La Stampa 28/11/2005, pag.29 Alessandro Tommasi, 28 novembre 2005
I badanti. La Stampa 28/11/2005. A volte finiscono nelle foto di copertina, a volte abitano l’ombra
I badanti. La Stampa 28/11/2005. A volte finiscono nelle foto di copertina, a volte abitano l’ombra. Ma ci sono sempre. Sempre. Sono i badanti dei campioni, sono quelli che non li lasciano mai soli, sono quelli che tutto sanno e quasi niente raccontano, sono le spalle su cui piangere, i capri espiatori. Sono l’anello di congiunzione tra chi vive in un mondo a parte e la realtà, fatta di cose grandi e di cose piccole e pratiche, a volte impegnati a occuparsi dei massimi sistemi (la salute dei campioni cui badano, o i loro affari di tasca e/o di cuore) e altre costretti a fare da autisti, ad andare alla posta a pagare le bollette, a prenotare il ristorante in cui il campione mangerà. A volte sono amici, compagni d’infanzia. Quello che è vestito da Valentino Rossi è l’ombra di Valentino Rossi, ma non è Valentino Rossi, per esempio: Alessio Salucci detto Uccio, che era il compare di scorribande tavulliane del campione del mondo e oggi con lui vive a Londra, e guida il suo motorhome su e giù per il motomondiale, e non manca mai, che ci sia un casco da lucidare, una festa da accendere o una colluttazione da far scoppiare con la banda di un pilota rivale battuto. Oppure quello che va sui giornali a dire: «Sono stato io» quando Ronaldo esagera: si chiama Cesar, è l’amico-segretario del dentone, e di recente è stato lestissimo - a Madrid, quando Ronaldo è stato fermato per eccesso di velocità in auto - a prendersi la colpa. E non importa se poi, quella volta lì, magari Cesar era in realtà da un’altra parte: è la sua vita metterci la faccia. A volte, e sempre più di frequente, sono i preparatori atletici, o i fisioterapisti. Cominciano così, lavorando sui muscoli - il bene primario dei campioni - e poi finiscono per ritrovarsi tra le mani, da gestire, l’anima dei «badati», e anche porzioni sempre più ampie delle loro vite. Uno dei campioni della categoria è, attualmente, Vito Scala. L’ombra di Francesco Totti. Al punto che - per metterla su un piano familiare al capitano della Roma, il piano delle barzellette - si potrebbe tranquillamente parafrasare una vecchia storiella e riadattarne il finale. Così: chi è quel giocatore della Roma con la maglia numero 10 e la fascia da capitano che sta vicino a Vito Scala? Chi vive a Roma sa; chi invece è lontano dalle cose più intime di Totti provi a ricordare una qualunque foto del giocatore fuori dal campo, in borghese: al centro, in primo piano, c’è lui, Totti (e ultimamente anche Ilary, la sua signora); dietro o di fianco, magari sfocato, magari un po’ tagliato, c’è Vito Scala. Per lo più in tuta, per lo più concentrato a non guardare in macchina. Ma lì. Inamovibile. Inevitabile. Vito Scala, preparatore atletico. Cominciò a lavorare con la Roma, ingaggiato per le giovanili, poi fu portato in prima squadra all’indomani dell’esonero di Carlos Bianchi - metà Anni 90 - e lì si fece conoscere dal numero 10. Dieci anni dopo, adesso, non è più solo dei muscoli del capitano che si occupa. E’ il cellulare di Vito Scala che occorre chiamare per avere notizie di Totti, è a lui che il giocatore affida il compito di fare da filtro alle mille richieste di sponsor e semplici questuanti. «Un lavoro immenso», dice Scala. Per il quale Totti ha anche combattuto - nel 2001 per mesi rinviò la firma del contratto con Sensi in quanto voleva ottenere un aumento di stipendio per il preparatore (ma c’è anche chi dice che la questione verteva su un altro punto: chi doveva pagarlo quell’aumento?) -, al quale Totti adesso affida perfino la comunicazione di sé, con risultati a volte non proprio brillantissimi. E se lo è portato in Nazionale (all’Europeo fu Scala ad avvisarlo che lo avevano beccato a sputare a Poulsen: «A Vito, ma che sei matto?!» fu la risposta) e oggi raramente muove passo senza prima essersi consultato con lui. D’altronde, nelle mani di preparatori e fisioterapisti gli atleti mettono la propria carriera, cioè quel che dà loro la vita: normale che poi, se i risultati arrivano, li ripaghino legandosi a filo doppio. Lo fece Shaquille O’Neal, il gigante del basket Nba, anni fa, quando una serie di infortuni lo portò a conoscere Alex McKechnie, fisioterapista canadese. Shaq ne aveva sempre una che non andava, Alex lo prese e lo rivolta come un calzino, cambiandogli la dieta, la postura, aprendogli la mente. Morale: si è trovato talmente bene, Shaq, che arrivò ad acquistare una villa da 3 milioni di dollari a Vancouver, Canada: passa tre mesi l’anno lì, d’estate, a lavorare con McKechnie. E quando non lavora, è sempre con McKechnie che va in giro, a pescare o per locali (dove guardare ma non bere è la regola). Stesso percorso ha fatto Massimiliano Biaggi, il cui legame con Marino Laghi, fisioterapista romagnolo, è divenuto leggendario nel mondo delle moto. «Se stiamo insieme ci sarà un perché...», cantava spesso a squarciagola Biaggi, anni fa, quando gli si chiedeva del suo rapporto con Laghi: il perché era che l’uomo dei muscoli gli faceva da padre e da madre, da amico e da segretario, da camera di decompressione e da faro nei momenti bui. E così è andata anche per Michael Schumacher. Il quale, portatovi da un zio, dieci anni fa incappò del tutto casualmente in Balbir Singh l’indiano. Un massaggio e scoccò la scintilla: per dieci anni l’indiano è stato il guru del tedesco, lo ha seguito ovunque, gli ha rivoluzionato la dieta (via wurstel e patatine, dentro cereali e frutta e carboidrati), gli ha insegnato a trattare il corpo come un tempio, cucinava per lui e lo sfidava in match - che dicono serratissimi - di boxe thailandese. Ora Balbir l’indiano ha detto basta: «Michael, tengo famiglia...», ma quel che lascia è un super atleta conscio del fatto che è la cura dei particolari a rendere perfetto l’insieme. Che è poi quel che Senna, prima di Schumacher, aveva capito: fu lui, il brasiliano che è sempre stato un giro davanti a tutti, a introdurre la figura del preparatore badante in F1, quando si affidò a Nuno Cobra e imparò che ci sono i muscoli, e l’anima, e il cuore, e la testa, e che tutti insieme vanno curati e allenati. E oggi Cobra è il nuovo guru del presidente brasiliano Lula, che per averne citato il pensiero durante un discorso si è tirato in testa un mare di polemiche («Ma come? Ci aspettiamo Marx e tu ci dai Nuno Cobra?»). A volte, infine, i badanti sono ovviamente i manager, i procuratori. Che cominciano gestendo i primi soldi degli atleti, li seguono finché diventano campioni e finiscono - non sempre, ma troppo spesso - incasinando l’intera esistenza dei loro assistiti. Sono di solito storie a termine, e in alcuni casi il rapporto si conclude così: il badante fugge con la cassa, il badato fa sapere che molto volentieri lo ucciderebbe. Mike Tyson-Don King nonché Diego Maradona-Guillermo Coppola sono due rapporti finiti così, e non crediate che la risposta alla domanda «Chi, nelle rispettive coppie, è il bandito?» sia poi così scontata. Due dei quattro indossano cravatte e parlano bene, è vero, ma insomma: le apparenze ingannano, non ve l’ha detto la mamma? Alessandro Tommasi