2 dicembre 2005
Storie di gemelli siamesi
Ladan e Lelah volevano solo guardarsi in faccia senza bisogno d’uno specchio: storia di due gemelle iraniane di 29 anni, Ladan e Lelah Bijani, 29 anni, nate a Firouzabad, nel sud dell’Iran, gemelle siamesi unite per la testa con due cervelli distinti. Il padre, Dadollah Bijani, agricoltore, povero, ha già undici figli e le abbandona. Nemmeno le infermiere che assistono al parto vogliono occuparsene (Maria Corbi, ”La Stampa” 9/7/2003).
Nasce una coppia di gemelli siamesi ogni settantamila-centomila parti e nel 70 per cento dei casi si tratta di femmine; meno del 5 per cento delle coppie, una volta divise, riesce a sopravvivere. Il 75 per cento sono congiunti al torace e hanno organi in comune. Il 2 per cento dei gemelli sono uniti nel cervello (craniopagi) (’la Repubblica” 10/4/2001).
Li chiamano siamesi, ma è più corretto dire gemelli «congiunti». La malformazione ricorre una volta su 60 mila, quasi sempre nei Paesi dove non si fa diagnosi prenatale. Da noi i feti portatori di questi difetti vengono individuati in tempo e la soluzione proposta è l’aborto. Pierpaolo Mastroiacovo, direttore del Centro internazionale difetti congeniti: « il risultato di una gemellarità incompleta. Lo zigote non si divide in modo corretto e i bambini restano uniti con soluzioni variabili» (Margherita De Bac, ”Corriere della Sera” 7/7/2003).
La statuetta di marmo al museo della civilizzazione dell’Anatolia ad Ankara, in Turchia, del VI millennio prima di Cristo, rappresenta due gemelle siamesi (Giuseppe Remuzzi, ”Corriere della Sera” 9/7/2003).
La prima coppia di gemelli congiunti di cui si ha notizia nacque in Armenia nel 945 a.C. I due fratelli, uniti dalla vita all’addome, furono portati a Costantinopoli per essere messi in mostra. Suscitarono grande curiosità prima di venir allontanati perché a quel tempo si credeva che creature simili presagissero catastrofi. All’inizio del regno di Costantino VII tornarono però in città. Poco tempo dopo uno dei due si ammalò e morì; si cercò di salvare l’altro, ma spirò anche lui tre giorni dopo (’Corriere della Sera” 9/7/2003).
È un medico, Ali Reza Safaian, a prendere in affidamento Ladan e Lelah. Loro, fin da piccole, vogliono mostrare di essere non «una ma due». Chi le conosce, le racconta così: estroversa e vivace Ladan, timida e riflessiva Lelah (Maria Corbi, ”La Stampa” 9/7/2003).
Medici tedeschi le visitano a due anni: secondo loro una delle due sarebbe certamente morta nella separazione. Safaian, allora, segue il consiglio dell’ayatollah Khomeini (all’epoca in esilio a Najaf, in Iraq): l’operazione non è «religiosamente accettabile» anzi, un vero assassinio, visto che l’esito è noto in anticipo (Wayne Arnold, ”Herald Tribune” 11/7/2003).
Le gemelle Bijani incontrarono l’ayatollah Khomeini dopo la rivoluzione del 1979. Vennero viste anche alla manifestazione in favore del presidente Khatami nel 1998 (Nazila Fathi, ”The New York Times” 9/7/2003).
Bambine, spesso tentano di separarsi da sole: si danno il tempo e poi si mettono a correre in direzioni opposte. Vogliono spaccarsi per essere finalmente libere di svegliarsi la mattina ognuna all’ora che gli pare (Maria Corbi, ”La Stampa” 9/7/2003).
La comunità scientifica ripensa al caso di Chang e Eng, fratelli nati uniti nel 1811 in Siam, a Maklong (villaggio a 100 chilometri da Bangkok), che divennero talmente celebri da essere all’origine della definizione ”gemelli siamesi”. Esibiti per la prima volta nell’Egyptian Hall, a Piccadilly, furono poi affidati alle cure del chirurgo G. B. Bolton: «I loro corpi sono ben formati, ma la spina dorsale di Chang, che di solito tiene il braccio sulle spalle di Eng, è incurvata lateralmente. Se si solleva uno dei due da terra, lasciando pendere l’altro dalla zona del corpo in cui sono uniti, nessuno dei due prova dolore. Mangiano sempre insieme e non vogliono esser visti mentre lo fanno. S’addormentano sempre nello stesso momento, ed è impossibile svegliare l’uno senza destare anche l’altro». La zona di connessione era molto resistente e poco sensibile: legata una corda in quel punto si lasciavano tirare senza nessun fastidio. Sposarono due sorelle: Chang ebbe dieci bambini, Eng dodici. A sessantatré anni Chang si ammalò di bronchite e morì. Due ore dopo essersene accorto, morì anche Eng, cosciente fino alla fine (C.J.S. Thompson, I veri mostri, Oscar Mondadori).
Le sorelle Mary e Eliza Chulkhurst, note come le ”Fanciulle di Biddenden”. Nate nel 1100 nel Kent da genitori benestanti, erano unite alle spalle e alle anche: vecchi disegni e stampi per torte le ritraggono con quattro piedi e due braccia, mentre le altre due appaiono unite alle spalle. Si dice siano vissute fino a 34 anni. Quando nel 1134 una morì, fu proposto di separarle, ma quella che era ancora viva rifiutò: «Così come siamo nate insieme, moriremo insieme». Dopo sei ore spirò (C.J.S. Thompson, I veri mostri, Oscar Mondadori).
A 14 anni il neurochirurgo iraniano Madjid Samii visita le sorelle Bijani e rifiuta d’intervenire (Gianluca Monastra, ”la Repubblica” 9/7/2003).
Nel ’96 un’équipe prende in esame il loro caso in Germania, ma l’operazione risulta ancora «troppo pericolosa» (Maria Corbi, ”La Stampa” 9/7/2003).
Intanto, cresciute in una famiglia della buona borghesia di Shiraz, si laureano in Legge: Ladan vuole diventare avvocato, Laleh trasferirsi a Teheran per fare la giornalista. Unico sogno: «Separarci fin dal primo momento in cui abbiamo aperto gli occhi, se non altro per la possibilità di guardarci» (re. be. , ”La Stampa” 7/7/2003).
Novembre 2002: all’ospedale Raffles di Singapore sono separate con successo le nepalesi Gungah e Jamuna Shrestha, undici mesi, struttura cerebrale simile a quella delle sorelle Bijani (re. be. , ”La Stampa” 7/7/2003).
Keith Goh, il neurochirurgo autore del successo con le neonate nepalesi, accetta di operarle. Per mesi le prepara nel fisico e nella psiche, mentre con l’équipe di Singapore studia i dettagli di un’operazione fallita 4 volte su 5 negli ultimi cinquant’anni (Gianluca Monastra, ”la Repubblica” 9/7/2003).
Alle 9 di sabato 5 luglio eccole a Singapore che si lasciano riprendere mentre si ricoverano felici, un solo velo a coprire due folte capigliature nere (Margherita De Bac, ”Corriere della Sera” 7/7/2003).
Le sorelle passano il tempo scrivendo un diario: «Non vediamo l’ora che arrivi il grande giorno. Vogliamo questa operazione anche perché è arrivato il momento di poterci guardare in faccia senza usare uno specchio» (Maria Corbi, ”La Stampa” 9/7/2003).
«La gemellarità di questo tipo è insopportabile. Non si può vivere attaccati a un’altra persona. Deve esistere, comunque, un privato per ognuno, ma in queste condizioni è impossibile» (Eugenio Santoro, presidente emerito della Società italiana di chirurgia) (Daniela Daniele, ”La Stampa” 9/7/2003).
«Separarle è l’intervento chirurgico più complesso nella storia della medicina moderna, certamente il più audace mai tentato» (Paolo Poletti, ”La Stampa” 8/7/2003).
«La valutazione etica è positiva: hanno fatto bene a tentare. L’operazione aveva una plateale finalità terapeutica. Le ragazze erano adulte, colte e quindi pienamente consapevoli del rischio che affrontavano e abbastanza mature per poter assumere questa decisione» (Francesco D’Agostino, presidente del Comitato nazionale di bioetica) (Daniela Daniele, ”La Stampa” 9/7/2003).
«Le ragazze erano intelligenti e colte. Eppure so per esperienza quanto un paziente possa essere manipolato da un medico in cui riponga la propria fiducia» (Vincenzo Stipa, professore ordinario di chirurgia all’università La Sapienza di Roma) (Elena Dusi, ”la Repubblica” 9/7/2003).
Nell’intervento si utilizzano tecniche di circolazione extracorporea e di ipotermia profonda in cui il cervello può essere raffreddato fino a 17-18 gradi. Questa condizione può essere prolungata per al massimo 70 minuti (’Corriere della Sera” 7/7/2003).
In circa 70 anni di interventi sono sopravvissuti 30 gemelli su 68. Le possibilità aumentano, però, se si operano individui di giovane età: fino ai 6-7 anni il cervello di un bambino ha grandi capacità d’adattamento e l’asportazione di parti anche vaste di corteccia non ha conseguenze sul comportamento e sulle capacità motorie e sensoriali (Alberto Oliverio, ”Il Messaggero” 9/7/2003).
«Guai a pensare che la medicina sia onnipotente e che si debbano fare atti medici solo quando si ha la certezza che avranno un esito positivo» (Francesco D’Agostino) (Daniela Daniele, ”La Stampa” 9/7/2003).
Ladan è fusa a Laleh a livello dell’emisfero sinistro dove sono localizzati i centri del linguaggio che, anche nel caso di un intervento riuscito, verrebbero comunque gravemente compromessi (Alberto Oliverio, ”Il Messaggero” 9/7/2003).
Uno degli aspetti più complicati: le ragazze condividono un unico vaso sanguigno che irrora i cervelli. è necessario prelevare una vena dalla gamba di una delle due per creare circuiti sanguigni autonomi (re. be. , ”La Stampa” 7/7/2003).
Il radiologo francese Pierre Lasjaunias annuncia che «tutte le possibili precauzioni sono state prese, tutto quello che si poteva fare è stato fatto». Le sorelle affidano le loro speranze alla volontà divina: «Se Allah vuole vederci vivere come individui separati così accadrà» (re. be. , ”La Stampa” 7/7/2003).
I medici accertano l’inevitabilità dell’intervento e rilevano mal di testa cronici «destinati a peggiorare». Si prepara una squadra di 28 chirurghi e 100 infermieri pronti ad alternarsi nel corso di un’operazione che durerà 53 ore. Tre i coordinatori: l’australiano Keith Goh, Ben Carson, primario neurochirurgo pediatrico della Johns Hopkins University di Baltimora e il direttore del Raffles, Walter Tan (re. be. , ”La Stampa” 7/7/2003).
L’ultima lettera sul sito dell’ospedale: «Abbiamo pregato ogni giorno per la nostra operazione e adesso siamo molto eccitate dal momento che aspettavamo da ventinove anni. Per favore, pregate per noi». Sanno che la probabilità di sopravvivenza è del 50 per cento (Paolo Poletti, ”La Stampa” 8/7/2003).
L’Iran segue la loro sorte. Il presidente Mohammad Khatami assicura: «Le preghiere di tutti gli iraniani sono con loro». Annuncia che il governo pagherà circa 300 mila dollari di spese (re. be. , ”La Stampa” 7/7/2003).
Alle 21.45 di sabato 5 luglio le lastre fanno supporre che i cervelli siano appoggiati l’uno sull’altro e che condividano soltanto l’arteria principale (’La Stampa” 9/7/2003).
L’intervento inizia alle 12 di domenica 6 luglio. Prima d’entrare in sala operatoria Ladan e Lelah ridono e scherzano con un gruppo di sette amici. Ci vogliono ore per sistemarle sul tavolo operatorio. Poi, dalla gamba destra di Ladan, la più debole, viene prelevato un pezzo di vena che farà da bypass per separare i flussi sanguigni. Lo stato generale delle gemelle è buono (’La Stampa” 9/7/2003).
Musica classica, il sottofondo scelto dal team di chirurghi che opera Ladan e Lelah (’Il Messaggero” 8/7/2003).
Alle ore 20.20 del 6 luglio i chiurghi iniziano ad aprire l’osso del cranio e dividono l’arteria cerebrale (’La Stampa” 9/7/2003).
Alle 9 di lunedì 7 luglio le gemelle sono in buone condizioni e i medici ottimisti (’La Stampa” 9/7/2003).
Alle 20.20 i medici dividono le scatole craniche, ma nel punto di unione l’osso si rivela più spesso e più duro del previsto (Paolo Poletti, ”La Stampa” 8/7/2003).
Alle 22.30 si stabilisce la circolazione sanguigna extracorporea in ipotermia profonda. Tutto è pronto per la completa separazione delle gemelle (’La Stampa” 9/7/2003).
Alle 13.30 di martedì 8 luglio, un secondo problema: i cervelli sono quasi fusi. Si deve incidere millimetro per millimetro (’la Repubblica” 8/7/2003).
Ore 15.15: dopo un’ora e mezza per separare la materia cerebrale, le teste vengono ricomposte con parti molli e muscoli prelevati dal corpo delle ragazze. Sessanta minuti dopo la separazione, una grave perdita di sangue. All’ultima sutura Ladan muore (’La Stampa” 9/7/2003).
Alle 18 è ormai impossibile stabilizzare pressione e flusso sanguigno. Anche Laleh cede. Muore un’ora e mezza dopo la sorella, a intervento terminato (’La Stampa” 9/7/2003).
In Iran radio e tv interrompono le trasmissioni per annunciare la notizia. La gente smette di fare quello che sta facendo, persone in lacrime ovunque (’The New York Times” 11/7/2003).
La reazione del padre adottivo: «Quando le hanno portate a Singapore sapevo che avrebbero rimandato indietro i loro corpi. Le hanno portate là e le hanno uccise» (R. Es., ”Il Messaggero” 9/7/2003).
Il dottor Goh: «Avevano perso troppo sangue e non ce l’hanno fatta nonostante le trasfusioni. Prima di cominciare a separare i cervelli, alcuni della mia équipe volevano smettere: troppe complicazioni. Abbiamo deciso di proseguire dopo che familiari e amici delle ragazze ci hanno ricordato l’unico desiderio di Laleh e Ladan» (Maria Corbi, ”La Stampa” 9/7/2003).
Il francese Pierre Lasjaunias rifarebbe un intervento simile: «In una situazione analoga, assolutamente sì. Avevo già visto malformazioni del genere. Tutti gli studi e le analisi preparatorie ci dicevano che bisognava tentare» (Massimo Nava, ”Corriere della Sera” 12/7/2003).
«A mio parere il rischio non è stato presentato nella corretta misura. Una ragazza aveva il 50 per cento delle possibilità di sopravvivere, l’altra non più del 10. Chissà se avrebbero accettato lo stesso. Non mi è piaciuta la propaganda che i chirurghi si sono fatti. E non vengano a dire di essersi trovati di fronte a una situazione più complicata del previsto» (il neurochirurgo dell’università La Sapienza, Paolo Cantore) (Margherita De Bac, ”Corriere della Sera” 9/7/2003).
«È fuor di dubbio che la medicina e la chirurgia procedono anche attraverso sfide e azzardi. Anni or sono Luigi Firpo ebbe a scrivere che la chirurgia si sviluppò in passato attraverso un ”arrischiato provando e riprovando”. La tecnologia è oggi avanzata a dismisura, con un’infinità di ricadute vantaggiose per i malati; però l’etica medica, come ha scritto Norberto Bobbio nell’Autobiografia, è ancora e sempre quella di Socrate e d’Ippocrate» (Giorgio Cosmacini, ”Corriere della Sera” 10/7/2003).
Giuseppina e Santina Foglia, astigiane, separate nel ’65 all’età di sei anni e mezzo. Giuseppina condivide la decisione delle sorelle: «Per me furono i miei genitori a fare la scelta ed è andata bene. Non avrei voluto essere al posto di quelle ragazze ma probabilmente avrei fatto la stessa cosa» (’Il Messaggero” 9/7/2003).
Claudio e Adriano Palmieri, gemellini siamesi di Gela, tre gambe e alcuni organi vitali in comune, divisi nel 1985. Adriano muore subito, Claudio sopravvive un solo giorno prima di decedere per «stress traumatico da operazione» (Luca Sebastiani, ”Il Messaggero” 9/7/2003).
Mario e Beniamino Di Conza, fratellini di Nusco, Avellino, un solo diaframma, due sole gambe. Un intervento all’ospedale Great Ormond di Londra li divide nel 1994. Dopo pochi mesi, Mario muore per una crisi di pianto (Luca Sebastiani, ”Il Messaggero” 9/7/2003).
«La morte è l’esito più scontato. I chirurghi hanno, di sicuro, camminato sul filo del rasoio e le conseguenze potevano essere svariate: ne poteva morire una soltanto, ed era possibile che la superstite rimanesse indenne oppure cerebrolesa, o potevano rimanere cerebrolese entrambe» (Eugenio Santoro, presidente emerito della Società italiana di chirurgia) (Daniela Daniele, ”La Stampa” 9/7/2003).
«Quell’intervento chirurgico non andava fatto: non era moralmente necessario. Erano due persone che vivevano da 29 anni. Sono state convinte che con quel tentativo sarebbero state meglio. è comprensibile che abbiano accettato. Ma di fronte all’alto indice di rischio, l’operazione non si doveva fare» (l’arcivescovo Javier Lozano Barragan, presidente del Pontificio consiglio della Salute) (Orazio La Rocca, ”la Repubblica” 9/7/2003).
Ladan e Laleh avevano chiesto di essere separate «a qualunque costo» (Maria Corbi, ”La Stampa” 9/7/2003).
Mr Safain, scettico dall’inizio: «Hanno vissuto da sole negli ultimi due anni, facevano shopping e cucinavano anche per 20 ospiti. Sono state usate come cavie da laboratorio. Ho sentito parlare dell’operazione tre mesi fa, ma non me le hanno fatte vedere. Ora se ne sono andate, e nessuno le riporterà indietro» (Wayne Arnold e Denise Grady, ”The New York Times” 9/7/2003).
«Evidentemente prende il sopravvento l’evento mediatico, la spettacolarità del caso impossibile, che se riesce dà una grande popolarità a chi l’ha risolto. Ma questo non c’entra proprio niente con la medicina, che dovrebbe operare all’insegna delle responsabilità e dell’etica delle scelte condivise col paziente. Non mi piace il chirurgo che chiama le telecamere prima d’entrare in sala operatoria: è criticabile sotto ogni profilo, etico e deontologico» (Ignazio Marino, direttore del centro dei trapianti di fegato al Jefferson Medical College di Philadelphia) (Franca Porciani, ”Corriere della Sera” 9/7/2003).
«L’aspetto mediatico è connesso al fatto che un intervento del genere ha costi enormi e comporta la mobilitazione di molte risorse, tecniche e umane» (Pierre Lasjaunias) (Massimo Nava, ”Corriere della Sera” 12/7/2003).
Il quotidiano spagnolo ”El Mundo” chiede in un sondaggio se le sorelle abbiano fatto la scelta giusta. Schiacciante la vittoria dei sì, con l’83 per cento dei votanti, contro il 17 per cento dei no (www.unita.it 9/7/2003).
«Non siamo di fronte a un suicidio programmato. E anche i medici hanno tentato e ancora tentato, con la speranza di una buona riuscita. Non vedo in questo nulla di male. Queste creature non saranno certo giudicate da Dio come se avessero disprezzato la vita» (il cardinale Ersilio Tonini) (Daniela Daniele, ”La Stampa” 9/7/2003).
Drappi neri intessuti di fili dorati avvolgono le due bare di Ladan e Laleh quand’arrivano in Iran. Ad attendere le salme, all’aeroporto di Mahrabad, migliaia di persone, insieme a parenti e amici. La banda della polizia intona un motivo funebre (R.E., ”Avvenire” 11/7/2003).
Centinaia di persone vestite di nero porgono le condoglianze ai genitori naturali nel villaggio di Lohrasb, 680 miglia a sud-ovest di Teheran. In casa le donne dolenti piangono in stanze diverse da quelle degli uomini, secondo i costumi musulmani. Il padre naturale Dadollah Bijani: «Siamo sopraffatti dalle centinaia di persone che ci fanno visita. Non siamo in grado di preparare una cerimonia funebre decente» (’The New York Times” 11/7/2003).
I corpi delle due gemelle vengono trasferiti in una moschea della capitale per ricevere gli onori funebri insieme alle salme di 300 caduti della guerra con l’Iraq (1980-1988), recuperate recentemente. Già diversi edifici e luoghi pubblici, tra cui un parco e un complesso residenziale, sono stati intitolati alle sorelle Bijani (R.E., ”Avvenire” 11/7/2003).
«Quando due bambini sono separati sono chiamati gemelli e quando sono uniti insieme sono chiamati mostri» (il celebre medico ostetrico William Smellie). (C.J.S. Thompson, I veri mostri, Oscar Mondadori).