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 2005  dicembre 03 Sabato calendario

Starr Kenneth

• Vernon (Stati Uniti) 21 luglio 1946 • «[...] ”independent counsel” che ha portato l’ex presidente americano Bill Clinton a un passo dalla fine con un paio d’anni d’anticipo sul mandato per il suo affaire con Monica Lewinsky [...] non ha smesso di prendere sul personale tutti i suoi lavori. [...] uomo pio che per pagarsi glistudi da giovane andava a vendere Bibbie porta a porta, ha sempre covato nell’animo introverso un’unica, enorme ambizione: la Corte suprema. Questo era l’approdo. Sognava la toga nera, l’accesso libero al primo piano del building sulla Prima strada di Washington, a un passo da Capitol Hill, dove si riuniscono gli alti giudici, magari anche l’ufficio in quel piano, quello del presidente della Corte. Era l’unica aspirazione che Starr non nascondeva, anzi. Quando, a metà degli anni Settanta, lavorò come assistente di Warren Burger, presidente della Corte, era felice come mai. I suoi amici conoscevano il sogno, soprattutto quei giovani conservatori che, all’inizio degli anni Ottanta, s’incontravano praticamente ogni giorno a pranzo con il primo ministrodella Giustizia di Ronald Reagan,il generale William French Smith. Il Mentore, com’era soprannominato, nel 1982 scelse Starr come capo del suo staff: il magazine American Lawyer definì il trentasettenne Ken l’assistente perfetto, ”rispettoso senza essere ossequioso, intelligente senza essere intimidatorio, tutto tranne uno di quegli arroganti giovanetti che camminano impettiti per i corridoi di Washington”. Nel gruppo del Mentore c’era anche John Roberts, un altro giovane promettente che lavorava con Starr. [...] studioso, silenzioso, preciso [...] è stato travolto dallo scandalo Whitewater-Travelgate-Filegate, insomma, Sexgate. Travolto. Il ”carnefice” Starr, colui che ha portato a conoscenza del mondo i segretucci di un presidente di successo, amato dentro e fuori l’America, simbolo di quei lussureggianti anni Novanta in cui la parola recessione sembrava quasi un retaggio d’altri secoli, colui che è andato fino in fondo allo scandalo sempre con l’aria di chi capitava lì per caso con il bicchierone di Starbucks tra le mani, è il primo a essere stato travolto dal Sexgate. Nello ”Starr Report” ha scritto, oltre che di sigari e di regalini da amanti quindicenni (Monica del resto non ne aveva molti di più), la fine del sogno. Ken non voleva neppure farlo quel mestiere, l’’independent counsel”, il procuratore super partes che ha potere quasi assoluto per sfruculiare nella vita dell’Amministrazione. Di più, quando lavorava con il Mentore aveva scritto una lunga requisitoria in cui proponeva l’abolizione della figura del superprocuratore perché ”troppo potente”, in grado di destabilizzare a suo piacimento il governo degli Stati Uniti. Soprattutto, Ken voleva coltivare il suosogno, e invece - su quella china così vicina al sole della politica - se ne stava allontanando sempre più. Già accettando il ruolo di ”general solicitor” (l’avvocato dell’Amministrazione) nel 1989, su nomina di Bush senior, aveva dato una sterzata un po’ brusca alla sua carriera: gli amici raccontano che Starr patì molto quella scelta, rimase chiuso nel suo ufficio per giorni, chiedendo consiglio alle persone a lui più vicine. Sapeva di non poter rifiutare un’occasione del genere, ma anche che si sarebbe allontanato dalla sua via, forse irrimediabilmente, troppi nemici, troppi attacchi, troppa partigianeria repubblicana anche. Ma non perse la speranza, restò sempre come un senatore che vuole diventare presidente e a un certo punto s’accorge che forse il momento giusto è passato, ma continua a non rassegnarsi. Nel 1990 si presentò l’occasione, un giudice si ritirò, un posto nella Corte suprema diventò vacante. Nella rosa dei nomi che circolavano con più insistenza, Starr era tra i primi posti. I suoi amici lo davano già per giudice, lo apostrofavano ”chief” nei sussurri da corridoio. Il suo vice, Robert Shapiro, era con lui quando si seppe che il prescelto da Bush senior era David Souter: ”Guardai la sua faccia - ha raccontato- Tutti sapevamo che cosa stesse provando. Niente. Non c’era niente. Nessuna indicazione di qualche emozione”. Si dice che, l’anno successivo, quando si dimise il primo afroamericano della Corte, Thurgood Marshall, e Bush senior lo sostituì con Clarence Thomas, Starr non comparisse più neppure nella top list. Finito il mandato presidenziale, con la vittoria di Clinton, Ken voleva tornare a fare l’avvocato, anche se, a quel punto un po’ a malincuore, perché la vita di Washington - pur con qualche delusione - l’aveva ormai conquistato.Nel 1993 andò nello studio Kirkland and Ellis, il più grande di Chicago, tra i più importanti d’America. La nuova attività - durata per la verità pochi mesi, nell’agosto del 1994 fu nominato procuratore speciale per il caso Whitewater- gli lasciò un po’ più di tempo perstare con la famiglia, a McLean (Texas). Con la moglie Alice, prima di tutti, conosciuta nell’anno della laurea alla George Washington University, sposata, mai lasciata né tradita - si dice - perché, come andava ripetendo la mamma di Starr - Vannie, morta novantunennealla fine di quel lungo 1998 - a chiunque la intervistasse durante il Sexgate,’Kenneth non ha mai neppure pensato di essere infedele, ha una totale intolleranzaper questo tipo di comportamenti”, tutto il contrario di Clinton, insomma. La giovane Alice s’innamorò quasi subito di quel giovane introverso, studioso, straosservante, elegante - quando i suoi amici si aggiravano nel campus in maglietta e organizzavano sit in a ripetizione contro il Vietnam, Starr andava vestito in giacca e cravatta (in guerra non ci andò perché soffrivadi psoriasi) - un po’ troppo maturo per la sua età, incapace di divertirsi -gli amici d’infanzia, che hanno avuto con lui la stessa educazione nella Chiesa di Cristo, hanno raccontato che tutto ciò che era legato al divertimento era per loro sbagliato e vietato, bere, danzare, fumare, viaggiare - e totalmente negato per gli sport. Fu lei a insegnargli a ballare, così come è stata lei l’organizzatrice di casa, pronta a gestire con la massima efficienza il poco tempo che il marito riusciva a passarea casa con i ragazzi. L’unico vizio che si concedevano era quello di passare alcune ore in macchina insieme, con Alice alla guida e Ken che leggeva libri ad alta voce. I tre figli sono cresciuti per lo più con la mamma. Il maggiore, l’unico maschio, Randall, ha raccontatoche tra i ricordi di papà c’era la ”tortura” dell’ascolto obbligatorio dei discorsi dei personaggi politici più importanti. La figlia di mezzo, Carolyn, già a sei anni veniva interrogata da Starr sui nomi di tutti i presidenti degli Stati Uniti (nel 1998 s’iscrisse a Stanford, un anno dopo Chelsea Clinton). L’ultima arrivata, Cynthia, è stata un po’ meno ”tormentata”,a causa degli impegni di papà. Poi nel 1994 la nomina, l’inchiesta, i dossier che s’ammonticchiavano piano piano, che coinvolgevano il presidente, sua moglie, alcuni amici, e il 12 gennaio del 1998 l’incontro con Linda Tripp, che consegnò a Starr la cassetta delle sue conversazioni con la cara amica Monica Lewinsky. Il resto è storia d’America, una copertina di Time come uomo dell’anno in coabitazione con Clinton. Ilcommento della moglie Alice di quegli anni rende l’idea di quanto si confondessero vittime e aguzzini, buoni e cattivi, travolti e persecutori: ”A volte tutto questo sembra un incubo da cui non ci sveglieremo mai, mi ripeto sempr eche non può andare peggio di così, invece no, ogni giorno le cose diventano sempre più intollerabili”. Il sogno - ancora covato - di un posto nella Corte suprema s’è frantumato nel momento stesso in cui Starr non si è fatto soltanto troppi nemici, ma è diventato l’emblema della persecuzione con pregiudizio politico, della giustizia strumentalizzata dai conservatori, del contrario dell’indipendenza cui s’ispirava il suo ruolo, della cospirazione antipresidenziale, del ”verme” che per quanto alzi la testa non può che continuare a strisciare, dell’ossessione voyeuristica per il sesso in tutte le sue forme. Finito il Sexgate - l’impeachment di Clinton passò nel dicembre del 1998 dalla Camera al Senato, che, il 12 gennaio del 1999, rigettò gli articoli dell’accusa- Starr ha definitivamente accantonato il suo sogno, è tornato a fare l’avvocato con Kirkland, nella sede diWashington, che s’occupa soprattuttodi appelli alle Corti superiori, e il professore (oltre che il preside) alla Pepperdine University’s School of Law, dovegià avrebbe voluto andare nel 1996 (l’anno clou della liaison tra l’ex presidentee Monica Lewinsky), ma non ci riuscì perché nel frattempo l’inchiesta sui Clinton si stava alquanto complicando e il suo mestiere da ”independent counsel” gli richiedeva un impegno a tempo pieno. L’attività di professore è sempre piaciuta a Ken: appena poteva, tornava a casa di domenica per andare a insegnare nei corsi organizzati dalla Chiesa di Cristo e non si perdevaun appuntamento per arringare i giovani avvocati freschi d’esame sulla moralità del loro - e suo - mestiere.Dopo quegli ”anni sgradevoli”, come li ha definiti Starr, ha cercato di tenersi lontano dai riflettori, ma la sua passione per il settore pubblico, per il mondo che gira intorno all’Amministrazione, per Washington e i suoi lunghi corridoi gli ha impedito di andarsene troppo lontano, quasi per restare almeno fisicamente vicino al suo sogno. Anzi, è riuscito a un certo punto a infilarsi in un altro scandalo, attrazione fatale, seppur per poco e quasi di striscio. Secondo quanto riportò il NewYork Sun alla fine del novembre del 2004, Starr faceva parte del team di legali di Floyd Abrams, avvocato veterano del Primo emendamento, assunto dal New York Times per bloccare un procuratore di Chicago dall’ottenere i documenti relativi alle telefonate effettuate da due giornalisti del quotidiano dell’East Coast. L’obiettivo del team era quello di impedire che la giustizia mettesse in discussione il principio che si pone di ”preservare una stampa vigorosa, aggressiva e indipendente”. Il New York Times, quando il Sexgate stava volgendo al termine, aveva scritto che Starr era noto per la sua incapacità di emettere ”giudizi giusti” e per aver danneggiato la sua reputazione con ”decisioni contraddittorie sia legali sia di comunicazione” e che avrebbe potuto ”restaurarsi” soltanto rivedend oil suo famigerato Report. Quello stesso giornale, cinque anni più tardi, stava assumendo Starr per gestire uno dei casi più complicati della sua storia- fatto di rapporti con l’Amministrazione,di reportage sulla presenza di armi di distruzione di massa in Iraq, di fonti più o meno anonime e di spie - per il quale aveva citato in giudizio l’allora ministro della Giustizia, John Ashcroft. Il procuratore di Chicago interessato alle telefonate altri non era che PatrickFitzgerald; uno dei due giornalisti ”controllati” altri non era che JudithMiller. In una parola: Cia-gate. Dopo la ”denuncia” del New York Sun, il nome di Starr è rimasto nell’ombra, anchese alcune fonti dicono che gra nparte del materiale di quell’inchiesta è stato scovato da lui. Poi è ricomparso per ottenere la graziadi Lovitt. Nel frattempo ha rilasciato qualche intervista, ma sempre per commentare qualcosa che non fossero se stesso e i suoi anni Novanta. Schivo ma non timido - adora parlare in pubblico- Starr ha maturato una grande diffidenza nei confronti dei mass media,ai quali non si concede con facilità. Anche perché non si riconosce quando si vede in televisione né quando si legge sulle pagine dei giornali. Nel 1989, dopo la nomina ad avvocato generale di Bush padre, era stato intervistato senza prevviso dalla Cnn. Subito dopo aveva chiamato un suo amico per chiedergli come era andato. Lui l’aveva rassicurato, tutto andrà benissimo, ma Starr era dubbioso: ”Mi sono visto in tv e, devo dirlo, ho pensato di essereun po’ pedante”. L’amico gli aveva risposto: ”Ken, tu sei pedante”. E Starr, candido: ”Veramente?”» (Paola Peduzzi, ”Il Foglio” 3/12/2005).