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 2005  novembre 28 Lunedì calendario

Roberts GregoryDavid

• (Gregory John Peter Smith) Melbourne (Australia) giugno 1952. Scrittore • «Certe vite non ce la fai a farle brevi nemmeno se le accoppi. O se fai il riassunto tra Salgari e Rimbaud. Gregory David Roberts [...] viene da una antica famiglia di Melbourne. Ottimo studente, manifesta contro il Vietnam e per gli aborigeni, nel ’76 è l´astro nascente dell’università di filosofia. A 18 anni si sposa, il matrimonio va male, lei va via, lui resta con la figlia di 18 mesi. La moglie torna, ha l’affido della bimba, lui collassa. Cade in depressione, un amico lo vede giù e gli dice prova questa: siringa, eroina. A lui piace, ma i soldi finiscono. Vuole disintossicarsi, gli dicono di mettersi in fila, c’è da aspettare tre mesi. Allora si dà alle rapine: comincia con un cinema che prende fuoco, lui prima aiuta la gente a salvarsi, poi con una pistola giocattolo passa dalla cassiera. “Non dimenticherò mai i suoi occhi”. La seconda rapina ha meno spettatori e più incasso: 10.621 dollari, due anni di stipendi della ditta. Banche, cinema, negozi. Diventa famoso per il suo stile educato, giacca e cravatta, bella voce, parole che non minacciano: “Salve signore, sono sempre io”. Lo chiamano Il Bandito Gentiluomo. La polizia lo prende il 22 febbraio 1978, è il suo spacciatore a tradirlo. È così messo male, che il dottore gli ordina il metadone prima dell’interrogatorio. Lui ammette: 8 raid a grandi società e 16 furti minori incluso uno allo spaccio di polli “Cicken Inn” che gli vale il soprannome di ladro di polli. Un giudice gli consiglia di dichiararsi non colpevole, ma lui con innocenza rifiuta. Gli danno 23 anni, poi ridotti in appello. Nell’80 scappa dalla prigione di massima sicurezza di Pentridge, calandosi dal muro centrale, e per dieci anni diventa il ricercato numero uno australiano. “Most wanted”. Fugge in Nuova Zelanda, in India dove apre un ospedale per poveri, entra nella mafia di Bombay, lavora a Bollywood, commercia in armi in favore dei mujaheddin in Afghanistan, dove combatte, viene ferito e trasportato in Pakistan, scappa in Germania dove suona in un complesso rock. Lo fermano a un controllo passaporti mentre vola a Zurigo, la grande fuga è finita dopo 9 anni e 10 mesi. È il 31 marzo ’90. Viene estradato in Australia e rilasciato nel ’97. Scrive Shantaram, senza dimenticare nulla, più di millecento pagine. È subito successo [...] “In prigione serve avere disciplina, per combattere la noia. Ho fatto karatè e pugilato dentro, e anche palestra. Se c’era da svegliarsi alle sette io alle sei era già pronto. L’arte aiuta, comunque. Ho visto soldati andare in guerra e seppellire i loro strumenti musicali, poi di notte battersi le mani contro il petto per cercare un suono, un ritmo. Ma in prigione la cultura non aiuta, meglio nasconderla, come sotto Pol Pot” [...] Come si scrive in isolamento? “Male. Senza carta e penna, memorizzando le frasi, 300 parole in testa, ripetendo una riga alla volta, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana. Se riesci a scrivere è peggio, ho perso 600 pagine e sei anni di lavoro per colpa di un sorvegliante che ha buttato il mio manoscritto nel cesso. Per questo mi è rimasta la paura di perdere il lavoro, ora al computer salvo e ricopio [...] In una cella indiana, a faccia in giù, affogavo nel mio stesso sangue, credevo di morire dal dolore, però la mia testa diceva: Greg, se ne esci vivo, questa è una storia favolosa, un ottimo materiale [...] io non sono un criminale, né un illetterato. Sono stato un leader politico degli anni Settanta, ero il Che Guevara di Melbourne, ho guidato le proteste in prima fila, ho messo in scena King Lear. Non sono un furfante prestato alla letteratura, caso mai l’opposto, non mi vanto delle mie risse. Quasi sempre in prigione finiscono i poveri, i non amati, i disgraziati, gli analfabeti, i deprivati. Non quelli come me, con una madre affettuosa. [...] mi sento l’anti-Hemigway, amo molto Lawrence Durrell, non sopporto molta letteratura inglese, così perfetta e cadaverica” [...] Dove vive ora? “A Bombay. Dove ho aperto un piccolo ospedale e una scuola. Basta poco lì: una stanza asciutta, che ripari dalla pioggia dei monsoni e tenga lontani serpenti e scorpioni, un piccolo barbiere, con una poltrona sola, due negozi che riparano biciclette dove lavorano 12 persone, un altro che mette a posto e vende motociclette. Il tutto con un sistema di microcredito. [...] Shantaram è solo una parte della mia vita. [...]”» (Emanuela Audisio, “la Repubblica” 26/11/2005).