23 novembre 2005
MAESTRI Cesare.
MAESTRI Cesare. Nato a Trento il 2 ottobre 1929. Alpinista. Tra le sue imprese, la conquista nel 1959 del Cerro Torre, che secondo molti sarebbe una menzogna. «[...] la ”sua” montagna, quella dove ha perduto un compagno, dove un altro di quelli attaccati alla sua corda s’è visto strappare le dita dei piedi dal freddo, dov’è tornato, alla faccia di tutti, per rifare la via con un compressore e, politicamente scorretto fino in fondo, si è fermato a pochi metri dalla vetta. [...] Quella che Lionel Terray, grandissimo alpinista francese degli anni Quaranta e Cinquanta, incoronò come ”la più grande impresa alpinistica di tutti i tempi”, rischia di essere definitivamente bollata come impostura. [...] sulla Gazzetta dello Sport, Salvaterra ha raccontato ad Antonella Cicogna che di Maestri non c’è traccia sul Torre. [...] un’accusa di falso è di quelle che minano dalle fondamenta il grande gioco dell’alpinismo. Non è nuova, è vero, ma a muoverla in questo caso non è un inglese con la puzza sotto il naso, com’è accaduto in passato. un alpinista delle sue stesse valli (Maestri, trentino, vive a Madonna di Campiglio, Salvaterra è di Pinzolo, dodici chilometri di curve più sotto), quasi un suo figlioccio, uno che alla Patagonia, e soprattutto al Cerro Torre, ha legato il nome. Come prima aveva fatto appunto Maestri. E il vecchio rocciatore si tormenta. Anzi si infuria, è fuori di sé. ”Io sul Torre ho già detto tutto - urla quasi dalle montagne del Gruppo di Brenta - non ho più nulla da aggiungere. Mi sono rotto, dopo cinquant’anni... Se volete parlarne ancora, potete chiamare il mio avvocato”. [...] Da oltre oceano [...] parla anche Rolo Garibotti, guida alpina argentina trasferita in Colorado, uno dei maggiori conoscitori dei segreti di El Torre, come si chiama laggiù. Il giornalista e alpinista lecchese Carlo Caccia ha raccolto le sue confidenze via email: ”Di Maestri sul Torre - scrive - non ci sono chiodi e le sue descrizioni non vanno d’accordo con la realtà. Gli ho chiesto perché Maestri avrebbe dovuto inventarsi una cosa del genere. La sua risposta è stata: ’Per glorificare la morte di Egger. La fine di un compagno è sempre una tragedia e lui lo ha voluto ricordare così, raccontando che sono arrivati in cima. E non era cosciente, all’epoca, che il Torre sarebbe diventato una delle montagne più famose del mondo’”. L’’urlo di pietra”, è stato battezzato, e la definizione è finita nel titolo di un film molto visto di Werner Herzog, follemente girato su quella torre di granito. Non sono tante le vette cui è stata dedicata una pellicola del grande cinema. ”Effettivamente non sarebbe diventato un caso di queste dimensioni, si fosse gonfiato su qualche altra cima più sconosciuta”, chiude Roberto Mantovani, direttore della Rivista della Montagna e storico dell’alpinismo. [...]» (Leonardo Bizzaro, ”la Repubblica” 23/11/2005). « curioso che una montagna tanto lontana come il Cerro Torre, all’estremo Sud del Mondo abitato, sia così legata all’alpinismo italiano, con i nomi di Cesare Maestri, Casimiro Ferrari ed Ermanno Salvaterra su tutti, ma in compagnia di tanti altri. E tuttavia sia anche così capace di continuareadividerlo, in modo drastico e perfino doloroso, per quasi mezzo secolo.Dal 1959, Cesare Maestri è perseguitato dalla maledizione di quella prima salita. Drammatica, per via della scomparsa sotto una valanga del suo compagno, Toni Egger. E contestata, a causa della mancanza di documentazione e perché fin troppo avanti sui tempi di un alpinismo che era ben lontano da quello di oggi. Basta pensare a quanto si sono evolute in questi decenni le attrezzature, dalle piccozze ai ramponi, all’abbigliamento e, dato da non sottovalutare, pure l’alimentazione. Il Cerro Torre è una montagna da assediare, in attesa dei pochi varchi di bel tempo fra le settimane di vento ghiacciato e tempeste: pochi chili in meno da portarsi dietro fanno un’enorme differenza. E, in più, oggi ci sono informazioni precise sulle condizioni atmosferiche che [...] non ci si poteva neppure sognare. Bisognava andare allo sbaraglio. Questa era una specialità di Cesare Maestri. Alpinista che sembrava irridere la paura, guascone, sperimentatore e anche provocatore. Ma sempre pronto a pagare sulla propria pelle, come dimostra il fatto che molta della sua attività sia stata fatta in solitario. Era, quello degli Anni 50, un altro alpinismo anche a livello filosofico e questo cittadino, che sapeva attecchire con le sue prensili radici nella più aspra montagna, dava perfino fastidio ai ”montanari veri”. Però Cesare era capace di scendere in libera e ovviamente in solitario (chi altro avrebbe osato?), dopo aver addirittura gettato la corda precludendosi così ogni via di fuga, una delle vie più ardite dell’epoca (quella delle Guide al Crozzon di Brenta, 1956. E allora di freeclimbing neppure si favoleggiava), o di concatenare, sempre in solitario, 16 cime del Brenta in meno di 24 ore (’54), a dimostrazione di una velocità in anticipo sui tempi. Così come era capace, per rispondere a chi metteva in dubbio la sua prima assoluta del Cerro Torre nel ’59, del comportamento più antitetico rispetto a quelle sue memorabili imprese: salire in diretta a furor di chiodi artificiali, con tanto di compressore e carburante per farlo funzionare sollevati su per la Cresta Sud-Est. Un tremendo lavoro da operaio della montagna. Era il 1970, e ancora nessun altro aveva calcato la cima della vetta patagonica. Ci sarebbe riuscito Casimiro Ferrari nel 1974. Il ”Grido di Pietra”-geniale titolo di un film ambientato da Werner Herzog, su ispirazione di Reinhold Messner, appunto al Cerro Torre, che da allora è così soprannominato- non può dunque in alcun modo sovrastare l’eco delle grandi pagine di storia dell’alpinismo scritte da Cesare Maestri, uno dei pochi che hanno saputo scalare il futuro» (Sandro Filippini, ”La Gazzetta dello Sport” 23/11/2005).