma Ahmed Nazif replica che vi è stata un’apertura all’opposizione e che sono cambiate quindi le regole del gioco. Chiedo se a questa apertura non dovrebbero corrispondere anche alcune riforme costituzionali. Il potere è quasi interamente concentrato nelle mani del presidente. possibile cambiare il sistema politico senza dare maggiore spazio al Parlamento? Ahmed Nazif ammette che il partito al potere è stato forse troppo «dominante» e che occorre incoraggiare la nascita di altre forze politiche. E osserva infine che gli elettori dei Fratelli Musulmani non hanno votato per il loro inesistente programma. Hanno espresso il desiderio di un’alternativa. Penso al successo del Pci nelle elezioni del 1976 e ai governi di solidarietà nazionale degli anni successivi. Potrebbe succedere in Egitto qualcosa di simile? Potrebbe esservi una sorta di compromesso storico tra il Pnd e la Fratellanza? Mi sembra che il governo non escluda, in futuro, la nascita di un partito islamico, ma soltanto, aggiunge Nazif, quando i Fratelli avranno riconosciuto i valori dello Stato, della costituzione e della vita civile. Sergio Romano