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 2005  dicembre 02 Venerdì calendario

Krizia MariucciaMandelli

• Nata a Bergamo il 31 gennaio 1935. Stlista. «Una donna che ispira simpatia e che nasconde anche un velo di timidezza. ”Sono una sognatrice che cerca sempre di realizzare i suoi sogni”, così si definisce [...] ”Durante la guerra vivevo in una città fuori dal mondo. Bergamo fu risparmiata dai bombardamenti. Giocavo in una roccaforte, fingevo di fare la castellana. Ricordo un grandissimo spazio che usavo per i miei giochi. Costruivo una finta via, negozi finti, un teatro, un albergo. Anni dopo, durante una festa di Natale, accanto al camino raccontai la mia infanzia a Dino Buzzati e lui mi chiese perché non la scrivevo. Avevo una bambola che adoperavo come un manichino. A otto anni copiavo così bene i vestiti che le mamme delle mie amiche venivano a vederli. E poi la mia passione era fare l’albergo. Costruivo un albergo nel solaio. Molti anni dopo ho costruito un albergo nei Caraibi e i miei sogni sono diventati realtà [...] I miei genitori persero tutto quando ci trasferimmo a Milano e io, invece di andare alla Ca’ Foscari dove volevo studiare lingue, feci un concorso statale per insegnare. Su tremila concorrenti c’erano cento ammessi. Io fui tra questi e andai a insegnare a Cassano d’Adda. Però ebbi presto l’occasione di aprire una sartoria con una mia amica che faceva maglieria. Volevo fare la stilista e cambiare il mondo della moda. La mia famiglia era disperata che lasciassi il posto fisso. Per fortuna ero molto amica di Lelio Luttazzi che si stava trasferendo a Roma e mi regalò sei mesi d’affitto del suo appartamento a Milano. Avevo sei mesi di tempo per arrivare. Mia sorella che si era trasferita a Roma vendette la sua lambretta e mi dette duecentomila lire. In piazza Baracca c’era un negozio, ”Quando Berta Filava”, a cui cominciai a vendere vestiti, e una fotografa redattrice di ”Grazia”, Elsa Haerter, si innamorò del mio lavoro e volle fotografare i vestiti. Andavo in giro per l’Italia a vendere, devo dire con successo, e così dopo sei mesi trovai un ufficio in piazza Duse, nella stessa casa dove abitava Arnoldo Mondadori e dove Grazia Neri aveva la sua agenzia [...] Il pret-à.porter di lusso non esisteva ancora. Andai a Firenze, al Pitti, stimolata da Rudy Crespi. Vinsi il primo premio della critica della stampa, lo stesso che aveva vinto Emilio Pucci l’anno prima. Così nacque interesse per me anche all’estero. Avevo cominciato nel 1954, eravamo nel 1965. Intanto avevo conosciuto mio marito, Aldo Pinto, che era scappato via dall’Egitto all’arrivo di Nasser. Incominciammo insieme a creare una maglieria. Lui si occupava soprattutto della parte commerciale. Parlava molto bene l’inglese, e questo facilitò enormemente il nostro rapporto con gli americani. Ricordo che quando il grande magazzino newyorkese Bendel mi invitò a sfilare, era da poco uscito il film Bonnie and Clyde e per un caso stranissimo e del tutto imprevisto i miei vestiti erano molto simili nello stile ai costumi di quel film che in quel momenti era mitico e oggetto di culto. Così Faye Dunaway, , la protagonista del film, fu fotografata sulla copertina di ”Life” con un abito Krizia [...] Per riuscire avevo dovuto nascondere la mia anima di sognatrice timida e diventare più aggressiva. Questo però mi portò a un brutto esaurimento dal quale sono uscita dopo sette anni di analisi. Ero troppo perfezionista ed è un difetto terribile. Lo psicoanalista mi chiedeva: ’Scusi, lei vuole essere Dio’”» (Alain Elkann, ”Amica” 3/12/1994). «Ho tentato di aiutare le donne ad aprirsi, ho cercato di renderle meno convenzionali, più libere, più consapevoli di se stesse. Una bella battaglia persa, se vedo come va in giro certa gente [...] Soprattutto i giovani: sono sbrindellati, e sporchi. Come se nessuno gli avesse insegnato i primi rudimenti della civiltà, roba che andrebbe imparata all´asilo. D´altra parte oggi ognuno fa come gli pare. Le donne si sposano con scollature abissali e con le spalle nude [...] Non amo vestire le attrici: hanno troppe pretese. Chiedono che gli abiti vengano adattati alla loro personalità. Allora che vadano da un costumista. Eppure ne ho vestite tante, da Catherine Zeta-Jones a Sharon Stone [...] Stilisti preferiti? Yamamoto, Jean Paul Gaultier nella sua follia, e Antonio Marras [...] Mi piace quell´attrice nervosa. Margherita Buy. una che veste come una persona intelligente [...] Mi chiedo: ha un senso quello che sto facendo? Hanno un senso i nostri armadi, che straripano di vestiti, di oggetti, di cose? Certo con il mio lavoro farei meglio a stare zitta [...] I miei abiti costano troppo? No. Non in proporzione a come sono fatti, alle stoffe raffinatissime, al tipo di lavorazione, una delle migliori del mondo» (Laura Laurenzi, ”la Repubblica” 13/7/2003). «C´è una fotografia in cui è bellissima. Avrà sì e no trentacinque anni, è seduta alla sua scrivania di lavoro, tiene una sigaretta tra le dita, la sta avvicinando alle labbra, ha i capelli scuri raccolti dietro la nuca, una maglietta bianca a maniche corte e assomiglia a Faye Dunaway. [...] Dice che è sempre stata affascinata dal cinema, dal suo modo di raccontare le storie. Il suo gioco preferito è essere se stessa interpretando qualcun’altra, ogni giorno diversa. [...] ”Non credo di essere una persona interessante. Ho sempre paura di non essere capace di andare oltre pensieri banali, di deludere chi mi deve giudicare in una chiacchierata di non più di un’oretta. Sono una persona semplice”. [...] Qualcuno ha definito Krizia la signora più ”cattiva” del prêt-à-porter. Di certo non è una che le cose le manda a dire. Ha avuto in passato forti polemiche con la Camera della moda per l’organizzazione delle sfilate a Milano, si è scontrata senza esclusione di colpi con Anne Wintour, l’erinni di Vogue America [...] in Giamaica [...] si sposò, ”in una portineria d’albergo”, con l’imprenditore Aldo Pinto [...] In un libro di Isa Tutino Vercelloni a lei dedicato c’è un’immagine che la ritrae assieme a Valentino, Armani, Versace e Ferré. Sono al Quirinale, sono giovani e sono appena diventati commendatori. I grandi stilisti sono anche personaggi strani. [...] Giorgio Armani e la Mandelli si vogliono bene. Si somigliano anche un po’. ”Crediamo tutti e due che la moda non debba essere imposta, ma debba piuttosto assecondare il tempo che viviamo, le esigenze e le possibilità delle persone. Dobbiamo fare vestiti per gli uomini e le donne che vanno in ufficio, a scuola, a fare la spesa, in vacanza in luoghi normali. Non faccio alcuna fatica ad ammettere che Benetton e Zara, per esempio, sono bravissimi e producono abiti molto belli. Dobbiamo difendere l’eleganza, questo sì, perché l’eleganza è cultura”. Krizia era una bambina ricca, poi è stata una ragazza povera perché la sua famiglia perse tutti i suoi beni ”dal mattino alla sera”, oggi è di nuovo ricca, soprattutto per merito, lei dice, di tanti mariti che hanno comprato i suoi vestiti per rendere felici le loro mogli e anche le loro amanti. ”Al giorno d’oggi possediamo tutto, possediamo troppo. Da piccola i miei genitori mi hanno insegnato il dono dell’offerta. La gioia che si prova quando si è capaci di pensare agli altri. Dopo ogni Natale accantonavamo una parte dei miei giocattoli e li portavamo ai poveri”. Spesso le vite prendono una certa strada per avventura, altre precipitano per sventura. La sua cominciò con una bambola ed è stata fortunata. ”Era quella che amavo di più. Avevo sette anni e abitavo a Bergamo. Cominciai a fare vestiti per lei, prima di carta, poi di stoffa. Spesso mi ospitava e mi consigliava la signora Parietti che aveva una sartoria vicino a casa nostra. Fu lei, anni dopo, a dire a mia madre: ’Non mandi sua figlia all’università, vedrà che diventerà qualcuno nella moda’. Io avevo il diploma di maestra, insegnavo in una scuola di Cassano d’Adda. Diedi retta all’amica sarta dei miei e andai a Milano. Avevo 23 anni, una lambretta che vendetti per pagare l’affitto di due camerette in via Pagano, una socia, Flora Dolci, lo sguardo spaurito e neppure un fidanzato con i soldi. Entravo nei negozi con il mio campionario sotto il braccio e non ho mai capito se mi davano retta perché ispiravo simpatia oppure mi ascoltavano per pietà”. Viaggiò tanto, soprattutto in treno. La provincia, Bari e molto altro Sud, il Samia di Torino che fu un trampolino di lancio, Firenze dove allestì la prima sfilata vera tutta sua e venne premiata come migliore esordiente, Milano dove stava soprattutto a ammirare i colleghi già famosi, Parigi grazie all’ospitalità di un paio di amiche ricche che andavano ad accarezzare l’alta moda. ”Volevo, e lo voglio ancora, vestire soprattutto le donne. Nel corpo femminile ho sempre visto la libertà. In Italia sono stata la prima a disegnare la minigonna, in contemporanea con Mary Quant. Facevo pantaloncini cortissimi per rendere le donne milanesi un po’ meno signore, andavo alla stazione centrale per studiare le francesi che giungevano con il treno a Milano ed erano così eleganti, così avanti rispetto a noi. Evitavo l’alta moda, mai attuale, mai realistica, sempre troppo costosa, mettevo nei miei vestiti un po’ di Greta Garbo, Magritte, Dalì, l’imperatrice Sissi, Malevic e Depero. Con il trascorrere degli anni ho modificato il carattere, sono diventata aggressiva. E ormai non mi sfugge nulla. una disgrazia, questa. Sono malata di perfezionismo, una malattia gravissima. Chi lavora con me la deve vivere come un tormento”. esigente, è una rompiscatole. [...] spiega che lo è anche Armani, uno che la sera, quando scende il buio, lo si può incontrare in via Manzoni mentre controlla a una a una le vetrine dei suoi negozi. Mariuccia Mandelli è innamorata delle donne. E come succede nella storia di ogni grande amore ha ricevuto in cambio anche qualche delusione. ”Una volta le donne esageravano nel vestirsi e noi abbiamo insegnato loro a spogliarsi. Oggi esagerano nello svestirsi. Ormai le guardi in tv e sembrano sempre in mutande. Sono nude fino all’inguine, mi fanno venire il sospetto che abbiano smesso di guardarsi allo specchio. Portare la minigonna può essere un segno di libertà, ma c’è chi esagera. Non tutte possono permettersi di mostrare il sedere”. [...] quali sono i cinque capi di abbigliamento che non possono mancare nell’armadio di una signora. [...] ”Il tailleur, il pantalone, la camicia, l´abito con le spalline e il golf”. Dice che nella nostra vita i colori devono essere tre: ”Il nero, il beige e il bianco. Il più bello di tutti”. E che loro, gli stilisti, oltre a essere strani sono egocentrici: ”Abbiamo scelto questo mestiere perché volevamo prima di tutto vestire noi stessi”» (Dario Cresto-Dina, ”la Repubblica” 19/2/2006). Vedi anche: Gian Antonio Stella, ”Sette” n. 14/1999; Donatella Bogo, ”Sette” n. 46/2001;