Corriere della Sera 27/11/2005, pag.35 Armando Torno, 27 novembre 2005
Casti e Da Ponte: sfida all’ombra di Mozart. Corriere della Sera 27/11/2005. Giovan Battista Casti, vissuto tra il 1724 e il 1803, era uomo ricchissimo d’ingegno tanto che a sedici anni fu nominato professore d’eloquenza nel seminario di Montefiascone, dove più tardi prenderà l’abito
Casti e Da Ponte: sfida all’ombra di Mozart. Corriere della Sera 27/11/2005. Giovan Battista Casti, vissuto tra il 1724 e il 1803, era uomo ricchissimo d’ingegno tanto che a sedici anni fu nominato professore d’eloquenza nel seminario di Montefiascone, dove più tardi prenderà l’abito. Le storie della letteratura lo ricordano per il poema in sesta rima Gli animali parlanti, cominciato durante il soggiorno a Vienna e poi finito e pubblicato a Parigi nel 1802. Un insieme di favole legate a catena le une alle altre, un apologo colossale brulicante di cattiverie e di allusioni. Per la musica, invece, Casti fu soprattutto librettista di Salieri e Paisiello. Ma queste, come si suol dire, sono notizie per i programmi scolastici. Quello che invece non si trova nei libri su cui ancora suda la nostra gioventù sono le cattiverie, le vigliaccherie, le calunnie che seminò senza lesinare, il lavoro di spia, le donne che concupì a dozzine, i guai con la sifilide che lo tormentò per buona parte della vita (se la fece curare, senza grandi risultati, a Milano). Casti non era uno stinco di santo, anzi come il suo nemico, il poeta Lorenzo Da Ponte, si potrebbe definire senza circonlocuzioni un femminiere prestato all’arte. Certo, con eccellenti risultati. Pierluigi Panza utilizza lui, l’abate degli Animali parlanti, per raccontare quel che accadde alla corte di Vienna durante i giorni di Mozart. Lo fa con un romanzo intitolato Italiani all’opera, che esce da Skira. Per carità, è un romanzo (con illustrazioni d’epoca dei protagonisti) e non è un romanzo: lo si potrebbe definire un lungo memoriale del vecchio Casti in punto di morte, mentre stringe tra le mani una copia del suo poema nell’edizione londinese del 1803, ben più rara della prima di Parigi del 1802, curata dal nemico Da Ponte "con una spiegazione delle voci difficili o poco comuni", come si legge al frontespizio. Una frase che contiene tanto veleno quanto riuscì a raccoglierne l’antico rivale e che inflisse il colpo di grazia al malandato abate. Il racconto-memoriale è l’occasione per formulare delle ipotesi sulla natura di alcune opere liriche di Mozart, sulla scelta settecentesca delle cantanti (erano quasi sempre amanti del librettista o del compositore), sul comportamento artistico – un vero elenco di capricci – dell’imperatore Giuseppe II e anche su Salieri. Circa quest’ultimo, è il caso di precisare che non fu un assassino (come alcuni credono dopo il gradevole filmastro Amadeus di Milos Forman, ultima rielaborazione del microdramma di Puskin Mozart e Salieri), fu piuttosto un uomo profondamente devoto e buono. Panza lo riabilita facendolo entrare nella camera dove Wolfgang Amadeus stava consumando gli ultimi momenti e "di nascosto componeva per lui, ai piedi del letto di morte, la partitura di quel Requiem... ". Certo, gli riconosce qualche amante, ma sono più dei palpeggi da adolescente che non dei ruggenti e urlati assalti, e non si dimentica di fargli immergere la colpevole mano subito dopo nell’acquasantiera, aggiungendovi un bel segno di croce. Mozart no, è più libertino, più sboccato, anche se non pecoreccio negli approcci. Chiamato in queste pagine "il pianista" per il disprezzo dell’abate narratore, è tuttavia un genio sempre attento alle grazie delle cantanti, capace di creare note sublimi e di sussurrare oscenità con la medesima espressione. Casti, invece, è ritratto da Panza senza filtri: "... conobbi il sortilegio delle più sconce meretrici... Non si può descrivere quanto godevamo quando le si legava al legno delle navi nei porti, quando, di notte, contorcevano le loro gonfie mammelle e le facevamo urlare dal dolore. Ero sacerdote, sì; ma scaltro, scanzonato...". Le immagini richiamano il ritratto che gli dedicò Parini: "Un prete brutto, vecchio e puzzolente,/ dal mal moderno tutto quanto guasto/ e che, per bizzarria dell’accidente,/ dal nome del casato è detto casto". Insomma, un puttaniere che conosceva ogni bordello e ogni infezione d’Europa, con una penna satirica, puntuta, sempre pronta a trasformare Giuseppe II o Da Ponte o chi capitava in un animale per i suoi versi. La narrazione di Panza è basata su documenti storici e si concede solo piccoli margini di invenzione. Sovente riprende notizie dalle Memorie di Da Ponte, che sono brulicanti di bugie, ma sta al gioco. Così quando ricorda che quest’altro abate (anche lui...) fu cacciato da Venezia "per aver mangiato prosciutto il venerdì", utilizza la sua versione dei fatti. In realtà il libro fa capire che il motivo era altro. I magistrati della Serenissima non sopportavano più Da Ponte: faceva l’occhiolino alle ragazze durante la messa, per rimediare quattrini suonò in un bordello il violino vestito con l’abito talare e fu sorpreso a far gioire una signora in pieno giorno, dopo averla immobilizzata contro un muro di un campiello. Casti non era da meno. Se desiderate conoscere quest’ultimo, il libro di Panza vale una biografia. Vi troverete, tra nuvole di cipria e polli farciti al cioccolato, giochi erotici (chissà perché i librettisti a Vienna solevano tenere in casa due puttane, madre e figlia); né mancano notizie sulla messa in scena de Le nozze di Figaro (volute da Giuseppe II per schernire i nobili); né l’ipotetico avvelenamento finale del protagonista. E poi guerre ai turchi, arredi, sgambetti di corte, una nuova interpretazione degli Animali parlanti, poetastri ora dimenticati al lavoro, cenni sugli ultimi cannibali d’Europa (consumavano i loro pasti in Transilvania ancora in quell’epoca), moine di cantanti sempre in calore. Ma quel mondo, codeste femmine se le poteva permettere perché, al contrario del nostro, aveva la cultura per goderne e poi disperderne le conseguenze con grazia. Aveva Mozart. Noi non abbiamo né l’una né l’altro. Armando Torno