Corriere della Sera 03/12/2005, pag. 33 Salvatore Bragantini, 3 dicembre 2005
La Superholding del debito e le vere privatizzazioni. Corriere della Sera 03/12/2005. Sembra che il governo stia seriamente pensando alla proposta, formulata da Giuseppe Guarino, di costituire una superholding pubblica, alla quale dovrebbe essere conferita un’enorme massa di cespiti che fanno capo allo stato: partecipazioni azionarie, immobili, crediti etc
La Superholding del debito e le vere privatizzazioni. Corriere della Sera 03/12/2005. Sembra che il governo stia seriamente pensando alla proposta, formulata da Giuseppe Guarino, di costituire una superholding pubblica, alla quale dovrebbe essere conferita un’enorme massa di cespiti che fanno capo allo stato: partecipazioni azionarie, immobili, crediti etc.. Questa superholding pagherebbe i beni acquistati con un piccolo capitale (pubblico), e per il grosso emettendo obbligazioni da vendere ad investitori; esse sarebbero rimborsate grazie alla successiva vendita a privati di quei cespiti. Grazie a tale manovra lo stato contabilmente incasserebbe dai 400 ai 500 miliardi di euro destinati, al netto della sottoscrizione di capitale, a riduzione del debito pubblico; esso così dovrebbe scendere dal livello attuale, che veleggia verso il 110%, al 70-80%, quindi su un livello che, pur se ancora lontano dal 60% dei defunti parametri di Maastricht, consentirebbe però un rientro in tempi non biblici. Meglio questo, secondo i sostenitori della superholding, che una rincorsa infinita e sfiancante alla riduzione del debito. La proposta è suggestiva e presenta anche aspetti positivi, ma quelli negativi, a mio avviso, prevalgono nettamente, facendo della superholding una prospettiva pericolosa; perché? Una prima ragione attiene alla prevalenza della sostanza sulla forma. Finché i cespiti non saranno realmente venduti a terzi, la sostanza non cambia. bene non prendersi in giro da soli, fino a quel momento lo Stato continuerebbe ad avere debiti e pagare interessi, solo che lo farebbe, per suo conto, uno «special purpose vehicle» cioè una scatola che non rientra nel perimetro del debito pubblico ai fini Eurostat. La sostanza cambierà solo se e quando lo stato venderà davvero. In Italia invece conta più la forma, e il primo effetto della superholding sarebbe quello di far ripartire alla grande la cicaleria nazionale, cioè la tendenza a mangiarci il vitello in pancia alla vacca, come avrebbero detto i nostri agresti antenati, o ad accumulare debito per cenare in pizzeria, come disse una volta l’indimenticato Nino Andreatta. Indebitiamoci, suvvia, e innalziamo ancora la montagna, già immane, che sovrasta i nostri figli: una montagna che non scenderà di un centimetro per l’astuta manovra della superholding. Da parte della generazione più fortunata della storia italiana, sarebbe questa davvero l’estrema follia. Non è un caso che il governo uscente (ma quanto ci mette?) ne stia pensando un’altra simile: spingere le coppie anziane a indebitarsi ipotecando la casa, che sarà poi venduta dai figli per ripagare il debito acceso dagli arzilli immortali, cui dovranno pure comprare il Viagra. Non è conflitto intergenerazionale, solo stupidità. C’è poi l’aspetto, per usare una parola alla moda, di «accountability». Finché un cespite fa capo allo Stato c’è una certa sorveglianza, magari carica di bardature burocratiche, ma le luci sono accese. Quando invece il cespite è stato trasferito a uno «special purpose vehicle», si spegne la luce e il tutto diviene facile preda di rapaci interessi. Non è una maligna insinuazione, è l’esperienza della realtà: certificata sia negli USA, dove gli «special purpose vehicle» hanno contribuito a portare la Enron al collasso, sia, quel che più conta, nel Bel Pese dove il sì suona. Qui le vicende di alcuni fondi immobiliari costituiti con apporti di enti pubblici hanno già mostrato che scempio dell’interesse pubblico, e che vantaggio dell’interesse privato, può realizzarsi grazie a trovate all’apparenza innocue, ed anzi sensate, di questo tipo. La superholding darebbe certo grandi soddisfazioni economiche alle investment bank, che legittimamente fanno il proprio interesse. Al nostro dobbiamo pensare noi, se ne siamo ancora capaci. Un paese serio riduce il debito perché gli conviene, non fa finta di farlo vendendo il Colosseo e restaurando il Ministero delle PP.SS. Così non freghiamo il controllore, ci freghiamo da soli. Tiriamo su le maniche e vendiamo davvero quel che ha senso vendere, ed è possibile vendere. Senza inventarsi la domenica il trucco col quale svalutare, come si fa con le nuove proposte sulla golden share, le azioni che ha venduto al mercato il venerdì precedente. Se il venditore è davvero un Genio, si ricordi che il compratore non è fesso. Salvatore Bragantini