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 2005  novembre 20 Domenica calendario

Fare shopping con Mantegna. Il Sole 24 Ore 20/11/2005. Stavamo tutti nello stesso albergo, a Londra: i quadri dell’Olivetti e noi prestatori

Fare shopping con Mantegna. Il Sole 24 Ore 20/11/2005. Stavamo tutti nello stesso albergo, a Londra: i quadri dell’Olivetti e noi prestatori. Eravamo lì perché alla Royal Academy c’era la mostra di Mantegna: una mostra interamente pagata dalla società di Carlo De Benedetti. Qualche mese dopo sarebbe stata trasferita al Metropolitan, a New York. Era l’inizio di gennaio del 1992. Facevo il courier di opere d’arte in quel periodo: quindi ventri degli aeroporti e scorte armate, con tutte le incombenze, e le piacevolezze, del caso. Seguire le casse dappertutto ed essere seguito dappertutto dai poliziotti. Le motociclette che precedono, magari a sirene spiegate, il furgone, dove stai seduto accanto al Mantegna (o al Tiziano o al Correggio o al Boccioni...). Soste spesso impossibili, sveglie in piena notte per palettizzare le casse, richieste di extra-seat sui jet, arrivi al l’alba dopo ore di camion, attraversamenti di depositi, cene con i doganieri, musei visitati regolarmente dopo l’orario di chiusura, ma anche squadre di spedizionieri simpatici che ti riconoscono e con cui è possibile mantenere un rapporto - anche dopo, oltre la doccia e la sigaretta - parlando di opere d’arte, rigorosamente dal punto di vista della movimentazione; avevo da poco compiuto trent’anni. In occasioni del genere le persone responsabili non perdono di vista quanto a loro è stato affidato, perché si tratta di un lavoro: ma non mancano quelle che chiedono di "essere presenti solo all’apertura delle casse", quelle che "per regolamento non possono viaggiare insieme alle opere", quelle che scelgono le mostre a cui prestare in base alle località che non hanno mai visitato ("sei mai stata a Nara?"), quelle che stanno fisse in camera aspettando la diaria promessa dal comitato organizzatore, quelle che partono come si trattasse di viaggi premio e si lamentano costantemente degli alberghi e del mangiare, avendo portato con sé la famiglia, a ufo, magari in first class. E poi quelle per cui le opere d’arte del museo che dirigono valgono come dei biglietti aerei open per girare gratis intorno al mondo. C’è anche chi si sfoga con lo sponsor di turno perché ha "festeggiato il proprio anniversario di matrimonio in una camera senza bagno": era a Parigi, mi pare nell’88, per la mostra sui disegni di Michelangelo con cui si inauguravano le sale sotto la Pyramide. Tutto vero. Il dovere si trasforma in una gratifica, con il malcostume in agguato. Non mi ricordo come fosse l’albergo di Londra; mi ricordo bene la sera dell’arrivo, però, dopo avere depositato la cassa con il quadro di Mantegna nel caveau di Burlington House. Prima di andare a mangiare abbiamo aspettato a lungo, nella hall, il soprintendente di Mantova: eravamo in tanti, accompagnatori di nazioni diverse; c’erano anche Renzo Zorzi, Mauro Broggi e qualche inglese del mondo dei musei. C’era anche, seduto in poltrona, un signore con i capelli bianchi, evidentemente italiano, che non capiva chi fossimo. Era incuriosito però, forse aspettava qualcuno anche lui. Mauro me lo ha fatto notare, dicendo che, con quel volto segnato da un dolore traverso, gli sembrava un personaggio di Mantegna. Lui si è accorto che lo stavamo guardando e ci ha detto, in italiano, con un accento tra Bergamo e Brescia: "Non ci sono più in giro delle facce così, eh". ... E poi: "Siete qui per il Mantegna? Io mi ricordo quella del ’61, a Mantova. Si posteggiava in piazza". ... Intanto il soprintendente era finalmente arrivato, per quanto con un grande ritardo. Appena entrato ha dichiarato forte un po’ a tutti che non era mai stato a Londra in vita sua e perciò non aveva resistito, sceso dall’aereo, a chiedere al taxista di portarlo subito in Carnaby Street a vedere il negozio di Mary Quant: un mito della sua giovinezza. Sconcerto mio e soddisfazione degli altri, degli inglesi più eccentrici soprattutto: un alto funzionario delle Belle Arti italiane che non ha mai visto il British Museum o la National Gallery e corre a vedere un negozio di vestiti degli anni Sessanta. Gli è arrivata subito una valanga di inviti, a destra e a manca; le serate occupate da lì alla partenza. Anzi, se non ricordo male, io sono tornato a Mantova e lui è rimasto a Londra. La mattina dopo ero di nuovo a Burlington House a sistemare il quadro che accompagnavo, le due Sacre Famiglie dipinte da Mantegna vecchissimo per la sua cappella in Sant’Andrea. ... Verso mezzogiorno, quando il quadro di Sant’Andrea era già stato fissato sulla parete, potevo girare tranquillamente per la mostra. C’era anche Zorzi: gli sono andato vicino. Eravamo nella sala con le opere più antiche di Mantegna. Davanti al frammento di affresco con il serafino proveniente dalla Cappella Ovetari si è messo a raccontarmi dei bombardamenti del ’44, del comando tedesco installato alle spalle della chiesa degli Eremitani, di lui e degli altri studenti in mezzo alle rovine, di come sperava che il mondo sarebbe cambiato, anche attraverso una nuova architettura. ... Proprio in quel momento ho visto arrivare da lontano un gruppo di alte ministeriali romane, con i visoni lunghi fino ai piedi: era gennaio del resto. Come erano contente, avevano viaggiato per la prima volta su un aereo privato. Non volevano mancare all’inaugurazione del giorno dopo: ci sarebbe stata la regina, o Lady D..., e l’Ingegnere aveva insistito, di persona. Le conoscevo un po’ tutte: anzi una da lontano mi ha gridato "A more’". Era la stessa che un giorno a Roma, nel suo ufficio al San Michele, avevo visto in piedi sulla scrivania con una donnina sotto che le faceva l’orlo alla gonna. Avevo aperto la porta e la stavo per richiudere, quando lei mi ha detto: "Entri, entri pure, dottore, tanto è una mia sottoposta". Io frasi così non le dimentico, mi divertono anche adesso. Giovanni Agosti