Libero 17/11/2005, pag.25 Martino Cervo , 17 novembre 2005
La lunga marcia di un sadico. Libero 17/11/2005. «Oggi, il ritratto di Mao domina Piazza Tiananmen
La lunga marcia di un sadico. Libero 17/11/2005. «Oggi, il ritratto di Mao domina Piazza Tiananmen. L’attuale regime comunista si dichiara erede di Mao e ne perpetra fieramente il mito». Le poche parole che chiudono ”Mao - The Unknown History” di Jung Chang e Jon Halliday sono il marchio di un’opera destinata a travolgere decenni di interpretazioni ”benevole” del dittatore cinese, tanto che il testo è stato proibito dalle autorità di Pechino. Nato nella provincia di Shaoshan da una famiglia contadina il 26 dicembre 1893, Mao si avvicina al marxismo a 24 anni ed elabora questi principi morali: «Le persone come me hanno solo un dovere nei confronti di se stessi: non ho responsabilità verso nessuno». A scuola Mao «non mostra particolari doti di leadership», annota un docente. Non è un ideologo: quando - pilotato da Mosca - nasce il partito comunista cinese, non è tra i fondatori. Viene anzi espulso dal Comitato centrale per indisciplina e deviazionismo. Resta nel partito, distinguendosi per la violenza nei regolamenti di conti. « necessario portare il regno del terrore in ogni regione», spiega ai suoi. Nel ’27 Mao comprende che l’unica via al potere è l’esercito. Dirotta sotto il suo comando una frangia di militanti armati. Si impossessa di una contea e impone purghe, torture, massacri. Gode della sofferenza altrui: «Faccio agli altri esattamente ciò che non vorrei mai venisse fatto a me», è il suo ribaltamento della pratica evangelica. Nelle grazie di Mosca. Odiato dal partito, entra nelle grazie di Mosca, che ha bisogno di un servitore spietato. Nel ’31 il leader nazionalista Chiang-Kai-Shek decide di sbarazzarsi di Mao. A salvare il futuro dittatore è paradossalmente il Giappone, che invade la Manciuria costringendo Chiang a spostare le sue truppe. Poco dopo, Mao fonda lo Stato rosso, con capitale Ruijin. un’immensa prigione a cielo aperto: in 4 anni la popolazione crolla del 20%, per esecuzioni interne e suicidi. Mao lascia Ruijin sotto l’assedio delle truppe di Chiang. Inizia la lunga marcia, mito fondante del maoismo. Prive di qualsiasi logica militare e strategica, le peregrinazioni di Mao e del suo esercito sono dovute alle schermaglie con i rivali interni del partito. Mao si fa trasportare su una lettiga mentre i suoi uomini muoiono a centinaia ogni giorno. Fondamentale nella creazione del mito di Mao «folle romantico» (Sergio Romano sul Corriere), è il giornalista Edgar Snow, autore di un libro di grande successo (’Stella Rossa”). Nel ’35 Mao e i suoi oltrepassano un ponte sospeso. Questo il resoconto di Snow: «La pavimentazione era stata rimossa dai nazionalisti, all’estremità nord una mitragliatrice attendeva i rossi. Chiang fece dare fuoco al ponte, mentre i rossi si gettarono in avanti schivando pallottole e granate». Snow parla di centinaia di morti in una battaglia eroica. In realtà, l’esercito nazionalista si trovava a diversi chilometri di distanza da Mao. L’unica vittima tra le truppe rosse, in quell’occasione, fu un cavallo precipitato dal ponte. Degli 80mila uomini di Mao, alla fine della Lunga Marcia, ne sopravvivono poco più di 10mila. Mao elimina tutti i rivali nel partito e diventa l’unico referente di Stalin, in un ricatto reciproco che si trascina fino alla morte del georgiano. Passato alla storia come eroe dell’orgoglio anti-giapponese, Mao in realtà culla la minaccia di Tokyo per accreditarsi agli occhi di Mosca: i veri nemici sono Chiang e i rivali interni, che fa seppellire vivi in più occasioni. Durante la Seconda guerra mondiale, il ”Grande Capo”, profittando dell’alleanza tra Germania, Russia e Giappone, si dedica a stroncare i nazionalisti. Quando Hitler invade la Russia, il cinese teme che la morsa nippo-tedesca stritoli Mosca. Mao fa esplodere il terrore: proibisce il canto, la danza, impone autocritiche di massa. «Democrazia, libertà, eguaglianza e fraternità sono concetti da sviluppare solo per necessità politica», spiega ai suoi, condannando chi «ne parla come fossero ideali genuini». Nel 1945 Mao, che ha truffato, ucciso, estromesso tutti i rivali, è capo supremo del Pcc. La mortalità infantile è al 60%, i prezzi schizzano a livelli intollerabili. Il ”Grande Timoniere” trova un altro alleato insperato: Washington prende un gigantesco abbaglio e spinge Chiang a non attaccarlo. Nel ’48 Mao usa il pugno di ferro contro 160 milioni di cittadini: 27 milioni finiranno nei laogai, i gulag cinesi. Mao vive blindato nel lusso in un Paese devastato dalla povertà, si circonda di prostitute, trascorre intere giornate a letto dando ordini, leggendo e scrivendo poesie. In 27 anni di regno non si lava mai i denti né fa mai una doccia. L’ossessione dell’atomica. Mosca e Pechino concordano lo scoppio della guerra di Corea nel ’50, provocando l’intervento occidentale. Mao manda al macello centinaia di migliaia di connazionali allo scopo di acquisire peso sullo scacchiere internazionale. Dopo la morte di Stalin (marzo ’53) Mao non si propone più come punto di riferimento per i Paesi comunisti in via di sviluppo, ma come leader mondiale. L’atomica diventa la sua ossessione. La popolazione è schiavizzata in una massacrante corsa alla produzione. Pechino spende il 7% del Pil in aiuti per i partiti comunisti di mezzo mondo, al fine di sottrarli all’influenza di Mosca, ma condanna alla fame milioni di cinesi. In pochi mesi si contano 250mila suicidi. Intanto Mao progetta il conflitto atomico: «Al mondo ci sono 2,7 miliardi di persone. Un terzo può sparire, forse metà, l’imperialismo verrebbe spazzato via e il mondo sarebbe socialista». Nel ’54 decreta: 5 milioni di intellettuali sono ”di destra” e vanno puniti. Il ’58 è l’anno del ”grande balzo in avanti”. Il grano estorto ai contadini diventa carburante per i missili, ogni casa deve ospitare una fonderia. Mao si fa compilare una lista di monumenti: su 8mila, ordina che 78 siano risparmiati, gli altri distrutti. Nel ’60 un cinese consuma 1200 calorie al giorno. Ad Auschwitz, i prigionieri ne avevano a disposizione 1300. In 4 anni, muoiono di fame 38 milioni di cinesi. «Per i nostri progetti, mezza Cina potrà ben morire», aveva detto Mao. Nel ’67 arriva la bomba atomica, ma è l’inizio della fine. Mao, che ormai ha rotto con Mosca, perde ogni possibilità di «unificare il mondo», come aveva sognato. Il seguito è una lenta, agghiacciante sequela di vendette e terrore, culminate nella ”rivoluzione culturale” che Mao usa per sterminare i rivali e distruggere qualsiasi forma di arte, letteratura, pensiero indipendente. Nel frattempo, Sartre e signora lo lodano: «La violenza rivoluzionaria è profondamente morale», sentenzia il filosofo. Gli ultimi anni sono vissuti nella fobia dell’opposizione interna. Malato e semi-cieco, Mao Tse-Tung muore il 9 settembre 1976. La stima più cauta gli attribuisce la morte di 70 milioni di connazionali. Martino Cervo