MACCHINA DEL TEMPO DICEMBRE 2005, 23 novembre 2005
Mentre l’Oms, l’Organizzazione mondiale della salute, chiede più sforzi contro il virus dell’influenza aviaria e la Commissione europea consiglia agli Stati membri di accumulare vaccino anti-virale come misura di difesa, la gente si interroga sull’effettivo ”rischio pandemia” e sull’opportunità di proteggersi, magari con un farmaco antinfluenzale generico
Mentre l’Oms, l’Organizzazione mondiale della salute, chiede più sforzi contro il virus dell’influenza aviaria e la Commissione europea consiglia agli Stati membri di accumulare vaccino anti-virale come misura di difesa, la gente si interroga sull’effettivo ”rischio pandemia” e sull’opportunità di proteggersi, magari con un farmaco antinfluenzale generico. In Italia, però, c’è chi sta lavorando da anni per realizzare un vaccino davvero mirato. Il vaccino prossimo venturo «Abbiamo avuto conferma che il virus trovato in Turchia è quello dell’influenza aviaria A/H5N1, un ceppo assai patogeno per l’uomo». Questa frase laconica, pronunciata dal Commissario Ue per la Salute, Markos Kiprianou, cela in realtà la preoccupazione dei vertici sanitari europei sul rischio influenza aviaria. I 60 decessi avvenuti nel Sud-Est asiatico hanno un suono sinistro (sebbene gli incidenti stradali o le malattie cardiovascolari provochino molte più vittime), così come i 140 milioni di volatili abbattuti e la possibilità che il virus si trasmetta - prima o poi - da uomo a uomo, dopo essersi modificato in qualche animale intermedio. Alcune delle misure preventive finora adottate - come l’interdizione alle importazioni di pollame provenienti dai paesi a rischio, quali Turchia e Romania - non bastano a tranquillizzare gli europei. Perché la pandemia paventata dall’OMS sarà pure lontana, ma il virus dell’influenza aviaria (AI) si sta avvicinando. Maestro di trasformismo Mossi dall’esigenza di produrre un vaccino, i ricercatori hanno studiato a fondo la struttura e il comportamento dei virus influenzali come quello della AI (che appartiene alla famiglia degli Orthomyxoviridae). Questi virus espongono sulla superficie due proteine - chiamate emoagglutinina (abbreviata in H, di cui sono note 16 varianti) e neuroamminidasi (abbreviata in N, che presenta 9 varianti) - che fungono da etichetta, una sorta di marchio che li identifica come ospiti indesiderati agli occhi (o meglio alle difese) dall’organismo che infettano. Nel pollame, i ricercatori hanno identificato tutte le possibili varianti virali che si ottengono dalla combinazione di H ed N (H1N1, H2N1 e così via), e hanno pensato di sfruttarle per allestire un vaccino. Queste proteine sono, in teoria, ottimi Antigeni (Ag), cioè molecole capaci di sollecitare una risposta immunitaria dell’organismo. Dal dire al fare, però ... c’è di mezzo la capacità di trasformazione dei virus. Tanto che, a sette anni dalla comparsa del ceppo più virulento (H5N1), un vaccino specifico non è ancora pronto. «Uno dei problemi che si incontrano nella messa a punto di un vaccino contro il virus dell’influenza», chiarisce Audino Podda responsabile della Ricerca clinica alla Chiron Vaccines di Siena, unica azienda italiana produttrice di vaccini, «è dato dalla sua elevata instabilità. Queste particelle, infatti, mutano il proprio genoma con elevata frequenza e si possono ricombinare molto facilmente, come si dice in gergo. Cioè possono riassortire il proprio materiale genetico in modo autonomo, oppure dopo essere entrati in contatto con virus diversi in un organismo ospite. Tale fenomeno, chiamato drift o shift antigenico (a seconda della minore o maggiore differenza dal virus originario), crea rapidamente nuovi Ag verso i quali un organismo bersaglio è privo di memoria immunologica. «Ecco perché, da un anno all’altro, i vaccini antiinfluenzali devono essere ’aggiornati’: perché nel frattempo il virus è mutato e non rappresenta un bersaglio immediatamente visibile». Come nasce il vaccino Un certo pessimismo sarebbe dunque giustificato? « vero», precisa Podda «che, nei confronti di Antigeni nuovi, l’organismo ha poco tempo per organizzare le difese immunitarie (servono 3-4 settimane per fronteggiare un nuovo nemico). Tuttavia, si può parlare di pandemia quando compare un virus con caratteristiche molecolari completamente nuove (shift). Il ceppo aviario attualmente in circolazione, H5N1, corrisponde a questi criteri, tuttavia non ha ancora completamente acquisito la capacità di trasmettere l’infezione all’uomo e soprattutto dall’uomo infettato a quello sano. Nonostante il rischio pandemia non sia immediato, la ricerca di un vaccino contro l’influenza aviaria non si è mai arrestata da quel primo caso di Hong Kong, identificato nel 1997. La Chiron, in particolare, ha testato di recente un prototipo di vaccino che ha dato buoni risultati su ceppi provenienti da Paesi diversi, isolati in epoche diverse. «L’allestimento di un vaccino richiede precisi tempi tecnici» spiega ancora Podda. «Si parte da una segnalazione dell’Oms che indica ai laboratori qual è il ceppo, o i ceppi, virali che più probabilmente provocheranno l’epidemia influenzale. Questo ceppo costituisce il seed (cioè il seme), una base di partenza sulla quale poi si lavora». Per essere manipolato in laboratorio con relativa sicurezza, il seed è sottoposto a tecniche di reverse genetics (genetica inversa): viene privato dei geni che lo rendono virulento, pur conservando il suo potere antigenico, e ricombinato con virus innocui ma a rapida crescita. I riassortanti così ottenuti possiedono caratteristiche miste: sono in grado di stimolare l’immunità e si riproducono velocemente in laboratorio. «A questo punto», chiarisce l’esperto «il virus è coltivato in uova fecondate di pollo. Dopo la raccolta e la purificazione si procede alla frammentazione, per liberare gli antigeni più interessanti dal punto di vista immunologico - come H ed N, e altri ancora - che vengono inseriti nel preparato finale». Ecco come nasce il ”vaccino antinfluenzale, pandemico e non”. Attualmente il vaccino della Chiron si sta avviando ai trial clinici di fase II, in cui si determina il rapporto tra dose ed effetto. Ma i ricercatori continuano a testare nuove condizioni sperimentali. Di recente, hanno verificato che l’aggiunta di una sostanza adiuvante (o stimolante) chiamata MF59 e formulata dalla stessa azienda permette di ridurre la concentrazione di antigene virale pandemico per dose di vaccino e di aumentare lo spettro di azione nei confronti di varianti antigeniche dello stesso ceppo pandemico; inoltre, stanno cercando il modo di farlo crescere all’interno di colture cellulari, più facili da maneggiare e più economiche delle uova. «Vogliamo essere pronti quando il vaccino sarà davvero necessario», dice Podda. La Chiron, infatti, in caso di pandemia sarà chiamata a fornire 25 milioni di dosi di vaccino. Quante le sono state richieste dal Ministero della Salute, sempre che ce ne sia bisogno.