Corriere della Sera 22/11/2005, pag.40 Luca Canali, 22 novembre 2005
Cesare, un guerriero spietato ma incapace di ferocia in pace. Corriere della Sera 22/11/2005. Cesare ebbe in sommo grado le qualità che possono fare di un singolo uomo l’espressione sublimata di un’intera epoca e di tutta una civiltà
Cesare, un guerriero spietato ma incapace di ferocia in pace. Corriere della Sera 22/11/2005. Cesare ebbe in sommo grado le qualità che possono fare di un singolo uomo l’espressione sublimata di un’intera epoca e di tutta una civiltà. Era vanitoso, ambizioso, spietato in guerra? Senza dubbio, ma la sua vanità si limitava alla cura della propria persona. Fu la sua ambizione che lo portò a divenire dittatore perpetuo, e comunque ad aspirare al potere assoluto in tutti i campi, distruggendo la repubblica e gettando le basi del principato imperiale? Certo, ma tale ambizione coincise con il proposito di sostanziale ammodernamento dello Stato. Il primo secolo a.C. fu un mattatoio in continua funzione: la guerra sociale per reprimere l’aspirazione degli alleati italici alla cittadinanza romana; la guerra civile fra Mario e Silla, seguita da feroci proscrizioni; la rivolta di Spartaco a capo di un esercito di schiavi; la congiura di Catilina repressa nel sangue di cittadini romani contro cittadini romani; sintomo già di una rottura rivoluzionaria la costituzione del primo triumvirato di Cesare, Pompeo, Crasso, cioè un patto "per rifondare lo Stato". In tale quadro, Cesare, già con il suo primo consolato dà inizio al periodo rivoluzionario: divenuto proconsole due volte, conquista la Gallia, chiede il secondo consolato, che gli viene negato a meno che non si presenti a Roma dopo aver abbandonato il suo esercito. Pompeo, divenuto consul sine collega, cioè console unico, alla testa di un’altra cospicua parte dell’esercito si trasforma in campione dell’aristocrazia senatoria. Cesare accetta di venire a Roma lasciando il comando del suo esercito, a patto che Pompeo abbandoni anch’egli il proprio imperium. Il Senato non accetta. Cesare varca in armi il Rubicone, limes, cioè confine, del territorio propriamente romano. l’inizio della guerra civile conclusa a Farsàlo in Tessaglia con la sanguinosa disfatta di Pompeo. Poi ancora Cesare in Egitto, nel Ponto, in Africa (a Tapso), in Spagna (a Munda), sempre vittorioso contro i pompeiani superstiti. Padrone dello Stato, segue una linea politica "moderata" che non è qui il caso di documentare. Il suo potere si fonda sull’esercito, che lo adora, e sul consenso degli equites (la "borghesia"), il popolo, il proletariato contadino. Ma delude i debitori, rifiutando le tabulae novae (la cancellazione dei debiti). Ma un punto essenziale della "rivoluzione" cesariana è la rinunzia a instaurare un regime di "terrore" per l’eliminazione degli avversari politici e l’evocazione di un’atmosfera di collaborazione e di "clemenza". Un generale invincibile, un intellettuale illuminato, uno scrittore raffinato (nei Commentarii), spietato in guerra (questo sì: ma si può essere mansueti in guerra? Questo l’incubo della Storia), ma incapace di ferocia in pace, mentre feroce era stato Silla, e lo sarà il "buon" Augusto. Fu vera gloria? I posteri siamo noi. Dunque diamo la "sentenza" basandoci sui fatti e non sulla retorica e sui buoni sentimenti, come invece richiederebbe la morale, nemica giurata ma sempre purtroppo sconfitta dalla prassi politica e dalla Ragione di Stato. Il Principe di Machiavelli docet. Luca Canali