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 2005  novembre 23 Mercoledì calendario

Avete mai cercato di capire quanto tempo vi serve per risolvere un rompicapo, per farvi venire una brillante idea o per fare la scelta giusta in una situazione pericolosa? Forse scoprirete che il tempo necessario è quello di due secondi, un batter d’occhi insomma

Avete mai cercato di capire quanto tempo vi serve per risolvere un rompicapo, per farvi venire una brillante idea o per fare la scelta giusta in una situazione pericolosa? Forse scoprirete che il tempo necessario è quello di due secondi, un batter d’occhi insomma. Due secondi bastano per capire se la persona che abbiamo incontrato è fatta per noi, per decidere se assumeremo il candidato che stiamo valutando o se compreremo la casa in cui siamo entrati. Il ”blink”, così lo chiama Malcolm Gladwell nel libro In un batter di ciglia uscito per Mondatori a ottobre, è il tempo dell’intuizione. Il giornalista e sociologo statunitense racconta attraverso curiosi aneddoti come, in un lasso di tempo brevissimo, possa avvenire un processo di cognizione rapida: la mente accelera di colpo e si concentra su pochi elementi essenziali che ci permettono di saltare subito alle conclusioni, magari a quelle giuste. Sarà successo così per le scoperte di personaggi come Albert Einstein, Galileo Galilei, Charles Darwin. Ma anche al giocatore d’azzardo, al pompiere, allo studente o al poliziotto. Gladwell, per esempio, racconta come in pochi secondi lo psicologo John Gottman riesca a prevedere se la coppia che gli sta di fronte si separerà nel prossimo anno (vedi box qui sotto) e come il critico d’arte Federico Zeri si accorse a vista d’occhio che una statua greca acquistata da un museo americano era in realtà un falso (box in basso nella pagina accanto). Gladwell racconta fra l’altro un interessante esperimento condotto alcuni anni fa da un gruppo di scienziati dell’Università dello Iowa. I ricercatori chiesero a un gruppo di volontari di cimentarsi in un semplice gioco d’azzardo. Avevano di fronte quattro mazzi di carte, due rossi e due blu. Dovevano girarle una alla volta in modo da ottenere il punteggio più alto. Ma c’era un trucco: i mazzi rossi facevano vincere molto ma facevano anche perdere molto. Dunque, per avere successo, i giocatori dovevano scegliere solo dai mazzi blu che assicuravano vincite e perdite modeste. Questo, naturalmente, i volontari non lo sapevano. Ma quanto ci hanno messo a capirlo? Ecco il risultato dell’esperimento: dopo aver girato una cinquantina di carte la maggior parte dei giocatori iniziava a farsi un’idea della situazione. «Non sapevano perché preferivano i mazzi blu», spiega Gladwell, «eppure intuivano che si trattava della scelta migliore». Dopo un’ottantina di carte, tutti capivano come funzionava il gioco e sapevano spiegare con esattezza perché i mazzi rossi erano da evitare. «Il nostro cervello in momenti del genere ricorre a due strategie diversissime. La prima è la strategia conscia. Pensiamo a ciò che abbiamo imparato e alla fine arriviamo a una conclusione. una strategia logica, risolutiva, che però richiede ottanta carte. Ma ce n’è un’altra, più veloce. Entra in funzione dopo dieci carte e non si può dire che manchi d’intelligenza, visto che coglie il problema dei mazzi rossi quasi subito. Tuttavia presenta un inconveniente: almeno all’inizio opera internamente, sotto il livello della coscienza. una strategia grazie alla quale il nostro cervello trae conclusioni senza informarci subito del fatto che sta traendo conclusioni». «Le grandi intuizioni, quelle geniali, sono eventi eccezionali e inspiegabili. L’intuizione invece è più semplicemente la capacità di prendere una decisione o di risolvere un problema in modo nuovo e si basa sulle conoscenze di ciascuno di noi. il caso del medico, che dopo anni di lavoro riesce a riconoscere subito i sintomi di una malattia», spiega Massimo Piattelli Palmarini, docente di scienze cognitive all’Università dell’Arizona, Tucson. «Quando c’è automatizzazione si passa dai ragionamenti analitici all’esperienza. A livello cerebrale, cioè, si verifica uno spostamento dei segnali dall’emisfero sinistro, deputato al pensiero analitico, all’emisfero destro, responsabile dell’elaborazione delle forme e delle relazioni spaziotemporali, quindi alla sfera più intuitiva». L’esperienza ritorna utile soprattutto quando ci si trova in circostanze del tutto nuove. «In questi casi ci aiutano i nostri ricordi. In base alla teoria delle analogie e delle similarità, l’essere umano trasferisce sulla nuova situazione i ragionamenti e i pensieri appresi precedentemente in casi simili, riuscendo così, senza esserne consapevole, a trovare soluzioni rapide ed efficaci». Quello che si sa del sesto senso, però, è ancora poco. La scienza deve chiarirne infatti molti aspetti, per esempio se si tratti di un processo più razionale o emotivo, una dote di tutti o solo di alcuni, più femminile o maschile. Eppure l’intuizione è stata al centro del pensiero di grandi filosofi come Pitagora, Spinosa, Kant e Bergson e dai primi del Novecento anche degli psicologi, in particolare dei tedeschi della Gestalt. «Il più rappresentativo di essi, Max Wertheimer, ha osservato che il momento in cui l’intuizione produce la soluzione è quello in cui gli individui si rendono contro che gli elementi del problema acquistano un nuovo senso, cioè si presentano ”combinati” in una nuova struttura che fa emergere la soluzione», spiega Rino Rumiati, docente di psicologia cognitiva dell’università di Padova, «L’aspetto interessante di questo approccio è che questa capacità la si ritrova anche nei primati come è stato documentato da Wolfgang Kohler, un altro grande gestaltista. Gli scimpanzè, ad esempio, erano in grado di sistemare, grazie all’intuizione, delle scatole di diversa grandezza poste nella gabbia per poter raggiungere il cibo appeso al soffitto». Ma in quale parte del cervello si accende la lampadina dell’intuizione? Secondo uno studio condotto da Mark Jung-Beeman ed Edward Bodwen della Northwestern University e John Kounios della Drexel University, essa si trova nel lobo temporale destro. Qui le informazioni che ciascuno ha a disposizione vengono rielaborate in modo nuovo e la nostra confusione si trasforma in soluzione. Monitorando l’attività cerebrale dei partecipanti della ricerca, sottoposti a giochi di parole che ne stimolavano l’intuito, i ricercatori hanno rilevato che, nel momento in cui salta fuori una soluzione intuitiva, una ristretta parte del lobo temporale destro, il giro temporale anteriore superiore, è più attiva rispetto a quando la soluzione avviene senza intuito. Non solo. La ricerca ha anche analizzato il tipo di onde elettriche corrispondenti al ricorso all’intuizione. Risultato: circa un secondo prima che la lampadina si accenda si ha un fortissimo aumento di onde nella banda gamma, cioè ad alta frequenza, nell’area scoperta con la risonanza, a indicare che si è attivato un processo di elaborazione cognitiva complessa. In un’altra regione, la corteccia posteriore destra, invece, un secondo e mezzo prima dell’arrivo della soluzione intuitiva si registra un forte aumento di onde a bassa frequenza, o in banda alfa, legate a uno stato di rilassamento della mente. Queste cessano quando cominciano dall’altra parte le gamma, facendo pensare che ci sia un momento in cui il cervello si svuota, spianando la via all’intuito. «Come ha dimostrato Gary Klein in The power of intuition, i giocatori professionisti di scacchi, i comandanti di pattuglia di pompieri o i manager basano le loro scelte non su processi razionali, ma facendo ricorso a procedure intuitive progressivamente affinate con l’esperienza», continua Rino Rumiati. «Quando un comandante dei pompieri deve decidere come intervenire in una situazione rischiosa, aggravata dalla pressione temporale, valuta sulla base di pochi segnali significativi come classificare quella situazione rispetto alle passate esperienze e si comporta di conseguenza. Questo modo di procedere della mente è inevitabile: da un lato semplifica i compiti, dall’altra risponde a un principio fondamentale d’economia cognitiva, come quando dobbiamo stimare la rischiosità di un evento e senza ricorrere alle leggi della probabilità valutiamo intuitivamente quanto l’evento in questione ha caratteristiche simili a un prototipo che abbiamo memorizzato».