Corriere della Sera 26/11/2005, pag.13 Gian Antonio Stella, 26 novembre 2005
Il Ponte sullo Stretto? Fu promesso 130 anni fa. Corriere della Sera 26/11/2005. Messina. "Saluti dal ponte sullo Stretto!"
Il Ponte sullo Stretto? Fu promesso 130 anni fa. Corriere della Sera 26/11/2005. Messina. "Saluti dal ponte sullo Stretto!". Mezzo secolo prima che il Cavaliere promettesse come ieri che la costruzione dell’opera ciclopica "sarà un set cinematografico che da solo richiamerà importanti flussi turistici", c’era già chi mandava cartoline che davano il ponte per fatto. Con una immensa statua di Polifemo che reggeva cinematograficamente la campata centrale. Per non dire dell’annullo filatelico del 1953, dove le poste celebravano un ponte irresistibilmente simile a quello di oggi. Il fatto è che a Messina il rischio di una scettica risatina, a parlar del ponte come di una cosa scontata col "via a gennaio dei corsi di formazione per i giovani, soprattutto siciliani e calabresi, che dovranno prestare attività nella realizzazione", è sempre in agguato. Perché il collegamento di Scilla e Cariddi è un tormentone vecchio come il cucco. E se quella del ponte di zattere allestito da Pirro per portare in Calabria i suoi elefanti o quella del mantello di Francesco da Paola steso sulle acque per far passare a piedi il santo e due frati sono leggende, l’ingegner Carlo Navone sosteneva molto seriamente in un libro del 1870, l’anno di Porta Pia, come la costruzione di un tunnel sottomarino fosse un "miracolo" fattibilissimo. Aveva già pensato a tutto. Nero su bianco: un anno per preparare i cantieri, due metri di avanzamento dei lavori al giorno, "meno di quattro anni per ultimare l’opera" (altro che il Berlusca: tie’) e calcoli al centesimo: 10.576.450,88 lire. Macché: non fu fatto. Come non sarebbe stato realizzato, ottant’anni dopo, il progetto dell’americano David B. Steinmann al quale la Settimana Incom dedicò nel 1950 un titolone: "Forse la Sicilia non sarà più un’isola". L’ingegnere, che aveva già eretto 204 ponti, non aveva dubbi: la cosa era fattibile. Ci volevano 567.000 metri cubi di cemento, 46.400 tonnellate di cavi, 74.500 tonnellate di acciaio per i piloni e 60 milioni di dollari. Un affare. Spiegava entusiasta il settimanale che il progettista, a Portland, dopo aver fatto un preventivo per un ponte sul Willianette di 4.250.000 dollari, ne aveva restituiti allo stato 500 mila: "Li ho risparmiati. Riprendeteli". Immaginatevi il commento di certi politici locali: "Ma chistu ’cca è babbu!". Più ancora che lo scetticismo per i plastici via via accumulatisi nei decenni e via via tradotti in cartoline come quella del ’56 dove si spiegava che "il ponte progettato dall’ingegner Mario Palmieri sarà il più lungo del mondo" e che la meravigliosa opera dal costo di soli "100 miliardi di lire" avrebbe ospitato anche piste "per i motocicli e per i pedoni", pesa però sulla città l’immagine dei piloni nel vuoto del quartiere Giostra. Piloni altissimi, grossi, osceni. Che puntano dritti a bucare il cielo perché da anni sono interrotti i lavori dello svincolo autostradale ad alcune decine di metri da terra: le due carreggiate, già asfaltate ma ormai assaltate dalle erbacce, planano nel vuoto. Tema: ci si può fidare di uno Stato, una Regione e un Comune che promettono un lavoro colossale come il ponte sullo Stretto con tempi, obiettivi, scadenze certi se quello stesso Stato, quella stessa Regione, quello stesso Comune si dimenticano di due strade sopraelevate essenziali per il traffico cittadino che finiscono nel vuoto? Che non sono ancora riusciti a completare il raddoppio dei binari della Palermo- Messina che dall’inizio dei lavori si sono allungati di 4 chilometri, 17 metri e 14 centimetri l’anno? Che per bocca di Pietro Lunardi, come ha puntigliosamente ricordato il Sole 24 ore, ha promesso il completamento della Salerno-Reggio Calabria, per il 2005 e poi per il 2006 e poi per il 2009 "se si troveranno le risorse per i maxi-lotti mancanti"? Insomma: siamo sicuri che poi, fallita una ditta, annullato un appalto, sequestrato un cantiere dalla magistratura, cambiato un progettista, non si conficcheranno nel cielo anche i piloni del ponte? Il fatto è che a Messina, di lavori eterni, hanno qualche esperienza. Il Teatro Vittorio Emanuele, rimasto miracolosamente quasi intatto nel terremoto, rimase chiuso dal 1908 al 1987. Le casette di via Taormina, racconta lo storico Franz Riccobono, capolista di Alleanza Siciliana, "furono volute dal Duce, indignato per le baracche decenni prima di Prodi e Berlusconi, per una sistemazione provvisoria e sono ancora lì, abitate da una plebe disperata". La costruzione del palazzo della Cultura, ormai finalmente in fase di arrivo, è rimasta bloccata per anni. L’ex ospedale "Regina Margherita" sta progressivamente scivolando nel degrado perché non è ben chiaro cosa esattamente vogliono farne. Per non dire del Museo Nazionale. Deciso nel 1913, quando lo Stato espropriò tutte le opere (quadri, arte sacra, pezzi di grande antiquariato) raccolte dal sovrintendente Antonio Salinas tra le macerie del sisma e accatastate provvisoriamente nella ex-filanda Mellinghof, fu aperto infine, dopo una sistemazione provvisoria nella stessa filanda, nel 1929. Da allora, è ancora "provvisoriamente" lì. Tutti i progetti presentati decennio dopo decennio, a partire dagli anni Trenta, per costruire il nuovo museo si sono infatti arenati. Compreso quelli, negli anni Sessanta, di Enrico Caladra e Carlo Scarpa. Accantonati per varare un "appalto concorso" così da fare disegnare il progetto alle imprese costruttrici. Risultato: un bell’edificio moderno viziato da una serie di errori clamorosi (troppa luce, troppe infiltrazioni d’acqua, troppo caldo, troppo freddo) che impedivano ogni allestimento, polemiche roventi, inchieste giudiziarie. Finché (nuovi appalti, nuovi finanziamenti, nuovi rinvii) il nuovo progettista, il dirigente del museo Antonio Virgilio, non è stato costretto a risistemare gli interni. Un incubo. Dentro il quale, come ha scritto irata La Gazzetta del Sud, i volonterosi protagonisti della battaglia finale per aprire il museo "sono finiti col diventare ostaggi della più cavillosa delle burocrazie, quella della Regione Sicilia, che richiede perizie, aggiornamenti, correzioni, documenti su documenti, che eroga solo col contagocce". E allora? Lasciamo la risposta al giornale di Nino Calarco: "Il nuovo Museo? Forse per il Natale 2006". Forse. Novantatré anni dopo la decisione di aprirlo. Gian Antonio Stella