varie, 24 novembre 2005
AMADEI2
AMADEI Aureliano Roma 1975. Regista. «[...] trentenne, romano, no global, con l’orecchino al lobo sinistro, che pensava soltanto al cinema e alle ragazze [...] finito a strisciare nel cortile di una caserma di Nassiriya, tra jeep incendiate, carabinieri uccisi, urla, fumo, lamenti, sangue. Tanto sangue. Aureliano era lì, in Iraq, il 12 novembre 2003, puntuale all’appuntamento con un camion-bomba, perché doveva girare un film. [...] ne è venuto fuori un libro, Venti sigarette a Nassiriya (Einaudi), scritto a quatto mani con Francesco Trento [...] Aureliano era lì. Ha visto l’autocisterna piombare sulla caserma. Ha sentito i colpi di mitragliatrice che hanno preceduto l’esplosione. scappato via come un disperato. volato per aria. Si è salvato, anche se nel corpo portava trenta schegge metalliche, un piede quasi spappolato, ferite da tutte le parti. E ora può raccontarlo. Ma i panni del testimone indipendente, dell’irregolare, del civile tra militari, dell’eroe di guerra tra i pacifisti e del pacifista tra i generali, ha scoperto presto che sono scomodi. Non è affatto facile, e il libro lo racconta con plateale onestà, ad esempio, spiegare agli amici no global che pensavano e pensano Quelli-se-la-sono-cercata, quanto fossero belle figure il tenente Massimo Ficuciello o il maresciallo Silvio Olla - che sono entrambi morti nell’attentato. Un certo Filippo ”vecchio amico dell’epoca punk” lo va a trovare in ospedale e subito parte con una tiritera contro i militari ”che sono andati a occupare un Paese al seguito degli americani”. E lui a dirgli, no, guarda, aspetta, non è proprio così. Ma intanto Filippo incalza. Aureliano scuote la testa. Alla fine finge di essere troppo stanco: ”Non è vigliaccheria, ma davvero non ho le forze per affrontare questa discussione. Forse non ho le forze nemmeno per affrontarla con me stesso”. La storia della strage di Nassiriya, insomma, raccontata con gli occhi del giovane aspirante regista, è una tipica vicenda di errori, improvvisazione, eroismi, stellone, italiani brava gente. ”Io - dice - provo il massimo rispetto per le vittime. Ero a Nassiriya da un giorno appena. Come dice il titolo, giusto il tempo di fumarsi venti sigarette. Epperò ho fatto in tempo a conoscere delle persone. Chiariamo subito: antieroe sono io, che ero l’unico civile là in mezzo, e rifiuta tutta la retorica italica dell’eroismo. Loro, secondo me, sono dei non-eroi. Vittime del dovere. Gente che ce l’hanno mandata e cercava di fare al meglio il proprio lavoro. Brave persone [...] Voleva fare l’attore, ora ha un piede che non funziona e non funzionerà più. ”Ma a altri è andata peggio. Non mi lamento”. Ha avviato una causa per vedere qualche soldo dalla produzione cinematografica che s’è prontamente dileguata. Il suo carattere s’è indurito. Certe pagine, a proposito di qualche ”miles gloriosus” o di qualche generale, o di qualche ministro, sono terribili. ”Non sono disposto a vedere strumentalizzazioni sulla mia pelle”. Sulla guerra in Iraq non ha cambiato idea. Ha forse mutato opinione sui militari. ”Ho scoperto che c’è un qui e un lì. Qui è Roma, ovvero la politica, le trasmissioni tv, l’enfasi, la propaganda, le strumentalizzazioni. Uno schifo. Lì è Nassiriya: gente che rischia il culo, che s’impegna, che viene ingannata quando gli dicono che non c’è pericolo, che cerca di farsi sentire e nessuno l’ascolta. Ragazzi”. Ragazzi (in divisa) come lui, che invece la divisa aveva voluto evitarla a tutti i costi. L’unico eroe positivo di tutta la storia, alla fine, è il tenente Massimo Ficuciello, figlio di uno dei massimi generali del nostro esercito, che era a Nassirya da riservista. Si conoscono, si stanno simpatici, hanno studiato entrambi a Londra, si danno subito del tu. Quando parla di Massimo Ficuciello, ad Aureliano Amadei si inumidiscono gli occhi» (Francesco Grignetti, ”La Stampa” 24/11/2005).