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 2005  novembre 26 Sabato calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 28 NOVEMBRE 2005

Deborah Rizzato ha 24 anni. Figlia di un commerciante, vive con i genitori e la sorella un anno più piccola a Cossato, nel biellese, in quella terra dove centinaia di ipermercati, mobilifici e lanifici si chiamano «outlet», «megastore», «factory». Bionda, occhi chiari, naso a patata, dal settembre del 2004 fa l’operaia alla Tin-Fin di Fila di Traviano (trenta chilometri da casa), addetta al controllo tessuti. Sono le sette di martedì mattina e, nonostante una fitta nevicata, è puntuale come sempre davanti alla fabbrica («non tardava mai un minuto», racconteranno le colleghe). Scesa dalla Peugeot 205 amaranto, ha il tempo per fare solo pochi passi, poi viene investita da una vecchia Lancia Dedra. L’autista della macchina scende e la prende a coltellate (due al petto, cinque alla schiena), forse lei tenta una fuga, forse non ne ha la forza né il tempo, non si sa perché non ci sono testimoni e nessuno ha sentito niente, fatto sta che tre quarti d’ora dopo due colleghi la trovano lì, già morta e coperta di neve. Vedendo la Dedra ammaccata, pensano a un pirata della strada, poi chiamano i carabinieri. [1]

Ci vuole poco per scoprire che la Dedra appartiene a un tizio di Pont-St.-Martin, porte della Valle d’Aosta, che il giorno prima l’ha venduta a un Emiliano Santangelo di 32 anni che aveva voluto fare le cose in tutta fretta («non ho tempo per il passaggio di proprietà»). [2] Faccia a pianta larga, il collo massiccio da wrestler, i capelli a spazzola, un che di ottuso nell’espressione del volto [3], Santangelo è un un bullo mitomane, un bugiardo pieno di sé affamato di notorietà: «un minchione» insomma, per dirla con uno degli psichiatri che si è occupato di lui. [4] Originario di Catania [5], vive a Carema, provincia di Torino al confine tra Piemonte e Val d’Aosta, vicino alla mamma e alla sorella. Poca voglia di lavorare, per darsi un tono ha appeso sulla porta di casa una targa di bronzo da avvocato. [6] Negli anni l’hanno denunciato per truffa, induzione alla prostituzione, violenze e molestie sessuali. Una volta rubò un lampeggiante, lo dipinse di blu e fingendosi poliziotto prima prese a sequestrare le pistole giocattolo dei bimbi, poi a fermare le ragazze con la scusa di controllare i documenti. Nel ’95 fu accusato di violenza carnale alla figlia quindicenne del medico di un paese dell’hinterland biellese, portata in albergo e filmata. Anche Deborah l’aveva denunciato per molestie, contribuendo a farlo finire in galera per tre anni e due mesi. [7]

Con Deborah, all’epoca non ancora quattordicenne, Santangelo aveva cercato in tutti i modi di avere rapporti sessuali. «Era consenziente», aveva giurato al processo, ma per la legge un minorenne è sempre un minorenne, consenso o meno. Racconta una delle fidanzatine dell’assassino, adesso «donna felice e madre»: «Non mi ha obbligata. Ci sono stata, d’accordo. Però era diverso, era gentile. Io ero una bambina. Io ero molto amica di Deborah e credo che di lei, a differenza di altre storie, si sia innamorato davvero». [8] Un’altra vittima: «L’ho conosciuto nella discoteca Cinecittà. Veniva ad aspettarmi all’uscita da scuola. Ha cercato subito di avere rapporti sessuali, ma senza usare la forza. Mi ha assogettata, erano momenti di incomprensione con i miei genitori e ne ha approfittato. In 7/8 occasioni ci siamo recati al Piazzo e c’erano persone che spiavano durante l’atto d’amore. Una volta è sceso e, tornando, mi ha riferito che uno era disponibile a pagare 50 mila lire pur di guardarci». Un’altra: «Mi ha fatta spogliare e mi ha fotografata. Sapevo di altre. Ero in stato confusionale. Ho acconsentito. Mi ha anche parlato di foto a Deborah Rizzato, che aveva 13 anni e di gente che li aveva guardati fare l’amore». [9]

Raccontò Deborah ai tempi del processo (2001): «Io mi sono lasciata prendere dal sentimento e credevo che fosse una persona seria. Anche se poi ho avuto dei dubbi, perché parlando con una mia amica di Ivrea seppi che era il suo ragazzo. Emiliano mi chiedeva con insistenza di fare l’amore con lui, ma mi sono rifiutata. Poi lui mi chiedeva di fare altre cose, ma io mi trovavo in contrasto perché non volevo farle, ma avevo anche paura che non facendole lui si sarebbe arrabbiato... [...] Lui però con prepotenza, anche se non con violenza, mi costringeva a fare quello che voleva. Ritengo che all’epoca dei fatti che sto citando, non avessi ancora compiuto 14 anni. Io intendevo la relazione con lui in modo serio. Ricordo che un giorno, mentre andavamo in macchina, lui prese una strada secondaria di ghiaia. Si fermò e mi chiese se avessi mai fatto l’amore. Io risposi di no e che volevo farlo con una persona quando fossi sicura dei sentimenti che provavo. Emiliano mi chiese con insistenza di toccarlo nelle parti intime. Io non volevo farlo, lui insisteva, dicendo che non c’era nulla di male e che tutte lo facevano. Insisteva ancora e, per lo stato d’animo che ho detto prima, alla fine mi tirò giù i pantaloni. Ci toccammo l’un l’altro. E lui tentò di avere un rapporto completo. Non accadde nulla». [10]

Santangelo era uscito di prigione nel 2003. E da allora si era accanito contro Deborah. Ma non solo contro di lei. Lo scorso marzo era stato denunciato dalla prima vittima, a Biella pende un processo per le molestie a un’ex fidanzata e alla di lei madre. Martedì notte dopo il delitto i carabinieri avevano dovuto sorvegliare le case di tre ragazze. Un responsabile della questura: «Sì, Deborah era venuta tante volte da noi e aveva presentato varie denunce. Sono ancora tutte qui. Lei si fidava di noi, perché nel 1995 avevamo subito beccato quel tipo. Naturalmente trasmettevamo tutto alla magistratura, sempre. Ma la legge parla chiaro: quelle denunce erano per molestie, ingiurie, minacce, reati che non prevedono l’arresto o altre misure particolari per l’imputato. Per il codice, avevamo le mani legate: noi e i giudici. Abbiamo fatto tutto ciò che era legalmente possibile». [4]

Adesso si parla di sette sataniche. Nell’abitazione di Santangelo gli investigatori hanno trovato un libro e una videocassetta intitolati Le sette di Satana. Cronache dall’Inferno, un’accetta, un registratore, alcune minicassette. L’assassino avrebbe inviato alla vittima bigliettini con croci rovesciate e il numero del Diavolo (666). S’indaga anche su che fine abbiano fatto le cassette pornografiche con le ragazze riprese in compagnia di Emiliano. [8] Daniele Pasquarelli: «Le ha vendute? Le hanno addirittura commissionate? Esiste un mercato che dura da prima di questa inchiesta e continua da dopo l’inchiesta? Se è vero, come risulta dalle sentenze precedenti, che il gentile Emiliano riscuoteva una sorta di biglietto dai guardoni della zona, ci può essere un legame tra le cassette e i ”Diletti di Satana”?». [11]

Santangelo prende una pensione di 150 euro al mese, la madre gli dava 20 euro alla volta. Pasquarelli: «Però, stava nelle discoteche, lì avvicinava le ragazze. Lì era qualcuno. Lì affascinava. E i soldi?». [11] L’hanno catturato mercoledì in via Ferri, Val Polcevera, delegazione genovese di Rivarolo. Ha fatto inversione a U in un tratto a striscia continua, un ragazzo in scooter ha dovuto inchiodare per evitarlo, il rumore della frenata ha attirato l’attenzione del vigile Stefano Ghiggi che si è lanciato all’inseguimento della Peugeot di Deborah, con cui l’assassino si era dato alla fuga. Santangelo ha fatto finta di fermarsi, poi è ripartito di scatto, ma percorsi pochi metri, arrivato sul ponte di via Perlasca, è finito contromano e si è schiantato contro una Panda che a sua volta è rimbalzata su un’Alfa 156 (tre feriti lievi). [12] Neirotti: «’Casuale” è definito il viaggio a Genova per ”suicidarsi”. Ma si dà il caso che un confidente martedì stesso abbia detto: ”Andate a Genova”. ”Vediamo se ci azzecchi”, fu la risposta. Ci aveva azzeccato. E il confidente è uno che ammette di avere confidenza anche con Satana». [8]

Ai vigili che l’hanno arrestato il «minchione» ha detto che era «il cugino della Franzoni», poi s’è spacciato per un kamikaze («ho delle bombe in macchina: saltiamo tutti in aria...»), infine che si voleva ammazzare («volevo buttarmi da un viadotto»). Pensavano fosse un matto, sull’ambulanza ha tentato più volte la fuga, all’ospedale l’hanno ammanettato al letto per i piedi e per le mani. [13] Agli avvocati ha confidato di non ricordare nulla: «Se è vero che l’ho fatto, anche se non credo di essere capace di fare una cosa simile, chiedo scusa ai familiari della ragazza, alla ragazza e a mia madre». [14] Poi, incurante delle manette ai polsi e del sangue sui jeans, ha sorriso alle telecamere. [12]

Deborah era stata lasciata sola? La sorella Simona: «Le uniche divise che abbiamo mai visto davanti alla nostra porta non erano qui di guardia: erano quelle di chi veniva a portarci le copie delle convocazioni in tribunale». [4] E poi: «Qualche nostro amico le faceva da guardia del corpo. Ma gli altri? I medici, i magistrati? Quante denunce. Solo domenica notte avevamo ricevuto le ultime telefonate di quell’uomo. E il giorno dell’omicidio l’ultima lettera: ”Alla signorina Deborah Rizzato...”. Forse l’ha messa lui nella cassetta. Le telefonate le abbiamo registrate. E quelle lettere? Anche sulla carta di uno studio legale, ma firmate da lui. E sms sul cellulare di Deborah. ”Io ti ammazzo, a te a tua madre”; ”ti inseguo, ti faccio sparire la macchina”; ”non presentarti con tua madre al processo, vi riderò in faccia”. Deborah diceva: smetterà. Ma era disperata. Abbiamo copiato e portato ogni parola alla polizia, per anni: niente. All’ultimo processo, in agosto, Deborah esce dal tribunale e trova la macchina rigata, le ruote a terra». [15]

Deborah ha scontato più di dieci anni in un’anomala prigione. Marco Neirotti: «Quella della paura. della non libertà di muoversi, dell’incertezza, del ricordo, della difficoltà di dire, della solitudine. morta sola nonostante i genitori così vicini, il fidanzato così accorto, la sorella così amica». [16] Luciano Gulli: «Andava a far spese? Ecco la macchina del cinghiale parcheggiata poco lontana dalla sua. Al cinema? Lui era lì. A passeggio col suo nuovo fidanzato, Marco? Il ghigno di Emiliano, gli occhi colmi di odio, spuntavano all’improvviso dietro un palo della luce, come nei film dell’orrore». [3] «Perché non l’ha uccisa subito? Godeva nel farla soffrire lentamente, giorno dopo giorno», ha detto un’altra delle ragazze molestate da Santangelo. [8] Elisabetta Colombo: «Devono essere stati 10 anni d’infermo quelli di Deborah [...] Dieci anni in cui ogni sera si sarà chiesta: ”Che ho fatto di male per meritarmi questo?” Come fa chi subisce una malattia. Ma una malattia è un destino crudele che colpisce quando meno te l’aspetti, che ci rende tutti allo stesso modo vulnerabili, che ci accomuna nella casualità. L’appuntamento con Emiliano Santangelo, invece, non era il destino che può toccare tutti, era semmai il suo destino, ma era un destino annunciato». [17]

Si poteva fare qualcosa per evitarlo? Colombo: «Se hai mandato in galera qualcuno perché è un delinquente, se quel qualcuno giura vendetta, se quel qualcuno esce di galera e ti perseguita di giorno e di notte, allora forse c’è il ragionevole dubbio che, prima o poi, qualcosa di tragico possa accadere. Anche l’irreparabile. Perché nessuno ha fermato quell’uomo? colpa della legge o di chi la applica? E se anche la legge avesse le maglie troppo larghe, non era possibile trovare il modo di difendere questa ragazza?». [17] Michele Serra: «Non mi sento un forcaiolo, anzi. Ma vedere sui giornali la faccia ridente e gongolante del bullo che ha ucciso a coltellate una ragazza di Biella dopo averla molestata, braccata, perseguitata per dieci anni (dieci anni!), senza che nessuno fosse in grado di fermarlo, mi sconvolge. La patologia di questo maschio ripugnante e impunito (sottomettere le donne a qualunque costo) è molto più frequente di quanto si immagini. Persecuzioni telefoniche, pedinamenti, torture psicologiche e violenze fisiche fondate sul principio ”tu sei mia, perché l’ho deciso io” sono all’ordine del giorno. A volte sfociano nel delitto, altre volte ”solo” nel sopruso insopportabile della minaccia quotidiana». [18]

Nel marzo 1999, ad Airasca, poco sotto Pinerolo, provincia di Torino, una donna di 21 anni, madre di un bambino di tre, fu trovata ammazzata con trenta coltellate. Tra le sue cose c’era un testamento: «A mio marito lascio tutto il mio odio, la solitudine di mio figlio e la disperazione dei miei genitori». L’aveva scritto cinque mesi prima del fatto: «Sappiate che se succede qualcosa lui sarà lì». [16] Stefania Miretti: «Rita pensava d’averla sfangata: suo marito Paolo aveva sbagliato la mira, dopotutto non è facile far fuori qualcuno col coltello, ed era stato arrestato; peccato che la pena, arresti domiciliari, gliel’abbiano fatta scontare a casa di mammà, a pochi metri dall’appartamento di Rita, così quando un anno e mezzo dopo ha deciso di riprovarci - cambiando tecnica, con lo strangolamento - ha fatto presto. Marina invece se n’è andata con due stilettate ben assestate al cuore, dopo mesi di pedinamenti e minacce. Perché il suo assassino era così arrabbiato? ”Cercava in tutti i modi di riprendere la relazione”, ovvio. Marina, accompagnata dal papà, era andata anche alla polizia, ma quando le era stato chiesto se intendesse sporgere denuncia (un semplice esposto non basta per intervenire) contro il suo innamorato, lei non se l’era sentita, e d’altronde nessuno aveva insistito». [18]

Chissà quante Deborah ci sono in giro per l’Italia. Colombo: «Quante persone che, per motivi diversi, sono ossessionate da un ex o da una ex, da un rivale in amore o nel lavoro, da un vicino di casa, da un parente, da un collega o da un maniaco. Forse non tutte queste persone sono in pericolo di vita come Deborah, ma la cronaca ci dice, statistica alla mano, che qualcuno di loro sta rischiando la vita». [17] Miretti: «Per le donne in età compresa tra 16 e 44 anni ci sono oggi più probabilità di morire perché picchiate-sparate-accoltellate-strangolate dal partner che d’incidente stradale o cancro al seno». [19]