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 2005  novembre 29 Martedì calendario

In alcune vite, un incidente è l’unico fatto riconoscibile (e ineluttabile), Accattone, febbraio 2003 Non è solo per fretta che attraversiamo i binari delle stazioni piccole, quelle che non iniziano e non finiscono, che si innestano su un tratto di ferrovia e lo battezzano con qualche nome buffo di provincia

In alcune vite, un incidente è l’unico fatto riconoscibile (e ineluttabile), Accattone, febbraio 2003 Non è solo per fretta che attraversiamo i binari delle stazioni piccole, quelle che non iniziano e non finiscono, che si innestano su un tratto di ferrovia e lo battezzano con qualche nome buffo di provincia. Cisterna di Latina. O per spavalderia. che di fronte a quei casotti bianchi, le due panchine, la staccionata coi sette cipressi, ci sentiamo al sicuro. Sono come case di bambole quelle stazioni lì. Miniature innocenti che abbiamo costruito per giocare alla fuga, al viaggio, alla grande occasione. Innocue. Non ci sono fughe di gas nell’appartamento di Barbie, o phon accesi che finiscono nella vasca da bagno. Non può succedere niente, pensiamo quando ci ritroviamo in piedi davanti allo spacco dove scorrono le rotaie, e ci rompe i coglioni sapere che da queste parti l’imprevisto non esiste, altro che come atto della nostra volontà ingenuamente camuffato. E intanto buttiamo la cicca su un foglio di carta, là, tra i binari, che magari prende fuoco. O ci spostiamo all’ultimo per sentire il risucchio dell’aria quando passa il treno che non si ferma. Su un percorso rettilineo che riusciamo a seguire fin dove si perde un treno, per quanto veloce, non ci potrà mai fottere, non è un lampo che può stare in agguato dietro la nostra distrazione, tra un battito e l’altro delle palpebre. Basta guardare, prima di allungare il passo. Fiorella Gloria, di 50 anni, e sua figlia Loredana, di 20, sono morte travolte da un treno alla stazione di Cisterna di Latina. Madre e figlia vivevano in grande povertà, qualche pulizia nelle case e un po’ di volantinaggio di tanto in tanto. Loredana, poi, era rimasta incinta e il padre del bimbo, un albanese, l’aveva abbandonata non appena saputo della gravidanza. Da qualche tempo avevano anche perso la casa di Aprilia, dove risiedevano abitualmente, avevano dormito in un sottoscala per alcuni mesi e nelle ultime due settimane erano ospiti del centro di accoglienza ”I Girasoli” della Caritas. Di loro si occupavano i servizi sociali del Comune di Aprilia. Hanno detto che si erano suicidate, poi che è stato un incidente. Un incidente sarebbe una frattura, un segmento di tempo che si afferma violentemente e spezza l’andatura esercitata per anni. Uno strappo tra i cui lembi cadiamo senza possibilità di opporci. Una extrasistole. Può avere conseguenze, e stabilire le nuove leggi nella nostra esistenza, oppure sfilarsi dallo stesso buco da cui era entrato lasciando che tutto torni di colpo com’era prima del suo manifestarsi. In un tempo veloce, che continuamente cancella le impronte dietro di sé come in un’eterna tempesta di sabbia, l’incidente, mi pare, si impone come un accadere ineludibile e inconfondibile. Forse l’unico che possa essere riconosciuto con chiarezza. E l’incidente stradale, anche per la consuetudine nelle nostre vite, è il più esplicito in questo senso. Quell’istante nel quale tutto, senza possibilità di smentita, si ferma. Una nicchia quasi confortevole, antidoto, paradossale della velocità. Così nel libro di Ballard e poi nel film di Cronenberg, Crash. lì infatti, tra le lamiere fumanti, dove finalmente qualcosa si incontra, che uomini e donne feriti e amputati tornano ogni volta a cercare la concentrazione necessaria al piacere sessuale. Ma con lo stesso termine indichiamo altre ferite, altri scontri. A Genova, si è detto, durante il G8 si sono verificati degli incidenti. E nessuno intendeva riferirsi a interruzioni traumatiche che avessero cambiato il naturale corso di qualcosa. Come quando i tifosi si accoltellano allo stadio - cioè provocano incidenti - non è pensabile immaginare che si portino coltelli o armi per un scopo diverso da quello di usarle, così a Genova i poliziotti con le pistole col colpo in canna sparando e uccidendo hanno compiuto un destino coerente all’oggetto. Un incidente, in questo caso, non è un accadimento imprevedibile ma una forzatura di senso, una sfida a cercare il punto di rottura di una tensione. Anche mettere incinta una donna per sbaglio prende il nome di incidente. E anche qui la definizione fa riferimento alla deviazione di pochi centimetri della traiettoria di qualcosa. Qualcosa la cui messa in moto non è stata affatto casuale, proprio come il proiettile di Genova. A questo tipo di incidente, irreversibile, si possono opporre vari rimedi. Uno di questi consiste nell’allontanarsi e dimenticare, così da cancellare le conseguenze almeno in una delle due persone coinvolte. Nell’altra no, per niente, come dimostra il feto di quattro mesi che è stato ritrovato vicino a un gomito o a una rotula di Loredana. Il quale, fino a un istante prima dell’arrivo del treno, se ne stava più tradizionalmente rannicchiato, cullato dalle tiepide acque uterine. Lo schizzo del proprio seme è diverso dall’Intercity Roma-Siracusa che arriva come un razzo su un binario male illuminato in una stazione deserta. Ma le conseguenze sono il risultato di una distrazione simile. Un uomo pensa al piacere, chiude gli occhi, si lascia andare e in un istante trasforma il corpo dentro il quale sta godendo in una madre. Una donna giorno dopo giorno affina la sua capacità di dimenticare, di sottrarsi, di non vedere, fino a allungare un passo verso un binario sul quale sta sfrecciando un treno. La parola incidente ci riguarda forse più di qualsiasi altra i nostri anni abbiano adorato e poi ripudiato. Perché è il rovescio della nostra più grande illusione: il progetto. La demente certezza che il destino possa essere forgiato a colpi di qualcosa che non sia il quotidiano inciampare. Mi pare che in una vita ”santa”, sciolta come dovrebbe nell’andare di tutte le cose, l’incidente non sarebbe che l’ennesimo naturale sbatacchiare. Né più né meno volontario di pubblicare un romanzo o farsi scopare da un uomo senza preservativo. Quando un cane attraversa la strada, teniamo tutti il fiato sospeso. Il suo trotterellare non tiene conto delle macchine che sfrecciano, ma della fame, o del sonno, o forse soltanto di qualcosa di fascinosamente puzzolente che sta dall’altra parte. Di ogni morte si può dire: è stato un incidente. O di nessuna. Elena Stancanelli