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 2005  novembre 27 Domenica calendario

Agustina, specchio di De Oliveira. La Stampa 27/11/2005. E’ una grande mente, una forza. Non so come farei senza di lei», dice Manoel de Oliveira parlando di Agustina Bessa-Luis

Agustina, specchio di De Oliveira. La Stampa 27/11/2005. E’ una grande mente, una forza. Non so come farei senza di lei», dice Manoel de Oliveira parlando di Agustina Bessa-Luis. Magari esagera, ma è vero che tra il più grande cineasta vivente e la maggiore scrittrice portoghese si è creata nel tempo un’alleanza incomparabile, un accordo unico nel mondo del cinema come in quello della letteratura. Non che Agustina Bessa-Luis sia stata o sia la sola ispiratrice del regista: de Oliveira si è rifatto a Paul Claudel («La scarpetta di raso»), a Gustave Flaubert, a Camilo Castelo Branco, a Samuel Beckett, alla Bibbia, a Madame de La Fayette («La lettera»), al predicatore gesuita Antonio Vieira («Parole e utopia»). Ma il loro legame tra film e romanzi è del tutto speciale. Alla scrittrice si deve nel 1981 «Francisca», bellissima opera sul dandysmo portoghese: era un romanzo di Bessa-Luis d’ambiente ottocentesco, «Fanny Owen», che aveva tra i protagonisti Castelo Branco e che servì a De Oliveira per uno dei primi 27 lungometraggi realizzati dopo lunghi anni di inazione coatta; rappresentava la quarta parte di una ideale «tetralogia dell’amore frustrato». Dieci anni dopo, con «Vale Abrado» (La valle del peccato) la trasposizione era più raffinata: il romanzo di Agustina Bessa-Luis «La valle di Abramo» da cui il film era tratto, era una riscrittura di «Madame Bovary» di Flaubert, suggerita o addirittura commissionata, pare, dallo stesso regista. Non sempre le trascrizioni erano fedeli: ne «Il principio dell’incertezza», de Oliveira soppresse o alterò gran parte del romanzo di Agustina Bessa-Luis intitolato «A alma des ricos. Principio da Incerteza». E l’ultimo film del regista presentato quest’anno alla Mostra di Venezia, «Specchio magico», torna ancora una volta su quest’ultimo romanzo «A alma dos ricos», l’anima dei ricchi. Infinite volte, poi, la scrittrice ha realizzato almeno in parte le sceneggiature dei film del Maestro. Alcuni elementi esterni possono aiutare a capire questa armonia eccezionale. Non che i due abbiano compiuto un percorso analogo: nessuno potrebbe fare esperienze simili a quelle di Manoel de Oliveira, nato ricco, atleta, campione di salto con l’asta, acrobata, pilota automobilistico, attore, dandy e seduttore al volante della sua Packard decappotabile, figura delle cronache mondane, incarcerato dalla polizia del dittatore Salazar, dirigente industriale dell’azienda paterna, espropriato dalla «rivoluzione dei garofani», proprietario di una casa disegnata da un allievo di Le Corbusier completata da un collaboratore di Niemeyer, sposato e padre di quattro figli, cineasta meraviglioso. Però il regista e la scrittrice vivono nella stessa città portoghese, Porto. Sono entrambi vegliardi: lui 97 anni, lei 83. Tutt’e due sono lavoratori infaticabili e fecondi: un film e un libro l’anno come min imo, almeno sinora. Tutt’e due amano la Natura e il paesaggio del proprio Paese. Amano la Storia del Portogallo incarnata da sovrani, condottieri, predicatori illustri: lei ha scritto molte biografie di grandi, il film di lui «No, o la folle gloria del comando» è forse la migliore illustrazione dei guasti provocati dal desiderio e dall’esercizio del potere. Amano l’esattezza e la spettacolarità della parola: sulla pagina o sullo schermo, ogni scelta o combinazione linguistica acquista grazie a loro densità, autorità, destino. Sono anche, tutt’e due, conoscitori e narratori dell’aristocrazia rurale, della borghesia provinciale elegante; e sono, tutt’e due, un poco altezzosi. Li avvicina la predilezione per i mélo distanti, congelati, per la tragedia imperiale: lo stile di entrtambi (visivo quello di lui, letterario quello di lei) non ha nulla del neorealismo, nè dell’esistenzialismo nè del kitsch, nè del minimalismo, di alcuna insomma delle voghe del Novecento: con una sfumatura di ermetismo, di lirismo o di grottesco, è nobile, sobrio, appassionato. Lietta Tornabuoni