La Repubblica 11/11/2005, pag.72 Gianni Clerici, 11 novembre 2005
Master story. La Repubblica 11/11/2005. Sono anch’io, un filino, responsabile se da domenica si svolgerà, a Shanghai, una gara di tennis chiamata Masters
Master story. La Repubblica 11/11/2005. Sono anch’io, un filino, responsabile se da domenica si svolgerà, a Shanghai, una gara di tennis chiamata Masters. Era la fine degli Anni Settanta, e mi trovavo a cena con due vecchi amici: Jack Kramer, uno dei più grandi tennisti All Time, vincitore di Wimbledon e in seguito organizzatore di una mitica troupe professionistica. E Carlo Levi della Vida, il figlio di Giorgio, il famoso islamista ebreo che si era rifiutato di sottomettersi al fascismo. In arte, il più grande organizzatore di spettacoli sportivi italiani, che aveva guadagnato per gli Internazionali romani la denominazione di Grand Slam n° 5. Svolgevo, in quei tempi, un’attività invernale e quindi complementare al tennis, quella di cronista delle nevi. E, nel sentir Kramer che si adoperava per strutturare uno sport da poco (1968) approdato al professionismo, mi venne spontaneo citare lo sci, la sua Coppa del Mondo. Di sci e di neve, l’amico americano poco sapeva. Ma l’idea gli parve l’uovo di Colombo, e si buttò ad organizzare il Grand Prix, collegando tornei che, sino a quel punto, erano esistiti ciascuno per proprio conto. I tennisti acquisirono punti, ad ogni torneo, e a fine stagione ricevettero un bonus secondo la loro classifica. L’americano Cliff Richey, primo classificato, ebbe la somma, allora incredibile, di venticinquemila dollari. Il secondo, il mio amico nero Arthur Ashe, mi mostrò incredulo un assegno di diciassettemila: «Ci compro un appartamento per i miei», riuscì a mormorare, la voce rotta. Poco più tardi, a Tokyo, i primi sei tennisti della classifica avrebbero disputato un torneo all’italiana, un girone unico in cui tutti incontravano tutti: vinto dall’americano Stan Smith. Da quel giorno, il Masters ha cambiato alcune volte nome, altre volte formato, moltissime sponsor. Nel 1972 si formarono due gruppi di quattro giocatori, e il primo di ogni gruppo avrebbe incontrato il secondo dell’altro, col risultato di venir meno a un sacro principio del gioco, che vuole il tennista battuto fuori dal torneo. Nel 1975, a Stoccolma, avrei visto con raccapriccio Nastase che, squalificato nelle eliminatorie dopo aver detto ad Ashe «sorridi, così nero non ti vedo», sarebbe stato il primo a vincere dopo una sconfitta. Nel 1976, a Houston, avrei assistito alla prima vittoria di un tennista contro un avversario che l’aveva battuto tre giorni prima. Sconfitto dal polacco Fibak nelle eliminatorie, lo spagnolo Orantes l’avrebbe battuto in finale, mentre il Maggiore Wingfield, il padre del Lawn Tennis, si rivoltava nella tomba. Ma il fascino dell’evento era più forte di ogni riserva, formato, paternità. Nel 1982, a New York, avremmo assistito ad una nuova, più corretta formula, con dodici giocatori impegnati in una eliminazione diretta grazie ad uno sponsor automobilistico, la Volvo. Ma, cambiato lo sponsor, il desiderio di assicurare comunque le star per un minimo di tre partite, avrebbe ricondotto la formula ai gironcini di quattro tennisti: a Londra, nel 1986. Stabilizzato quanto a struttura, il Masters avrebbe vacillato per una lite tra il Sindacato Tennisti (Atp) e la Federazione Internazionale, (Itf), che avrebbe organizzato, dal ’90 al ’99, una propria gara concorrenziale, denominata Grand Slam Cup. Il prevalere dell’interesse economico, ancor prima che del buon senso, avrebbe ricondotto la due organizzazioni alla riunificazione, e ad un Masters come sempre vagabondo, dai sette anni in Germania a sedi occasionali, tra le quali, nel 2002, Shanghai. Non c’era ancora, nella megalopoli cinese, l’attuale stadio, una costruzione futuribile, sovrastata da quattro petali metallici, e con un tetto che può aprirsi e richiudersi in pochi minuti. Un impianto che ospiterà quindicimila spettatori, fondo in moquette, simile a quello del recente Parigi Bercy. Ospiterà otto tennisti, in ordine di classifica Federer, Nadal, Roddick, Agassi, Coria, Davidenko, Ljubicic e Gaudio. L’ultimissima formula che ammette d’autorità i vincitori di uno Slam avrebbe consentito la partecipazione di Marat Safin, ahilui infortunato da mesi a un ginocchio. Ci sarebbe dovuto essere anche il quarto in classifica, Hewitt, ma il parto imminente della sua sposa l’ha trattenuto in Australia. La relativa rapidità del fondo sembra condannare i terraioli al ruolo di comparse, e, se è ristabilito, non resta che attendere un nuovo successo di Roger Federer, già vincitore 2003 e 2004. Gianni Clerici