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 2005  novembre 28 Lunedì calendario

Il viceré di Fini con la maglietta di Titti. Corriere della Sera 28/11/2005. Messina. – Dura la vita in patria, per i piccoli padri della Patria

Il viceré di Fini con la maglietta di Titti. Corriere della Sera 28/11/2005. Messina. – Dura la vita in patria, per i piccoli padri della Patria. Quello di oggi, per Domenico Nania, l’uomo di An sulla riforma costituzionale, è il giorno più lungo. Con quello di Messina, roccaforte della destra minata negli ultimi mesi da vistose crepe, è in ballo anche il destino suo. Che potrebbe, in caso di sconfitta, finire al centro di accuse che al momento covano roventi sotto la cenere. Perché "Mimmo", a Messina, non è solo il punto di riferimento del partito: è molto, molto, molto di più. Per capire tutto basta intercettarlo in certe giornate calde all’Hotel Royal, dove il nostro fa "ambulatorio" politico-elettorale. Tutti in fila, a decine, muti e compunti, in giacca e cravatta. E lui lì, con addosso una T-shirt sbarazzina dai colori chiassosissimi o rallegrata da personaggi dei cartoons. Non è forse vero che Achille Lauro, per mostrare che lui poteva permettersi tutto, arrivò a ricevere Alfredo De Marsico, che gli portava un messaggio da Cascais di re Umberto, completamente nudo? E come dimenticare Remo Gaspari, che alla pensione Sabrina di Vasto dava udienza ai valvassori diccì abruzzesi sotto l’ombrellone, in maglietta a righe e berretto marinaro mentre i poveretti facevano la coda incravattati? Questo è il potere: consentirsi una maglietta con Titti il canarino. E Nania, a Messina, di potere ne ha avuto in questi anni davvero tanto. Arrivando a diventare il niveo (barbetta, zazzera, sopracciglia bianchissime) viceré nero di Sicilia. Così saldo nella sua postazione di comando, grazie a un rapporto strettissimo con Fini a Roma e a una rete di rapporti fittissima coi federali sul territorio, da togliersi ogni tanto, raccontano gli "amici", uno sfizio. Quello di circondarsi, lui che ha impressa pure nel cognome la condizione di brevilineo, di stangoni da due metri come il city manager Gianfranco Scoglio o il candidato sindaco Luigi Ragno. Così da cogliere appena può l’occasione per sfruttarne ridacchiando la metratura: "Scusa, mi prendi quel libro là in alto?". Figlio di un sarto di Barcellona Pozzo di Gotto, il paesone vicino a Milazzo dove sono nati anche l’arbitro Emilio Pellegrino e Francesca Chillemi ("Stiamo vivendo una settimana fantastica. Speriamo che l’onda del successo continui", spiegò il sindaco Candeloro Nania, cugino del nostro, quando il primo fu designato per Juve-Roma e la seconda fu eletta Miss Italia), "Mimmo" crebbe nel mito di "Peppa ’a cannunera", la popolana barcellonese che nell’insurrezione anti-borbonica di Catania del 1860 s’impadronì di un cannone e lo usò contro le truppe nemiche. Studente svogliato e attaccabrighe, "missinizzato" da Mario Alizzi, un neofascista assai acceso che oggi gli fa barba e capelli su Sicilia Occidente rinfacciandogli di aver premiato solo "sceccu di redina" (asini da briglia) e trasformato il partito in "una "madre" snaturata e pronta a offrire il ventre a chiunque e in ogni momento, in cambio della fornitura della droga del potere", arrivò a farsi mettere perfino in galera. "Erano i tempi delle botte con i comunisti – ha raccontato a Giancarlo Perna ”. Dopo una rissa, nel ’69, a 19 anni, ho fatto pure dieci giorni di carcere a Messina". Certo è che, issato al vertice del Fronte della Gioventù contro il moderatismo di Saverio D’Acquino, la prima cosa che fece, racconta un ex camerata che oggi fa il ristoratore, "fu di trovare un accordo con lui". Presa la laurea in legge e fatta un po’ di pratica, decise di lasciar perdere la toga e puntare sulla politica. Consigliere comunale, consigliere provinciale e infine, dopo essere stato trombato alle politiche dell’83 anche per il boicottaggio dei "duri e puri", deputato. Era il 1987. Un po’ di anni oscuri, piccole dichiarazioni all’Ansa, un posticino da sottosegretario nel Berlusconi I (dove esordì sostenendo l’urgenza di un "immediato condono edilizio") e rientro nel piccolo cabotaggio, fino alla svolta. Che arrivò nel ’97, quando, pur non avendo scritto un solo saggetto, sbocciò in Bicamerale come "il costituzionalista di An". Ruolo che gli sarebbe rimasto generosamente appiccicato a maggior ragione dopo la partecipazione al summit di Lorenzago dei piccoli padri della devolution. Apprezzato da alleati e avversari come un moderato, non se ne compiace troppo: "Rifiuto il moderatismo come valore, lo accetto come atteggiamento. Detesto gli urlatori di professione e i battutologi". Per non dire dei critici. Che abbondano almeno quanto gli estimatori. Soprattutto a Messina, dove la sua figura divide e spacca. Per gli avversari, come Nello Musumeci, "Mimmo" è un traffichino che "ha mutato pelle ad An buttando via l’antico rigore" per adottare i vecchi sistemi clientelari con il risultato che "An in Sicilia ha perso in pochi anni 214 mila voti, 6 consiglieri regionali e 27 sindaci su 35". Per Sicilia Occidente è un cittadino condannato per abusi edilizi nella villa con piscina coperta, un satrapo sordo alle emergenze del paese come le disastrose carenze del depuratore o la frana della strada costiera precipitata in mare e un tipo così cinico da accettare come assessore di destra a Barcellona un ex diessino che in consiglio comunale gli aveva addebitato "collusioni con ambienti mafiosi". Un’accusa velenosissima, nella cittadina dove fu ammazzato il cronista Beppe Alfano. Per gli amici, al contrario, è un politico intelligente, accorto, abile, che ha riportato la città sullo Stretto a pesare a Roma e ha difeso con ammirevole coerenza Giuseppe Buzzanca, defenestrato da sindaco per la marachella di essersi fatto portare a Bari in vacanza dall’auto blu. Che cosa ne pensino i messinesi, lo sapremo oggi. Gian Antonio Stella